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Ecuador, in rimonta l’opposizione guidata da Correa
Cause di una disfatta
Una sconfitta che dovrebbe far ritornare a sognare
Che botta. Un terremoto. Ci fu una copertina del “manifesto”, il giorno del trionfo di Berlusconi, quasi trent’anni fa. Fondo nero, lampadina al centro di una stanza. Lampo di luce e un sinistro “click”. Come dire, “adda passà ’a nuttata”. Poco tempo dopo quel voto, con il suo buio, ci fu un incoraggiante 25 aprile a Milano. Ecco, la sconfitta elettorale di domenica e lunedì, in un quarto dell’Italia (Lombardia e Lazio), lascia più solo quel popolo indomito che, nonostante tutto, in questi anni ha combattuto per riaffermare valori e politiche di un fronte progressista, di sinistra, popolare e cattolico-democratico. E che ha tenuto accesa la fiammella della solidarietà e delle politiche inclusive del welfare.
Tutto questo oggi scricchiola e domani forse non ci sarà più. Dispiace profondamente dovere riconoscere l’onda alta di Giorgia Meloni che, dopo quattro mesi, rischia di trasformarsi in uno tsunami che potrebbe cancellare la storia repubblicana nata dalla Resistenza e dalla sconfitta del nazismo e del fascismo. Che ci porta fuori dall’alveo dell’Europa degli Spinelli, dei Brandt, dei Mitterrand che si sono susseguiti nel tempo. Oggi il nostro orizzonte sembra essere Visegrad, mentre si rinsalda l’asse Parigi-Berlino. Sempre di più filoatlantisti, e sempre più giustizialisti con i deboli e accondiscendenti con i potenti.
Il partito del non voto, una corsa senza freni
13 febbraio 2023, ore 15,10. Chiusi i seggi, da pochi minuti le agenzie di stampa, i siti online e un web sempre più pervasivo hanno cominciato a diffondere le primissime percentuali degli exit poll, che confermano una vittoria netta del centrodestra in Lombardia e nel Lazio. Corrono soprattutto le pesanti cifre sul primo partito, quello del non voto. Gli astensionisti di tutta Italia, provenienti da culture e partiti diversi (ma a quanto pare questa volta soprattutto dalla sinistra), si sono uniti. Al momento in cui scriviamo disponiamo ancora di dati parziali. Ma la tendenza è confermata: in Lombardia la percentuale dell’affluenza è del 41,61% (nel 2018 aveva votato il 73,81%). Nel Lazio la partecipazione arriva al 37,20% contro il 66,55% della tornata precedente. A Roma, in particolare, l’astensionismo ha raggiunto un livello record, con una partecipazione di appena il 35,18% contro il 65,46 del 2018. Ormai in Italia votano meno di quattro elettori su dieci.
La disfatta della partecipazione si era capita molto bene già dalla sera prima. Alle ore 23 di domenica, nel Lazio, aveva votato il 26,28% degli aventi diritto, un dato di molto inferiore al 66,5% registrato alla stessa ora nel 2018, quando però si votava in un’unica giornata e si votò insieme alle politiche. Quasi la stessa foto in Lombardia, dove ieri sera aveva votato per le regionali il 31,78% degli aventi diritto, meno della metà rispetto al 73,1% registrato alla stessa ora nel 2018, quando però – come nel Lazio – si votava in un’unica giornata per le regionali e le politiche.
La sconfitta annunciata delle opposizioni divise
Tra poche ore il Lazio passerà alla destra di un impresentabile candidato governatore, Rocca, ammutolito dai suoi poco edificanti (per la destra becera) trascorsi di gioventù, e il leghista Fontana si confermerà presidente della Lombardia. E questo perché le opposizioni hanno fatto di tutto per non presentarsi unite, consegnando senza combattere il successo alla destra. A Milano, Carlo Calenda ha scelto Letizia Moratti come candidata alla presidenza della Lombardia. E Pd, 5 Stelle, verdi e sinistra del “campo largo” non si sono neppure interrogati sulla necessità di individuare un candidato moderato (non necessariamente Moratti) per strappare la Lombardia alla destra. Scegliendo così di fare una battaglia elettorale di testimonianza. Non c’è che dire, da lunedì brinderanno i boss della sanità privata, che avranno adesso dalla loro anche la capitale e il Lazio. E naturalmente saranno condannati i deboli, quelli che vivono le fragilità sociali ed economiche, che saranno ulteriormente penalizzati da politiche neoliberiste e privatistiche.
È vero, l’onda alta del consenso per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non dà significativi segnali di crisi; ma nello stesso tempo i primi cento e passa giorni di governo non sono stati esaltanti per la destra. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che svolgono sempre più un ruolo da comprimari, sono insofferenti, per certi versi hanno posizioni contrapposte. Sono in difficoltà, ma se il loro apporto venisse meno la destra comincerebbe a sgretolarsi.
Chiamale se vuoi elezioni. Da un osservatorio milanese
Vista dalla finestra di uno studio al quinto piano – in cui campeggiano le celebri guglie verdi del cosiddetto “Cremlino”, alias l’edificio “Carta” a Città studi –, Milano appare una città sonnacchiosa e provinciale. Poco traffico, ritmi lenti. Certo è Lambrate, non è il centro. Si ricordano le scritte comparse prima di un’altra scadenza elettorale: make Lambrate great again. Evocazione di fasti passati, quando le guglie del “Cremlino” erano uno dei simboli di un’orgogliosa cittadella universitaria all’avanguardia dal punto di vista scientifico, politico e culturale. Tra gli studenti, nessun fermento: c’è scarso interesse per le elezioni regionali ormai prossime, che scaldano poco i cuori. Nessun volantinaggio, nessun manifesto, nessuna discussione sul tema. Al bar qualcuno difende la causa di Pierfrancesco Majorino, ma con poca passione, argomentando, più che altro, sull’interesse da lui dimostrato per l’università e sulla sottolineatura, presente nel suo programma, dell’importanza del diritto allo studio nel quadro del rilancio della città.
Il programma del candidato del centrosinistra e dei 5 Stelle (in Lombardia uniti) appare ben strutturato, e abbraccia alcuni aspetti rilevanti e per molti versi decisivi per il futuro della metropoli lombarda, dal ripensamento del sistema sanitario, le cui falle sono state evidenti nel periodo pandemico, e che negli ultimi tempi ha fatto segnare ritardi record per le visite specialistiche e le prenotazioni, a quello della scuola, al miglioramento dei trasporti, fino a toccare la questione per eccellenza della Milano contemporanea: la crisi abitativa, l’impossibilità di trovare casa a prezzi ragionevoli.