
Se nel futuro ci saranno ancora storici, qualcuno si chiederà sicuramente come sia stato possibile che i leader europei di inizio millennio abbiano commesso tutti i medesimi errori, schiudendo autostrade ai movimenti xenofobi e sovranisti. A questo destino non si sottraggono i governi del Regno Unito. I laburisti, a un anno dalla tornata elettorale che li aveva visti affermarsi in maniera schiacciante sui Tories, appaiono oggi in difficoltà, incalzati nei sondaggi dal nuovo partito Reform UK capeggiato dal discusso Nigel Farage, in buona parte diretto responsabile della Brexit.
Farage è figura politicamente modesta, un opportunista politico abituato a buttarsi lì dove sente tirare il vento. Dal punto di vista culturale non ha spessore, campicchia di slogan, battute e gesti clamorosi; forse è Salvini il personaggio della politica italiana che gli si può maggiormente avvicinare. Farage sa usare i media, non parla se non occasionalmente di inflazione, dei crescenti problemi dell’assistenza sanitaria, del degrado delle infrastrutture, di quell’insieme di negatività in buona parte frutto avvelenato della stessa Brexit da lui alimentata, mentre l’argomento su cui insiste quasi ossessivamente è l’immigrazione. Con la sua retorica xenofoba, è riuscito a radicalizzare il dibattito fino a far accettare dall’opinione pubblica inglese, in precedenza piuttosto refrattaria a questo tipo di argomenti, anche l’idea della re-migrazione, già cavallo di battaglia di Alternative für Deutschland in Germania e della Freiheitliche Partei di Kickl in Austria. Una propaganda continua che Reform UK mette in atto ossessivamente speculando su ogni fatto di cronaca nera che veda coinvolti migranti, e che fa breccia nei ceti popolari stremati dall’aumento dei prezzi al consumo e dall’incremento delle bollette.
Per ora, nonostante l’aumento dei consensi nei sondaggi, Reform UK sembra però ancora un’armata Brancaleone, un partito più o meno improvvisato con un numero ridottissimo di persone competenti, anche se stanno giungendo transfughi dalla nave dei conservatori che pare prossima ad affondare. La luce malsana che il partito di Farage emana attira falene politiche in cerca di ricollocazione. Ma, al di là del furore xenofobo e del sovranismo, c’è ben poco. Un articolo dell’“Economist” di un paio di settimane metteva in ridicolo le proposte economiche del partito di Farage, e richiamava l’economia futurista di Liz Truss, che rischiò di fare sprofondare la sterlina.
A complicare ulteriormente il quadro politico ci si è messo anche il nuovo partito fondato da Jeremy Corbyn, storico leader laburista, che accusa Starmer di avere tradito gli ideali di riforma sociale. Il nuovo partito, che si dichiara socialista e pacifista, per il momento ha solo una sigla provvisoria “Your Party”, ma pare abbia già numerose adesioni e potrebbe sottrarre non pochi voti ai laburisti.
Il problema dell’attuale governo laburista non è rappresentato solo dalla crescita di Reform UK o dal nuovo partitino di Corbyn: nel momento in cui la concorrenza populista si fa più serrata e aggressiva, e si deve fare i conti con la possibile fuoriuscita di una parte dell’ala sinistra, la questione insuperabile che si ripropone è come tenere insieme due obiettivi difficilmente conciliabili: fare tornare i conti dello Stato e tenere fede alla promessa elettorale di difendere e rilanciare il welfare. Il partito di Starmer è inquieto e diviso, nella Camera dei comuni il primo ministro ha dovuto affrontare la protesta di cento parlamentari che si rifiutavano di votare i suoi tagli, ed è stato costretto ad annacquare il provvedimento. Nonostante questo, quattro parlamentari sono stati sospesi: non fanno più parte del gruppo laburista. Il tema che spacca il gruppo parlamentare del Labour è quello, annoso e mai risolto, del welfare in rapporto al risanamento del bilancio. Certo, il manifesto elettorale era fin troppo ambizioso, viste le condizioni in cui versava il Paese. Starmer aveva promesso molto, e non è stato in grado di mantenere quanto annunciato, dato che per ora si è vista una politica economica molto cauta e, paradossalmente, non troppo lontana da quella dell’ultimo quindicennio di governi conservatori. Anche in politica estera le sue posizioni quasi filo-israeliane non hanno contribuito a migliorarne l’immagine, e hanno suscitato feroci polemiche. Se non sarà in grado di sciogliere questi nodi, e di avviare il processo di implementazione dei servizi a lungo ventilato, ne pagherà inevitabilmente le conseguenze politiche. Ogni mossa sbagliata è ormai foraggio per Farage.
La popolarità del premier è ai minimi storici. Non gli hanno certo giovato piccoli scandali, come quello che ha travolto la vicepremier Angela Rayner, che ha dovuto lasciare il governo per una questione privata relativa all’acquisto di un appartamento su cui non avrebbe pagato parte delle tasse (il Regno Unito non è l’Italia… e questi errori si scontano subito, ancora prima che si esprimano i tribunali). Starmer per ora se l’è cavata indicando come nuovo vicepremier e ministro della Giustizia David Lammy, mentre Yvette Cooper ha preso il suo posto agli Esteri, sostituita da Shabana Mahmood agli Interni e come responsabile della politica sull’immigrazione. L’impressione è che il primo ministro abbia voluto stringere le file, chiamando intorno a sé figure a lui favorevoli dentro il partito: la Rayner era esponente di parte starmeriana, ma guardava abbastanza a sinistra. L’obiettivo di Starmer è quindi dare l’immagine di un partito che non è spaccato come sembra, per potere proseguire sulla linea del risanamento del bilancio portata avanti dal cancelliere dello Scacchiere, cioè ministro dell’Economia, Rachel Reeves.
Detto questo, però, siamo a poco più di un anno dall’inizio della legislatura. Ciò significa che il primo ministro, che gode di una maggioranza schiacciante all’interno della Camera dei comuni, ha davanti a sé una prospettiva di quasi quattro anni di governo, nei quali può succedere di tutto e si può ribaltare l’attuale giudizio negativo dell’opinione pubblica. Reform UK ha al momento il vento in poppa nei sondaggi, che tuttavia in Gran Bretagna sono molto più soggetti a rapide variazioni di quanto non avvenga in genere in Italia. La larga maggioranza parlamentare – e dunque la prospettiva di governare fino a fine legislatura – potrebbe dare a Starmer la possibilità di risalire la china; ma l’enorme posta in gioco è quella di riuscire a introdurre degli elementi di riforma e di miglioramento delle prestazioni welfariane senza fare troppo debito. Difficile avanzare pronostici, ma se anche il Regno Unito finisse per venire travolto dal vento populista e sovranista, che soffia sempre più forte in Europa, bisognerebbe fare i conti con l’ascesa di una kakistocrazia, come la chiamava Platone, cioè con l’affermarsi di un dominio dei “cattivi” nel vecchio continente, foriero di guai senza fine.