Tag: catasto
Ritorno su Ischia
Cessato lo strepito, è forse ora possibile qualche considerazione più strettamente politica sull’evento di Ischia – ed è da preferire il termine “evento” ad altre formule più retoriche e culturalmente connotate, come “tragedia” o “disastro”, che rimandano inevitabilmente a una sorta di fatalismo arcaicizzante. Anche per il crollo del ponte Morandi a Genova la denominazione di rito, ormai comunemente reiterata, è “tragedia”, rimuovendo così completamente le responsabilità umane. Nel Paese delle frane e dei terremoti, parliamo di un evento, dunque, in cui convergono tre diversi piani, strettamente intrecciati. Il primo è certo quello della fragilità dell’isola, nota da sempre (in questi giorni è stato ricordato dalla stampa che ne fece le spese lo stesso Benedetto Croce, ma i segnali d’allarme sono stati insistenti e ricorrenti negli ultimi anni, intensificandosi a partire dal 2006). Un territorio che però è stato soggetto a trasformazioni tutt’altro che “naturali”. Di qui l’importanza del secondo piano, quello dell’attività umana: scomparsa di antiche strutture di contenimento, moltiplicarsi di cave, infittirsi delle costruzioni, esplosione dell’abusivismo, enorme concentrazione di edifici in un’area piccolissima, in buona parte da ricondursi alle seduzioni del facile guadagno col turismo. Terzo piano che ha concorso a determinare l’evento, ed è in fondo il più importante: quello istituzionale.
La strategia dei condoni ripetuti, l’abusivismo come sorta di vizio nazionale, in qualche modo “tollerabile”, ne sono una componente non trascurabile. Ancora ieri il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, con singolare intempestività, in una intervista sottilizzava sull’esistenza di “diversi livelli di abusivismo”, i cui aspetti meno eclatanti sarebbero “accettabili”, dando così voce a un raramente palesato comune sentire della politica. È probabilmente ciò che prova a balbettare il sindaco di Ischia, quando si agita sostenendo che non ci sarebbe stato abusivismo sull’isola; in realtà, vuole dire un’altra cosa, che non può dire a chiare lettere: “così fan tutti”, tutti si arrangiano, si allargano, autocostruiscono, da decenni c’è un “partito dell’abusivismo e del condono”, del tutto trasversale, come ha ricostruito dettagliatamente Paolo Barbieri (vedi qui).
Sulla conversazione tra Michele Mezza e Aldo Bonomi
Quella “impossibile” riforma del catasto
Lungamente attesa e da tempo dovuta, la riforma del catasto è passata, lo scorso 15 aprile, per un solo risicatissimo voto in commissione Finanze. L’opposizione delle destre al disegno del governo è stata estremamente dura, all’insegna del “no all’aumento delle tasse”, dato che Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia ritengono che, dietro la riforma, si celi un tentativo di incrementare il prelievo fiscale. Paradossalmente, il governo ha rischiato di cadere su una misura che non è neppure una riforma vera e propria, ma solo un tentativo di mettere ordine in una giungla irrazionale quale è l’attuale sistema di definizione dei valori catastali. L’obiettivo del provvedimento, infatti, è principalmente quello di fare emergere immobili e terreni “fantasma”, non accatastati correttamente o neppure registrati, che secondo alcune stime supererebbero il milione di unità. La riforma prevede che venga individuata, per ogni unità immobiliare, non solo la rendita catastale vigente, ma anche il valore patrimoniale e una rendita attualizzata ai correnti valori di mercato.
Si tratta di un intervento necessario, su cui non varrebbe nemmeno la pena di discutere: l’attuale catasto dei fabbricati è stato impostato nel remoto periodo fra le due guerre, ed è entrato in vigore nel 1939. Un’altra epoca, in cui il patrimonio edilizio nazionale era radicalmente diverso da quello attuale. Gli italiani non avevano garage ma stalle, e molte delle case erano prive di acqua corrente. Era un’Italia ancora fatta di piccole città, per lo più preindustriale, e in cui i pochi uffici esistenti non avevano niente a che vedere con quelli attuali. Il problema è che le rendite attribuite in quell’epoca a categorie di beni immobili, ben diverse da quelle odierne, sono state nel corso dei decenni solo occasionalmente aggiornate, e sono state successivamente elevate mediante l’applicazione di moltiplicatori piuttosto generici, non legati alle specifiche caratteristiche tecniche ed economiche dei beni. L’ultima revisione di questi coefficienti risale al 1988-89, cioè a oltre trent’anni fa.
Parlamento, rissa in commissione sulle tasse
Il ritorno della questione della casa
Da tempo aleggia sull’Europa una nuova questione della casa. I prodromi di quanto sta accadendo vanno ricercati in politiche errate, nella illusione, coltivata in particolare dai Paesi dell’Europa meridionale, che il problema fosse stato risolto una volta per tutte, o che ci si avviasse a risolverlo definitivamente trasformando i cittadini in proprietari. L’abbandono, da parte di Spagna e Italia, dei programmi di edilizia popolare, e nel nostro Paese la cessione di parte del patrimonio pubblico (avviata in grande stile dal 1993, con la legge Nicolazzi), hanno creato le premesse per l’esplodere di uno scarto tra domanda e offerta di alloggi, che diviene oggi drammatico in realtà metropolitane come Barcellona, Roma, Milano. Ma anche lì dove le politiche di housing pubblico non si sono mai esaurite – come a Londra, come a Parigi –, anche lì dove ancora predomina l’affitto, come a Berlino, si sperimentano difficoltà abitative estreme.
Se pare ormai esaurito il ciclo di lotte che ha portato al governo in Spagna Podemos – che, ricordiamolo, doveva la sua nascita alle lotte degli indignados, vittime della crisi del 2008, gli espropriati cui era stata sadicamente sottratta dalle banche la casa acquistata col mutuo e spesso già in buona parte pagata –, la questione riemerge prepotentemente altrove, nei disordini e nei movimenti di rivendicazione che attraversano le città europee, nel referendum berlinese per l’esproprio di una parte del patrimonio delle grandi immobiliari (di cui abbiamo già parlato su “terzogiornale”); e si riaccende anche nelle polemiche che investono le grandi torri di abitazione realizzate dagli immobiliaristi e rimaste vuote a Londra, o quelle di lusso andate a fuoco a Milano, di cui pure abbiamo già scritto.
Lega, una tempesta per finta: il governo non rischia
Enrico Letta ha definito l’episodio “gravissimo”, ha convocato i ministri del Partito democratico per discuterne e ha accusato la Lega di voler fare “saltare il banco” della maggioranza parlamentare. Ma l’assenza dei rappresentanti leghisti dal Consiglio dei ministri che ha dato il via libera al testo del disegno di legge delega sulla riforma fiscale, è stata già ridimensionata il giorno dopo, quando Matteo Salvini si è presentato davanti a cronisti e telecamere denunciando una “patrimoniale nascosta” e sventolando i fogli con le norme incriminate. “Basta togliere questi due commi dalla delega fiscale e facciamo un buon servizio al Paese, non alla Lega”, ha spiegato.
Ora, la drammatizzazione deve essere sembrata al Pd una brillante mossa per animare il dibattito politico in vista dei ballottaggi e scavare nelle contraddizioni interne alla destra. Ma immaginare che la Lega e i suoi referenti nel mondo delle imprese, delle professioni e della rendita, vogliano una crisi del governo Draghi per due commi di una delega rappresenta uno sforzo eccessivo di creatività.