D’accordo, le elezioni regionali nelle Marche e in Calabria sono andate parecchio peggio del previsto. Ma quale sarebbe l’alternativa al “campo largo”? Non è che un eventuale “campo ristretto”, mettendo fuori Conte e i suoi, sarebbe andato meglio. E neppure, d’altro canto, si può stare là a stracciarsi le vesti se l’ultima trovata di Renzi per tenersi a galla, una buffonesca “Casa riformista”, in Calabria ha preso più dell’Alleanza verdi-sinistra che non ha avuto neppure un seggio. Evidentemente un “campo largo” è proprio così, un po’ più a destra o un po’ più a sinistra non cambia molto: scontenterà sempre qualcuno.
Le ragioni dell’insuccesso, del resto tra loro collegate, dipendono soprattutto dalla bassissima affluenza alle urne e dalla crisi dei 5 Stelle, che stentano a superare il 5%. E pour cause, si potrebbe dire. La formazione qualunquo-populista messa su da Grillo e compagni ha subìto, con Conte, una vera e propria mutazione genetica. Si pensi che fa oggi parte, nell’europarlamento, della Sinistra europea, cioè di un gruppo che ha al suo interno, tra gli altri, quelli di Mélenchon. Ora, che questi abbia giocato la carta cosiddetta “populista di sinistra” è cosa nota; ma i 5 Stelle “di sinistra” originariamente non avevano nulla, il loro era piuttosto un “populismo di centro”, se così vogliamo chiamarlo. Questo per dire che il processo di cambiamento in cui si è imbarcato Conte, con i suoi “progressisti indipendenti”, non può che mostrarsi dubbio e incerto, lasciando molti dei suoi elettori a casa. Le alleanze, inoltre, non sono il forte di quell’elettorato, che evidentemente preferiva una prospettiva isolazionista alla Grillo e Casaleggio. Così, perfino il candidato Tridico, che pure con il suo “reddito di cittadinanza” qualcosa per il Sud aveva fatto, è andato male o comunque peggio del previsto.
Arriviamo al Pd. In questo partito c’è un’aria di pre-scissione. I renziani rimasti al suo interno potrebbero riaccasarsi proprio con Renzi. È una iattura della politica italiana che in essa trovino posto i Mastella, un tempo, e adesso i Calenda e i Renzi. Ma non c’è niente da fare: questi personaggi – sottoprodotti dell’implosione del vecchio centrismo democristiano – ce li troveremo sempre tra i piedi. Non si sa che cosa veramente si aspettino dalla politica, salvo cercare di essere determinanti, con percentuali elettorali irrisorie, per la costruzione di alleanze. E questo, ahinoi, è un obiettivo raggiungibile.
Ciò detto, non si può negare che la segretaria Schlein, che pure ha dato una smossa alla completa inerzia in cui giaceva il partito, non sia riuscita ad attirare il voto dei non pochi delusi ritiratisi nell’astensionismo. C’è stato probabilmente, parlando in generale, un drenaggio di consensi che, dai 5 Stelle, sono andati o ritornati al Pd; ma ciò non ha compensato quasi per nulla, in termini complessivi, l’erosione degli stessi 5 Stelle. Intendiamoci, non stiamo dicendo che questi siano destinati alla morte politica. Il punto non è qui: piuttosto c’è il fatto che, presi insieme e con tutte le tensioni tra loro, Schlein e Conte non riescono a incidere più di tanto sull’astensionismo.
Non sapremmo in verità che cosa suggerire, se non una cosa addirittura banale: lavorare, già da domani, a un chiaro programma comune. La disaffezione alle urne si può battere forse così: mostrando unità e nitidezza di intenti. E poi certamente, nel programma comune, vanno inseriti degli obiettivi credibili e persuasivi per coloro che oggi, in questo Paese, sono costretti a salari quasi da fame, a vedere crescere le diseguaglianze, a vivere nell’assenza di prospettive.








