
Cancellato l’incubo Trump dai sogni dei norvegesi. Alle elezioni legislative di lunedì 8 settembre, per rinnovare i 169 seggi della Storting (il parlamento norvegese) si è affermato di nuovo il Partito laburista dell’attuale premier Jonas Gahr Støre, con il 28,2% (52 seggi) dei voti contro il 26,25 del 2021, mentre il Partito del progresso, di estrema destra – la cui leader, Sylvi Listhaug, ha fatto sue le modalità comunicative del tycoon –, è arrivato secondo, con uno straordinario 23,9% (46 seggi), ben dodici punti in più rispetto al 2021. Il cosiddetto “Blocco rosso” è formato dai laburisti, dalla Sinistra socialista, dal Partito di centro (ciascuno con 10 seggi), dai verdi (8 seggi) e dal Partito rosso (9 seggi); la destra invece è riunita nel “Blocco blu” formato dai conservatori (25 seggi), democristiani (7 seggi), liberali (2 seggi) e, appunto, dal Partito del progresso.
Quest’ultimo è fautore di ricette fortemente liberiste e xenofobe, e aveva già fatto parte di coalizioni di governi di centrodestra, dal 2013 al gennaio 2020. Complessivamente, la coalizione di sinistra che, sia pure con alterne vicende – rottura con i socialisti su ambiente e welfare, e poi con i centristi su politica energetica relativa all’Unione europea – ha guidato il Paese nella legislatura appena terminata, ha conseguito 89 seggi contro gli 80 della destra guidata da Listhaug. La destra è stata sconfitta anche a causa del pessimo risultato dei conservatori di Erna Solberg, che hanno preso solo il 14,6%, il risultato peggiore dal 2005, contro il 20,35 di quattro anni fa. Tornando alla sinistra e ai suoi alleati, male anche il Partito di centro, passato dal 13 al 5,6%. Avevamo accennato alle difficoltà che il governo ha dovuto affrontare per restare a galla. Al momento, Støre guida un governo di minoranza, che resiste grazie all’appoggio esterno dei centristi e dei socialisti, i quali, nel 1973, diedero vita a una coalizione di diversi partiti, tra i quali gli ecologisti e i comunisti.
La vittoria laburista (in controtendenza in quell’area geografica, dato che in Svezia e in Finlandia governa il centrodestra) sarà messa alla prova delle differenze tra il primo partito della sinistra norvegese e i socialisti alla sua sinistra. Uno dei temi più divisivi, negli ultimi mesi, è stato il rapporto tra Israele e il gigantesco Fondo sovrano, uno strumento di investimento pubblico controllato direttamente dal governo, nel caso particolarmente ricco, il più grande al mondo per asset, con quasi 1.700 miliardi di euro, grazie, in particolare, agli enormi proventi derivati dalle risorse petrolifere.
Una delle condizioni poste dai socialisti, per il loro appoggio al governo, è uno stop agli investimenti in Israele. Un tema, quello di Israele e della sua guerra di sterminio, che sta caratterizzando tutti i Paesi europei: la Norvegia non sfugge alla regola. La richiesta è di disinvestire completamente dalle aziende israeliane, il che vede però contrari i laburisti perché, così facendo, si violerebbe la tradizionale neutralità del Fondo. Neutralità che in realtà sarebbe già stata violata, visto che qualcosa nella direzione richiesta dalla sinistra è stata già fatta dieci giorni fa. Il Fondo, infatti, ha disinvestito dal gruppo statunitense di attrezzature per l’edilizia Caterpillar e da cinque gruppi bancari israeliani: la società First International Bank of Israel, la holding Fibi Holdings, la Bank Leumi Le-Israel Bm, la Mizrahi Tefahot Bank e la Bank Hapoalim. La ragione è stata così spiegata: la Norges Bank Investment Management (il ramo della Banca centrale norvegese che gestisce il Fondo) ha definito inaccettabile il “rischio” che le società possano contribuire economicamente alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele a Gaza e in Cisgiordania, dove l’americana Caterpillar fornisce a Israele alcuni dei bulldozer utilizzati per demolire le case e le strutture dei palestinesi.
Nel Fondo esiste un organismo etico di controllo secondo il quale “nella valutazione del consiglio, non vi è dubbio che i prodotti Caterpillar vengano utilizzati per commettere violazioni estese e sistematiche del diritto internazionale umanitario”, e che i bulldozer prodotti da Caterpillar “venivano utilizzati dalle autorità israeliane per la distruzione illegale e su vasta scala di proprietà palestinesi”. Il consiglio ha altresì aggiunto che “l’azienda (Caterpillar, ndr) non ha attuato alcuna misura per impedire tale utilizzo”. Non solo: “poiché le consegne dei macchinari in questione a Israele sono ora pronte a riprendere, il consiglio ritiene che vi sia un rischio inaccettabile che Caterpillar stia contribuendo a gravi violazioni dei diritti individuali in situazioni di guerra o conflitto”. Aggiungiamo che il Fondo aveva già disinvestito da decine di aziende israeliane.
Insomma, alcune decisioni di fatto avrebbero già violato la citata neutralità del Fondo: questo è dunque un argomento che non può più essere utilizzato per fare muro contro altre sanzioni volute dalla sinistra. Sono stati proprio i temi di politica estera a mettere, in parte, la sordina ai problemi del Paese, anche se, ovviamente, nel confronto hanno trovato spazio tematiche quali fisco, sanità, potere d’acquisto e differenze sociali. Quest’ultimo nodo rappresenta parzialmente una sorpresa in un Paese che, come gli altri vicini scandinavi, aveva fatto della giustizia sociale e del welfare un vero e proprio fiore all’occhiello. Ma le cose non stanno più così da tempo. Secondo la testata online “Blozine”, “negli ultimi dieci anni, la percentuale di persone che vivono in famiglie a basso reddito in Norvegia è passata dall’8,1% al 10,1%. Il 30% degli immigrati è a rischio povertà contro meno del 15% dei cittadini nati in patria”. Anche in Norvegia i diktat liberisti non sembrano avere trovato ostacoli: “le politiche fiscali favorevoli ai redditi più alti – informa ancora “Blozine” – sommate all’impennata dei prezzi delle abitazioni, hanno reso quasi impossibile per i giovani accedere alla casa senza l’aiuto economico dei genitori, alimentando un ciclo intergenerazionale di diseguaglianza”.
La povertà non risparmia neanche i più piccoli. Sono migliaia i bambini che vivono una condizione inimmaginabile in Norvegia, tanto da collocarla al 35° posto su 39 Paesi Ocse ed europei per l’efficacia delle politiche contro la povertà minorile. “Tra il 2012 e il 2021, la povertà infantile è cresciuta del 10,1%. Dietro questa percentuale ci sono migliaia di bambini che vivono in condizioni che limitano il loro accesso a una vita sana e alle opportunità educative. Sebbene i dati più recenti – sottolinea “Blodzine” – indichino una lieve diminuzione, dall’11,3% al 10,6% tra il 2021 e il 2022, il confronto con il periodo 1999-2001, quando la povertà infantile si attestava al 3,3%, evidenzia un peggioramento significativo”. I dati forniti dall’Unicef sono poi impietosi: “più di 102.000 bambini norvegesi vivono oggi in famiglie con un reddito inferiore al 60% di quello mediano”. Con questo quadro è già tanto che i laburisti, che poco hanno fatto per arginare la deriva, siano ancora il primo partito. Ma tra guerra e liberismo si fa presto a perdere il primato.