
Papa Francesco ha prestato particolare attenzione, durante il suo pontificato, all’America latina. A pochi mesi dall’elezione del 2013, il suo primo viaggio all’estero lo portò a Rio de Janeiro, per la XXVIII Giornata mondiale della gioventù, un evento che riunì milioni di fedeli sulla spiaggia di Copacabana. In quella occasione, visitò la favela di Varginha, dove si rivolse ai suoi abitanti con un “Non siete soli, il papa è con voi”. E il 2015 fu l’anno di altri due viaggi importanti.
Il primo, in luglio, in Ecuador, Bolivia, Paraguay, dove toccò temi come la povertà, la corruzione e la necessità di un cambiamento strutturale nell’economia e nella società. Il secondo, nel settembre dello stesso anno, corrispose a uno dei compiti che si era prefisso con il suo pontificato, quello di mediare i numerosi conflitti che agitano la regione. Nel preparare il viaggio a L’Avana, Francesco si spese per normalizzare le relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba, anche attraverso negoziati segreti in Vaticano e inviando suoi messaggi a Barack Obama e a Raúl Castro. Clamorosa la visita nella residenza privata di Fidel, ormai verso la fine della sua vita, che da ragazzo aveva studiato dai gesuiti. Con il riavvicinamento tra gli Stati Uniti e Cuba, ottenuto grazie alla sua mediazione, Francesco avrebbe anche contribuito a inverare una presunta profezia – da qualcuno attribuita a Fidel e risalente al 1973 – con la quale il líder máximo avrebbe sottolineato l’impossibilità di un dialogo con gli statunitensi. Secondo tale profezia, gli Stati Uniti avrebbero dialogato con Cuba il giorno in cui avessero avuto per presidente un afroamericano e quando ci fosse stato un papa latinoamericano. Proprio il caso che la storia aveva offerto, in quel torno di tempo, con il papato dell’argentino Bergoglio e con la presidenza di Obama. Aneddoti a parte, durante il suo soggiorno, Francesco aveva esortato Cuba a percorrere le strade di “giustizia, pace, libertà e riconciliazione”, sottolineando l’importanza del dialogo per superare decenni di tensioni politiche. “Ringrazio il papa per quello che ha fatto per Cuba. Leggo tutti i suoi discorsi, e se il papa continua a parlare così, pregherò di nuovo e tornerò alla Chiesa. E non lo dico per scherzo”, disse Raúl Castro durante una visita in Vaticano. A sua volta Obama, prima di ricevere Francesco alla Casa Bianca: “Santo Padre, siamo grati per il suo prezioso sostegno al nostro nuovo inizio con il popolo cubano, che offre la promessa di migliori relazioni tra i nostri Paesi, una maggiore cooperazione in tutto il continente e una vita migliore per il popolo cubano”. Cuba ha reso omaggio, nei giorni scorsi, a papa Francesco con una messa nella cattedrale dell’Avana, alla quale ha partecipato Miguel Díaz-Canel Bermúdez, presidente della Repubblica.
Nel febbraio del 2016, diretto alla volta del Messico, Bergoglio approfittò di una sosta tecnica all’Avana per incontrare il patriarca ortodosso Kirill, un evento che avviò il primo dialogo diretto tra le due Chiese dai tempi dello scisma del 1054. Nella sua trasferta messicana, Francesco visitò Città del Messico, il Chiapas e Chihuahua, affrontando temi come il traffico di droga, la povertà e la corruzione.
L’anno dopo, con la visita in Colombia, sostenne il processo di riconciliazione dopo gli accordi di pace con le Farc. Il suo ruolo di mediazione fu riconosciuto dall’allora presidente Juan Manuel Santos, premio Nobel per la pace.
Ancora, nel gennaio dell’anno successivo, fu la volta del Cile e del Perù. Durante la visita in Cile, Francesco ebbe modo di esprimere “vergogna” per gli abusi sessuali commessi da sacerdoti in quel Paese. Soprattutto per il caso del prete Fernando Karadima, i cui abusi il vescovo, Juan Barros, era accusato di avere coperto. Bergoglio aveva giudicato queste accuse una calunnia, attirandosi una serie di proteste durante la sua visita. Una posizione che ritrattò, alcune settimane dopo, dando il via a un’indagine che comportò l’allontanamento di Barros e di altri vescovi. Chiude la serie dei viaggi papali in Sudamerica la visita a Panama per partecipare alla XXXIV Giornata mondiale della gioventù.
