È abbastanza facile il giudizio sulla tornata elettorale in Toscana. Anche se il “campo largo” qui è andato bene (come del resto ci si aspettava), non c’è nulla da cambiare rispetto al giudizio sul “campo largo” andato male (vedi qui). La considerazione nasce dalla bassissima affluenza alle urne, inferiore di oltre un paio di punti al 50%, in proporzione (se commisurato al dato della precedente consultazione) perfino al di sotto di quella della Calabria della settimana scorsa. Lo scriviamo con un particolare senso di amarezza, in quanto, se il Mezzogiorno è sempre stato piuttosto problematico rispetto al senso civico e alla partecipazione democratica, non così la Toscana, regione di una grande e storica presenza delle sinistre. Perché le persone, pur magari persuase in anticipo che il presidente della Regione uscente Eugenio Giani sarebbe stato il vincitore, non sono andate comunque alle urne per battere la destra, quindi anche per mandare un segnale al governo Meloni, con tutta la determinazione che ci vorrebbe?
È vero che il candidato Giani non suscitava entusiasmi. La segretaria Schlein aveva provato a cambiarlo, anche in nome dell’alleanza con i 5 Stelle, che non facevano parte della coalizione del 2020, e invece in questa tornata elettorale, un po’ obtorto collo, hanno finito con l’appoggiarlo in quanto presidente uscente. Ma ancora una volta, con un risultato al di sotto del 5%, Conte e i suoi hanno mostrato di non riuscire, con i “progressisti indipendenti”, a trascinarsi dietro il composito elettorato ex grillino. L’astensionismo è in gran parte l’effetto di una crisi dei 5 Stelle. Ma evidentemente non c’è solo questo. Lo stesso Partito democratico, pur con una percentuale vicina al 35%, non ce la fa – inutile nasconderselo – a rimotivare una quantità di cittadini e cittadine che seguitano a dichiarare la propria disaffezione non recandosi alle urne.
Vanno bene, e non può che farci piacere, le liste di sinistra sia interne alla coalizione – cioè quelle dell’Alleanza verdi-sinistra al 7% – sia esterne, ossia “Toscana rossa” di Antonella Bundu, con il 5% circa. Questi risultati mostrano che c’è ancora un “nocciolo duro”, soprattutto in alcune città toscane (per esempio Livorno), che non ci sta a buttare a mare una bella storia di presenza delle sinistre.
Il punto dolente del risultato elettorale complessivo è la relativa affermazione di “Casa riformista”, l’ultima buffonata di Matteo Renzi, che, insieme con una civica dedicata direttamente al presidente uscente Giani, supera l’8%. L’abbiamo già scritto e riscritto: Renzi può cantare vittoria a livello nazionale ogni volta che riesce nella sua linea “di disturbo” a sinistra – pur considerando, e la cosa non è trascurabile, che la Toscana è la sua terra. A noi farebbe più piacere che Renzi andasse male anzi malissimo, così da non poter pesare più di tanto sulla (futura) coalizione di centrosinistra e sul suo (futuro) programma che dovrà, a un certo punto, pur essere scritto a grandi linee. Per fare solo un esempio, però importante: se la segretaria Schlein insiste, e fa bene a farlo, sulla sanità pubblica, vorremmo poi trovare nero su bianco, in un programma comune, come si pensa di rifinanziarla in modo adeguato. A nostro parere sarebbe chiaro come farlo: aumentando le tasse sui più ricchi. Ma uno come Renzi, che dei più ricchi non è che il cavallo di Troia, come potrebbe essere messo a tacere?
In conclusione, questa tornata elettorale mostra, una volta di più, come tutti i nodi del “campo largo” siano irrisolti. E non c’è da gioire più di tanto se si pensa che in una regione civile come la Toscana, con la sua storia di “lotte per il progresso” (espressione volutamente vaga, che serve però a rendere l’idea), una percentuale di elettori inferiore al 50% abbia dato ben il 26% a un miserabile partito postfascista, finito per giunta alla guida del Paese. Non c’è stato, insomma, quel sussulto democratico che pure ci si sarebbe potuto attendere, vista la situazione in cui versa la politica italiana.









