
Prese a calci e pugni, spinte, private del telefono, dei soldi e delle carte di credito. È l’inferno che hanno vissuto tre ragazze transessuali fuori da un locale nei pressi di Piazza delle Province, a Roma, nella notte tra sabato 31 maggio e domenica primo giugno. Le immagini, rilanciate dalla pagina social “Welcome to Favelas”, mostrano attimi di violenza brutale, da cui una delle vittime è uscita con otto giorni di prognosi. “Il video dell’aggressione a Guendalina Rodriguez e alle sue amiche rappresenta lo stato di insicurezza in cui vive la comunità trans e Lgbtqia+ in Italia”, ha dichiarato Rosario Coco, presidente di Gaynet. Sono in costante aumento le aggressioni, e una delle donne aggredite aveva già subìto un pesante pestaggio da parte di dodici uomini nel viterbese solo nell’agosto scorso. È l’ennesima conferma di un sistema, quello italiano, che, mancando di tutele legali specifiche, ostacola in ogni modo la libertà di genere e i diritti, in un clima politico che alimenta la stigmatizzazione.
Secondo l’edizione 2025 della Rainbow Map di Ilga-Europe, che valuta la situazione legale e politica dei diritti umani per le persone Lgbtqia+ in Europa, l’Italia è precipitata al 36esimo posto su quarantanove Paesi, con un punteggio di 25,41%. Si colloca benal di sotto della media europea del 42%, anche dietro a Paesi tradizionalmente ostili alla tutela delle persone Lgbtqia+, come l’Albania e l’Ungheria. Le principali lacune si registrano nel riconoscimento legale del genere, nella protezione da crimini d’odio e nella tutela delle famiglie omogenitoriali. In cima alla classifica, ci sono Paesi come Malta, l’Islanda e il Belgio, in cui invece questo tipo di norme è da tempo consolidato.
Tutte e tutti ricordiamo quando, il 27 ottobre 2021, in Senato la destra applaudì la bocciatura del disegno di legge Zan, una proposta di legge che avrebbe introdotto aggravanti specifiche per i reati legati a omolesbobitransfobia, misoginia e abilismo. Il testo fu affossato con 154 voti contrari, tra accuse infondate di voler introdurre la fantomatica “teoria gender” nelle scuole. Intanto, le persone Lgbtqia+ continuavano, e continuano, a essere marginalizzate, aggredite, costrette al silenzio o all’esilio.
Nel 2022, la professoressa Cloe Bianco, donna trans, si tolse la vita nel bellunese dopo essere stata sospesa da un liceo e pubblicamente denigrata: il suo coming out era stato definito una “carnevalata” da rappresentanti politici locali. Lasciò una lettera da brividi, un addio che pesa sulla coscienza collettiva di un Paese incapace di garantire sicurezza e dignità. Da allora le cose non sono cambiate: restano numerose le persone Lgbtqia+ che, in Italia, si sono tolte la vita – alcune minorenni – o che hanno subìto aggressioni fisiche e psicologiche. Tante sono state costrette ad abbandonare il Paese. A confermare questa emergenza, tra il maggio 2024 e l’aprile 2025, il progetto “Cronache di ordinaria omotransfobia” di La Tenda di Gionata, coordinato da Massimo Battaglio e pubblicato su “omofobia.org”, ha registrato 105 episodi di omotransfobia in Italia, con 154 vittime. Episodi che vanno dalla violenza fisica all’aggressione verbale, fino a casi di discriminazione istituzionale o familiare. E sono solo quelli emersi: la maggior parte delle persone, come spesso accade, resta sommersa, silenziata dalla paura e dalla solitudine.
L’estrema destra al governo continua a demonizzare identità non conformi, ostacolando strutture di supporto e realtà che hanno programmi ad hoc sulla disforia di genere, come l’Ospedale Careggi di Firenze, e promuovendo leggi retoriche che cancellano ogni spazio di autodeterminazione. Basti pensare che tra i rappresentanti italiani in Europa figura il generale Roberto Vannacci, che ha definito gli omosessuali come “non normali” nel suo libro Il mondo al contrario. Il che ben fotografa una cultura, anche istituzionale, che continua a legittimare odio e disuguaglianza. Addirittura, e sembra incredibile, il nuovo volto di Forza Italia, Simone Leoni, durante la sua proclamazione a segretario di Forza Italia Giovani, si è espresso con veemenza contro questa deriva anacronistica e oscurantista, citando proprio Vannacci.
Di fronte a un sessismo istituzionalizzato, la protesta non è solo legittima: è urgente. Serve un altro sistema, fondato su una sicurezza vera, costruita insieme. L’ultima aggressione transfobica è avvenuta a due settimane esatte dal Gay Pride istituzionale e dal Priot Pride indipendente organizzato dal basso. E chiama con forza, sabato 14 giugno, all’azione: basta con le discriminazioni e con le politiche basate sul controllo ideologico del corpo.