La pandemia ha rallentato l’intera economia mondiale, con la chiusura delle attività e anche delle frontiere, con la limitazione degli spostamenti. La conseguenza è stata una caduta nei consumi energetici e la riduzione della capacità produttiva delle materie prime per usi energetici. La ripresa attuale delle attività e della mobilità ha fatto ripartire l’economia negli Stati Uniti, in Cina e in Europa, con il conseguente incremento dei consumi energetici. Lo spostamento della richiesta di risorse dal carbone e dal petrolio al gas metano, è legato sia alla maggior rapidità della domanda di energia, rispetto alla capacità di ripresa della produzione, sia alla volontà di ridurre le emissioni di anidride carbonica, sancita da accordi internazionali, al fine di temperare i cambiamenti climatici. Si aggiunga, inoltre, l’abituale maggiore richiesta di gas in questo periodo dell’anno, legata alla costituzione di scorte per affrontare l’inverno, considerato il larghissimo uso del gas per il riscaldamento degli ambienti.
L’aumento della domanda, a fronte di una minore offerta, ha portato a un notevole aumento dei costi delle materie prime: costi che, presumibilmente, torneranno ai valori precedenti nel giro di un anno. I contratti di fornitura del gas sono, in genere, per periodi prolungati proprio per risentire meno delle fluttuazioni delle quotazioni, sia in positivo sia in negativo. La ricaduta sulle bollette delle forniture di energia elettrica è dovuta alla composizione della produzione in Italia, ottenuta per il 51% in centrali alimentate a gas e per il resto grazie a rinnovabili (40%) e altre fonti. In bolletta, tuttavia, ci sono anche gli incentivi alle rinnovabili (certificati “verdi”) e i costi per lo smaltimento delle centrali nucleari, oltre ai contributi ai grandi consumatori di energia da combustibili fossili: in totale quasi il 40%!
L’ultima voce citata è connessa alla politica europea di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che consiste in un mercato di scambio delle emissioni stesse. Introdotto nel 2005, e noto come sistema Ets (Emission Trade System), ha l’obiettivo di condizionare le grandi imprese fissando un tetto massimo alle emissioni di alcuni agenti inquinanti, in particolare anidride carbonica (biossido di carbonio), ossido di azoto e perfluorocarburi. Le aziende che emettono queste sostanze ricevono i cosiddetti “carbon credit”, che consentono di inquinare secondo quote di emissione corrispondenti a una tonnellata equivalente di anidride carbonica. Tali quote possono essere acquistate sul mercato Ets, come fossero titoli finanziari, messi in vendita da altre imprese che hanno emesso meno, e quindi non hanno utilizzato le loro quote. Esiste una “borsa verde” in cui tali titoli vengono scambiati e che, nelle intenzioni dell’Europa, avrebbe dovuto spingere le aziende a inquinare meno, causa l’aumento del costo delle quote stesse.
A questa “borsa” partecipano circa undicimila aziende di trentuno Paesi. La crisi del 2008 e quella sanitaria attuale hanno ridotto la produzione, e quindi le emissioni, facendo scendere la quotazione della tonnellata di anidride carbonica sotto i dieci euro, quotazione che è balzata ai cinquanta euro con la ripresa dell’economia. Incide inoltre la politica europea, che prevede una riduzione continua delle quote di emissione ammesse (-2,2% annuo), per arrivare nel 2030 alla riduzione del 55% rispetto al 1990.
Come in tutte le borse finanziarie non mancano poi i comportamenti speculativi, che possono portare a distorsioni delle valutazioni. Poiché la borsa interessa aziende nell’area economica europea, per compensare parzialmente le differenti regole di emissione su scala mondiale, dato che paesi come Stati Uniti e Cina hanno legislazioni meno restrittive sulle emissioni, l’Unione prevede l’introduzione di dazi compensativi per equiparare i costi dei prodotti energivori extraeuropei a quelli interni, il cosiddetto Carbon Border Adjustment Mechanism.
Le emissioni delle aziende sono monitorate dal ministero dell’Industria, che può anche concedere quote ad alcune imprese energivore (siderurgia, cementifici, chimica, aerei) assumendone il costo nel bilancio dello Stato. E proprio a questo serve il prelievo in bolletta a cui sopra ci siamo riferiti.