Si direbbe che non aspettassero altro. Gli incidenti in cui è recentemente incorsa Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, sono stati lo spunto, da parte di coloro che l’hanno sempre avversata – dalla destra di governo ai cosiddetti “riformisti” del Pd, passando per le comunità ebraiche –, per riaprire le ostilità nei confronti di una giurista che ha la colpa di avere denunciato, fin dall’inizio, il massacro dei palestinesi perpetrato dal governo di Benjamin Netanyahu all’indomani della strage di israeliani attuata dai fondamentalisti islamici di Hamas, il 7 ottobre di due anni fa. Ma ricostruiamo rapidamente come sono andate le cose.
Dopo mesi e anni di attacchi, di cui la giurista è stata vittima – però difesa dalla sinistra radicale, da associazioni umanitarie come Amnesty International, oltre che dalle stesse Nazioni Unite –, la segretaria del Pd, Elly Schlein, era riuscita faticosamente ad avere la meglio sulle suddette componenti del suo partito, dando così il via a iniziative in suo favore da parte di diversi e importanti comuni italiani a guida democratica: da Bari a Padova, da Reggio Emilia a Firenze, e in particolare a Bologna, dove il sindaco Lepore aveva già esposto la bandiera della Palestina (costretto poi ad affiancarla a quella israeliana). Ma alcune dichiarazioni e atteggiamenti di Albanese hanno rimesso tutto in discussione, ridando dunque fiato ai suoi avversari. Dalla bacchettata al sindaco di Reggio Emilia, Marco Massari – che aveva affermato, nel corso della cerimonia per l’onorificenza a lei conferita, una cosa sostanzialmente ovvia, ovvero che per arrivare alla fine del massacro bisognava, da un lato, liberare gli ostaggi e, dall’altro, mettere fine ai bombardamenti –, fino alle dichiarazioni nei confronti della senatrice Liliana Segre, non attendibile secondo Albanese nel valutare se a Gaza è in corso o meno un genocidio, avendone vissuto lei stessa uno, e dunque non lucida nel valutare ciò che succede nella Striscia. Ragionamento stravagante e contorto, di cui avremmo fatto volentieri a meno, anche considerando le conseguenze di cui sopra.
Contro di lei si è scagliato con forza il professore di Scienze politiche Gianfranco Pasquino, che non si è limitato ad attaccare l’attivista, ma anche il movimento pro-pal, riducendo l’enorme mobilitazione nazionale e internazionale agli scontri che si sono verificati a Bologna nei giorni scorsi. A seguire, le europarlamentari Pina Picierno, che definisce la relatrice Onu “narcisista e arrogante” dall’alto delle sue amicizie con associazioni vicine ai coloni israeliani (vedi qui), Elisabetta Gualmini, che bolla Albanese come “divisiva”, Sandra Zampa, senatrice del Pd, prodiana doc, e la lista dei nomi potrebbe continuare.
Considerando che la colpa di Albanese sarebbe quella di denunciare senza esitazioni le vessazioni di cui sono vittime i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, viene da pensare che siamo di fronte a dei negazionisti veri e propri che, per ragioni forse inconfessabili, non riconoscono un dato di realtà. A questo quadro, si aggiungono i diversi mal di pancia all’interno dei citati comuni, con la sospensione, in alcuni casi, del conferimento del premio come accaduto a Padova.
Questa ripresa dello scontro tra i sostenitori e gli avversari della funzionaria Onu è stata affiancata da un altro dibattito, riportato dal quotidiano “Huffington Post”, che con l’attivista non c’entra però proprio nulla. Ovvero, come sostiene di nuovo Pasquino, circa la tendenza del Pd a cercare un cosiddetto “papa straniero”, non essendo in grado di trovare al proprio interno una leadership degna del nome (che per la verità già è in campo, sia pure con tutti i difetti che abbiamo più volte descritto). Certamente quello che segnala il professore è un problema reale, visti i tormenti che affliggono il Pd fin dalla sua nascita. Al riguardo, l’ex senatore della Sinistra indipendente cita, per esempio, figure come il britannico Tony Blair, il greco Alexis Tsipras – in realtà punto di riferimento della sinistra radicale –, fino all’attuale premier spagnolo Pedro Sánchez. Insomma, il maggior partito del centrosinistra italiano sarebbe alla ricerca di figure simili sul territorio nazionale senza trovarle. Ma a questi nomi aggiunge figure come Albanese, o l’ambientalista filopalestinese Greta Thunberg, donne che poco c’entrano con la ricerca di una figura esterna come leader di quello schieramento. Nulla di nuovo, in realtà, in quanto persone con queste caratteristiche sono sempre state punti di riferimento su temi tutt’altro che “divisivi” – come sostiene Pasquino – per una qualsiasi sinistra non rinchiusa nei palazzi del potere. Il professore considera Albanese “un surrogato effimero alle mancate risposte offerte dai partiti”. Insomma, “un segno di debolezza”. Ma se debolezza c’è, riguarda l’incapacità di assumere con convinzione delle posizioni nette, in questo caso sulla questione israelo-palestinese. Un limite, certo, ma per ragioni diverse da quelle addotte da Pasquino.
Non si può non essere solidali con una donna coraggiosa come Francesca Albanese, oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti e tacciata di antisemitismo, accusa peraltro respinta, nel 2022, da sessantacinque esperti dell’Olocausto. L’ultimo terribile pezzo di storia del conflitto israelo-palestinese, il più cruento dalla nascita dello Stato ebraico, ci sta riservando affermazioni impensabili fino a pochi anni fa. Dalle dichiarazioni della ministra alle Pari opportunità e alla famiglia, Eugenia Maria Roccella, che di fronte a un’assemblea della Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) ha liquidato i viaggi ad Auschwitz, organizzati con gli studenti, come delle inutili “gite” – senza che le comunità ebraiche aprissero bocca –, fino alle affermazioni della direttrice dell’ufficio stampa Rai, Incoronata Boccia, secondo cui non ci sarebbero prove dei mitragliamenti israeliani contro i gazawi: dichiarazioni che hanno provocato un’altra ondata di sdegno. Invece, a fronte di tanta barbarie, sostenere Albanese è un atto di civiltà, che non dovrebbe essere messo in discussione in alcun caso.










