Su terzogiornale non seguiremo le mosse giornaliere dell’impasse di governo e delle trattative, serve un giudizio d’insieme. Più che al Palazzo di pasoliniana memoria, luogo distante e corrotto, sembra di assistere a una ambientazione da Il Castello di Kafka: il luogo delle decisioni e del potere è sconosciuto, inafferrabile. Produce alienazione, estraneità e comunque timore per le ripercussioni che può avere sulla vita di ognuno. Con la politica, piaccia o non piaccia, infatti tutti noi dobbiamo fare i conti. Pure i surrealisti avrebbero da dire la loro su quello che accade in queste giornate, ascoltando le discussioni su “tavoli programmatici” e su improbabili bicamerali inerenti a Recovery Plan o a eterne riforme costituzionali.
Meglio allora attenersi ai fatti, seppure con qualche previsione. Matteo Renzi ha ottenuto di mettere sotto stress il governo e la maggioranza uscente. Come voleva, si sta riscrivendo il programma. Potrebbero cambiare pure alcuni ministri a lui in particolare sgraditi (scuola, giustizia, trasporti), ma non quello dell’Economia (Roberto Gualtieri), difeso da Quirinale, Confindustria e Unione europea. Ma a Renzi non basta mai, a stare a vedere ciò che accade attorno al tavolo surreale del negoziato. Probabilmente, vuole stravincere e non solo vincere. Ecco perché la scelta di Giuseppe Conte come premier confermato – salvo colpi di scena, che sono da mettere in conto – resta barcollante e indebolita. Tuttavia non tramontata. Del resto, l’obiettivo di Renzi è stato fin dall’inizio di questa crisi di governo ottenere la testa politica di Conte sul piatto.
Uniche alternative al premier uscente potrebbero essere l’esploratore Roberto Fico o Luigi Di Maio, due nomi che salverebbero l’orgoglio compromesso dei 5 Stelle. Altra soluzione, è un governo ispirato direttamente dal presidente Mattarella, guidato da una personalità che incute rispetto e ha come unica alternativa le elezioni anticipate. Elezioni che non possono essere sbandierate in eterno come spauracchio. La fune si può rompere, se Renzi non indietreggia.
Le parole di indirizzo di Mattarella sono state chiare e metodologicamente corrette: l’Italia è in preda a crisi pandemica, economica e sociale; non si può perdere tempo perché serve un governo che arrivi in modo auspicabile alla fine della legislatura. Se ogni tentativo dovesse rivelarsi fallace, c’è la via delle urne. Su cui anche il Pd potrebbe arrendersi, visto lo spettacolo di una crisi logorante per quel che resta della credibilità e del ruolo della politica.
Dal coma in cui versa la politica da molto tempo non si esce con mezze misure e tattiche dilatorie. Tutti i protagonisti ne sono coinvolti, dai 5 Stelle al Pd, mentre la destra si fa sospingere dall’onda del populismo imperante. Questo è il baratro su cui siamo sospesi.
Parafrasando un antico motto heideggeriano, forse “solo l’Europa ci può salvare”. Perché la dimensione europea delle riforme necessarie – almeno sulla carta – presuppone la modernizzazione della società e della politica italiane. Ma ci vuole un’Europa politica e non solo economica, sociale e non liberista. Il che per ora è solo un auspicio su cui però vale la pena d’impegnarsi.