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Resistenza costituzionale per un’opposizione di governo
Abbiamo dinanzi elezioni che la sinistra non può vincere, ma può forse riuscire a perdere nel modo più indolore possibile, scomponendo le forze e mischiando bene le carte. Al voto del 25 settembre il centrosinistra si presenta pressoché nelle stesse condizioni del 2018, quando le forze di destra segnarono un indubbio risultato positivo, mitigato solo dall’eccezionale e irripetibile affermazione dei 5 Stelle, che comunque confluirono nel governo gialloverde con la Lega. Il Pd si trova dinanzi all’evidenza dell’inaccettabilità di un “campo largo”: sia per la divaricazione strategica, sia per la rottura fra le due forze che la caduta del governo Draghi ha comportato, e anche perché gli stessi grillini sembrano all’inizio di un processo centrifugo che sparpaglierà l’ex gruppo di maggioranza relativa lungo tutto l’arco politico.
Un’eventuale affermazione del partito di Letta, che contende alla Meloni la palma di prima formazione politica del Paese, non cambierebbe di molto il senso generale. Anzi, avrebbe il sapore beffardo di raccogliere voti che non potranno in alcun modo concorrere a una maggioranza di governo. Ammesso, infatti, che le forze del centrosinistra – Pd più cespugli vari che confluiranno nel “campo stretto” – possano arrivare al 25-28 %, persino con un exploit al 30, poco muterebbe circa il futuro inquilino di Palazzo Chigi.
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Governo Draghi: “salvezza nazionale” ma non harakiri
“Salvezza nazionale”, non più “unità nazionale”. Nel lessico politico, oltre che nei contenuti, c’è stato un salto categoriale nel giro di pochi giorni. Lo hanno imposto il presidente Sergio Mattarella e Mario Draghi. Si va in effetti verso un governo accompagnato da una ennesima drammatizzazione emergenziale del caso italiano.
Questa volta le emergenze sono almeno tre, tutte gravissime: sanitaria (Covid e campagna vaccinale), economica come conseguenza della prima e quella sociale (i probabili milioni di disoccupati che si aggiungeranno agli attuali, quando finirà il blocco temporaneo dei licenziamenti). Poi ce n’è una quarta di cui sono protagonisti gli stessi Mattarella e Draghi, che pure non ne parlano: sono l’afasia e l’impotenza della politica tout court, oltre che del sistema istituzionale. I precedenti si possono trovare nel Comitato di liberazione nazionale e nel governo De Gasperi del 1945 con Togliatti ministro, nei governi del periodo 1976-1979 che si reggevano anche sul voto di astensione dei comunisti. Nel primo caso, eravamo in pieno dopoguerra e occorreva costruire la democrazia. Nel secondo, il nemico era il terrorismo che colpì addirittura Aldo Moro, mentre la bussola strategica era il “compromesso storico” tra Dc, Pci e Psi.