Una strana attesa: perché tutti sanno, o fingono di non sapere, quanto poco ci sia da aspettarsi – salvo sorprese sempre possibili – da oggi alla fine del quinquennato presidenziale (a un anno giusto dall’elezione, in fondo risicata, di Macron il 24 aprile 2022). La Francia, apparentemente stanca dopo mesi di contestazione attiva (le dimostrazioni di massa sono state almeno dodici: c’erano fino a tre milioni e mezzo di manifestanti il 7 e il 23 marzo scorsi), è ora in uno stato di sospensione. Tutti col pensiero al prossimo primo maggio, preparato da una salda intesa intersindacale, assai rara negli ultimi anni, mentre sia la Cgt sia la Cfdt si sono date nuovi, anzi nuove, dirigenti.
Eppure l’iperattività del presidente non accenna a diminuire. Anzi, in una recente “autocritica” egli ha dichiarato di avere fatto, sì, qualche errore, come quello di non essersi speso abbastanza nello scontro sulla legge sull’età pensionabile, mentre avrebbe dovuto attraversare l’intero Paese per convincerlo della giustezza del provvedimento (molti pensano, invece, che lui si facesse vedere e sentire anche troppo, lasciando davvero poco spazio ai suoi ministri). Strano, per esempio, l’annuncio di un aumento – peraltro già da tempo promesso – degli stipendi minimi degli insegnanti, durante un suo viaggio in provincia, a Ganges (Hérault), al cospetto di un ammutolito ministro della Pubblica istruzione.
Strano, o forse no, che un presidente reputato colto, senz’altro intelligente, giovane e in gran forma – ma (dicono) poco attento ai consigli di chi gli è vicino – persista su una via senza uscita come quella dei “64 anni per tutti”, anche per coloro che hanno fatto un apprendistato precoce o mestieri gravosi e usuranti. In effetti, egli stesso dichiara che “le riforme delle pensioni sono sempre difficili, dunque è sempre meglio attuarle all’inizio del mandato”. Già.
Un dirigente socialista propone la seguente modulazione: “Ogni lavoratore dovrebbe avere la stessa speranza di vita in buona salute al momento del pensionamento” (N. Mayer-Rossignol, “Le Monde” del 22/4/2023). Se non altro, una proposta del genere potrebbe far diminuire il sentimento dominante di terribile ingiustizia, tale da spingere a richiamare momenti storici rivoluzionari, come quello della famigerata battuta della regina Marie-Antoinette: “Se il popolo non ha pane, mangi pure delle brioche”. Ma purtroppo “nel nostro Paese, la democrazia politica non è più capace di riconoscere e ascoltare la democrazia sociale”, o semplicemente di prestare attenzione alle gravi disuguaglianze e ingiustizie – osserva Laurent Berger, sindacalista della Cfdt (“Le Monde” del 20/4/2023), rispettato ma mai ricevuto dal governo in tre mesi di crisi. Del resto, già al momento culminante delle proteste dei gilets jaunes, durante il primo mandato macronista, si poté osservare la “sordità” del governo neoliberale.
Il presidente, descritto spesso come arrogante, in realtà fa di tutto per acquisire la simpatia dei diversi interlocutori, da Trump (si ricorderà una famosa, lunga stretta di mano) a un tale celebre rapper (che, nella foto, sembrava prenderlo in giro), fino agli scolaretti di Ganges (qui un presidente in camicia non si è peritato di rimboccarsi le maniche nel cortile della scuola), ma con scarso successo – bisogna pur dirlo – soprattutto in regioni un tempo sensibili all’auspicato promesso “rinnovamento”, come la Bretagna o la stessa capitale Parigi. Un intellettuale come Emmanuel Todd, non sospetto di simpatie a sinistra, non formula un giudizio molto diverso, quando definisce il presidente “arcaico” pseudo-liberale, e da tempo ormai non più repubblicano (vedi qui).
Ma un punto in comune con altri dirigenti (che Todd predilige) il presidente lo avrebbe: egli ritiene, una volta eletto, certo in modo incontestabilmente democratico, di non dovere più giustificare il carattere “democratico” delle sue svariate decisioni. Si potrebbe pensare, a questo punto, alle nuove democrazie illiberali dell’Est del nostro continente; accostamento che sarebbe il caso di argomentare sul serio fino in fondo. Fatto sta che da tempo, dopo i vari ricorsi all’articolo 49.3 della Costituzione gollista, che permettono di bypassare il voto del parlamento, “il governo ha deciso di fare una guerra totale” a quei movimenti che maggiormente lo disturbano, e in particolare “agli ecologisti e a tutte quelle e quelli che si dichiarano tali” (Noël Mamère, “Le Monde” del 24/4/2023).
I concerti di pentole, che i manifestanti fanno risuonare in segno di protesta, si sentiranno forse anche dentro il palazzo dell’Eliseo il primo maggio.