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Iran tra equilibri internazionali e sollevazione popolare

Che cosa succede a Teheran? Per tentare di rispondere a questa difficilissima domanda, non si può che partire da quanto è accaduto a Beirut, prima linea di tanti conflitti mediorientali, soprattutto di quello definito tra sunniti e sciiti, e in realtà tra iraniani e sauditi. Due opposte visioni egemoniche, che coinvolgono alleanze e scontri. Beirut, sotto il controllo di Hezbollah e degli alleati dell’Iran, ha trovato un accordo con Israele sullo sfruttamento dei giacimenti mediterranei di idrocarburi che riguardano entrambi i Paesi. Un confine terrestre riconosciuto tra i due Stati non appare pensabile da decenni, ma c’è ora quello marittimo. I lavori per sfruttare le grandi ricchezze recentemente scoperte possono cominciare. E Hezbollah, spina nel fianco di Israele in nome e per conto dell’Iran, è d’accordo. Basta provocazioni, ora si evitano attriti di terra per dare serenità alle trivellazioni bilaterali nel mare.

Per qualcuno è l’inizio di una libanesizzazione di Hezbollah. Il Libano è un Paese con l’acqua alla gola: si diffonde il colera, si muore di fame, nessuno sa più come vivere. Poteva quindi permettersi di non firmare un accordo che dà una prospettiva agognata da tutti, avere qualcosa da mangiare almeno una volta al giorno? Siccome però è difficile pensare che Hezbollah abbia detto di sì solo per questo, e non anche perché Teheran ha approvato la scelta, occorre capire i motivi del sì. Teheran non rinuncia alla sua propaganda, è normale; e annuncia al morente Libano il generoso invio di un dono in greggio. Il Paese è alla paralisi. Dunque una scelta di “amicizia” solidale. Tempistica interessante, ma fa capire che c’è dell’altro, ovviamente.

La crisi climatica fuori dall’agenda politica

L’aggravarsi della crisi climatica planetaria (scioglimento dei ghiacciai, innalzamento delle temperature degli oceani, incendi di superfici delle dimensioni complessive di interi Stati, disuguaglianze, guerre,...

La Commissione e il parlamento europeo in rotta di collisione

Il parlamento europeo si appresta a votare, nella sessione plenaria che si svolgerà a Strasburgo dal 4 al 7 luglio, una risoluzione contro l’inserimento...

Iran in crisi

Com’è noto da molto tempo, l’Iran è un Paese sottoposto a fortissime sanzioni economiche, dovute al suo programma nucleare. L’accordo raggiunto con la comunità internazionale sul nucleare iraniano, ai tempi della presidenza Obama, preludeva a un allentamento delle sanzioni. Ma poi l’amministrazione Trump ritenne quella scelta controproducente e pericolosa, e ritirò la firma degli Stati Uniti. Il governo che aveva raggiunto l’accordo, definito moderato nel senso di disponibile a rapporti non conflittuali con la comunità internazionale, e in particolare con Washington, perse le elezioni presidenziali del 2021; fu eletto l’attuale presidente Raisi, definito un falco, contrario a ogni miglioramento dei rapporti con la comunità internazionale, e in particolare con Washington.

Dopo una lunga riflessione, l’esecutivo di Raisi ha deciso di tornare a sedersi al tavolo dei negoziati per riportare in vita l’accordo firmato da Obama, e ritirato da Trump, comunemente definito come una rinuncia al nucleare in cambio della rinuncia alle sanzioni. Essendo l’Iran uno dei principali produttori mondiali di petrolio, il ritorno del suo greggio sul mercato petrolifero sarebbe molto rilevante. L’accordo con l’Iran è stato definito, dall’inizio della presidenza Biden, una delle priorità dell’amministrazione americana, che si è presentata con una scelta senza precedenti. Il presidente, infatti, ha negato colloqui di ogni tipo al principe della corona saudita Muhammad bin Salman, ritenuto responsabile dell’atroce delitto del giornalista e dissidente Khashoggi.

Chernobyl, teatro di guerra e monito

Dopo che l’esercito di Mosca si è impossessato del sito della centrale nucleare di Chernobyl, sembrerebbe – secondo le autorità ucraine – che il...

Tassonomia verde, il tradimento della Commissione europea su gas e nucleare

È la storia di un tradimento, il tradimento di una promessa di trasparenza da parte della Commissione europea, quello della fiducia degli ambientalisti e...

Il nucleare europeo e i dilemmi della coalizione “semaforo”

Il sole che ride ammiccante, associato alla scritta Atomkraft nein danke (“energia atomica no grazie”), è un ricordo che accompagna tutta una generazione di militanti antinucleari. I verdi tedeschi sono stati tra gli antesignani del movimento di critica all’impiego del nucleare per la produzione di energia già molto prima della catastrofe di Chernobyl. Ricordo che da ragazzo mi colpì il racconto di un amico che descriveva la loro presenza di massa e la loro organizzazione durante quella che è passata alla storia come la “battaglia di Malville” del 1977, una giornata di scontri violenti che si svolsero intorno a un’allora costruenda centrale francese, e a cui parteciparono anche molti militanti italiani. Questo avveniva ancor prima che si costituissero formalmente in partito nel 1980, e cominciassero il loro lungo processo di conquista delle istituzioni.

Oggi che i verdi sono uno degli elementi integranti della colazione che governa la Germania, non è difficile immaginare come la decisione di includere il nucleare nella “tassonomia verde” delle energie in cui investire per la transizione ecologica dell’Unione europea sia stata tormentata, e abbia scosso non poco le acque all’interno della coalizione. Due importanti ministri del governo, Robert Habeck, che presiede al dicastero Economia e protezione del clima, e Steffi Lemke, che sta all’Ambiente, hanno espresso durissime critiche alla decisione presa in sede europea. Habeck ha liquidato con disprezzo tutta la faccenda come greenwashing, mentre Lemke ha tuonato alla radio di una “gravissima falsificazione” in corso, pur ammettendo che sarà difficile “fare macchina indietro”.

Cop26, il re è nudo!

Come nella fiaba, c’è voluta una giovane dalla faccia di bambina per dichiarare apertamente l’incapacità dei tessitori della politica mondiale di dare una veste concreta alle decisioni necessarie a garantire un futuro all’umanità su questo pianeta. Glasgow, Cop26: Draghi si dichiara soddisfatto perché i responsabili dei governi hanno preso coscienza del problema al G20 di Roma. Ma in realtà rimandano alle calende greche le decisioni indispensabili ad affrontare la catastrofe in arrivo.

L’India dice che raggiungerà la neutralità nel 2070: prima non possono, perché avendo gli occidentali inquinato, ora tocca a loro. È vero che se cresce il livello del mare il nemico Bangladesh scompare, ma i suoi abitanti dove andranno? Forse proprio in India, che è vicina. I Paesi europei e gli Stati Uniti devono aiutare il resto del mondo, ma semplicemente perché il pianeta è unico ed è il solo che ospita la specie umana. Tutti sull’orlo del baratro, prigionieri di una mentalità meccanicistica lineare, per cui a ogni azione corrisponde una reazione immediata.

Unione europea, credibilità in bilico su gas e nucleare

È sempre più probabile che la Commissione europea attribuisca, entro la fine dell’anno, i requisiti di sostenibilità ambientale e climatica ai settori dell’energia nucleare e...

Nucleare? Replica a un fisico di nome Cingolani

Le dichiarazioni del ministro Cingolani sugli ambientalisti e sul nucleare “sicuro” hanno innescato una serie di polemiche relative al suo modo molto poco istituzionale...