Se la diplomazia di Bergoglio ha avuto spesso successo, sonoinvece falliti i tentativi di stabilire un dialogo tra il governo di Nicolás Maduro e i suoi oppositori, i quali lo hanno persino accusato di non avere condannato le violazioni dei diritti umani in Venezuela. Negli ultimi tempi, soprattutto dopo le elezioni del 2024, da più parti giudicate una farsa, il papa è andato inasprendo la posizione nei confronti di Maduro. E nello stesso tempo le relazioni con il regime di Ortega e Rosario Murillo, in Nicaragua, hanno toccato il punto più basso. La radicalizzazione dei regimi di Venezuela e Nicaragua ha segnato un indubbio punto di debolezza della politica estera di questo pontificato.
In quanto primo papa latinoamericano, Francesco ha mantenuto un’alta popolarità nella regione, anche se i sondaggi indicano, da ultimo, un calo delle valutazioni positive. Uno studio del Pew Research Center, del settembre scorso,ha indicato che la percentuale di cattolici, con un’opinione favorevole al papa, è diminuita nell’arco di un decennio. Il calo più vistoso si è registrato in Cile, con meno 15 punti, che lo ha portato a un gradimento complessivo del 64%. E nel suo Paese natale, l’Argentina, con 24 punti in meno e un gradimento del 74%. Per quanto riguarda il Messico, la percentuale con un’opinione negativa è triplicata, passando dal 9 al 27%. Mentre in Colombia l’opinione positiva è scesa dall’83%, del 2013-2014, al 72% dell’anno scorso.
Secondo un sondaggio di Latinobarómetro, l’autorevole organizzazione diretta dalla cilena Marta Lagos, nel 1995 coloro che si dichiaravano cattolici in America latina erano l’80% della popolazione, ma nel 2024 sono calati al 54%. Ciò è avvenuto anche durante il pontificato di Bergoglio, dato che, nel 2013, i cattolici erano il 67% della popolazione. E mentre il numero dei cattolici diminuiva, è cresciuto quello degli evangelici che, nel 2024, sono il 23%, e di coloro che si dichiarano senza religione, che sono il 19%. Negli ultimi trent’anni anni, la Chiesa cattolica latinoamericana ha perso più di settanta milioni di fedeli, quasi interamente membri dei settori medi e poveri della società, che si sono rivolti in massa alle comunità evangeliche.
Dal sondaggio citato, emerge che una vasta maggioranza dei cattolici intervistati desidera che la Chiesa consenta di usare metodi contraccettivi. Un argomento su cui Francesco è rimasto fedele alla posizione tradizionale della Chiesa, contraria ai contraccettivi e all’aborto. Quanto a quest’ultimo, durante il suo pontificato, è stato legalizzato nella sua Argentina e depenalizzato in Colombia e in Messico. Pur essendo contrario all’interruzione della gravidanza, il papa ha però permesso ai sacerdoti di perdonare le donne che hanno abortito, e ha affermato che “essere omosessuale non è un crimine”, senza peraltro correggere la posizione della Chiesa che considera quelle pratiche un peccato. Ha dato sì segnali di cambiamento, ma non ha modificato la dottrina cattolica. Sia nel suo Paese sia nell’America latina in generale, lascia un’eredità di cambiamento e insieme di continuismo. Non avendo mai riveduto le dottrine fondanti della Chiesa, la sua attenzione è stata puntata più sulle forme che sulla sostanza. Per quanto riguarda la morale familiare, ha adottato una posizione più aperta, senza però cambiare nulla. Il fine di Francesco era una Chiesa inclusiva, vicina agli esseri umani, non rigida.
Con la Laudato si’, alla cui stesura Bergoglio aveva chiamato anche esponenti della teologia della liberazione, per la prima volta un papa ha dedicato un’enciclica alla protezione ambientale. In essa Bergoglio addossa la responsabilità del cambiamento climatico e della povertà generata dall’uso eccessivo delle risorse naturali ai Paesi ricchi, alle grandi aziende e al sistema economico globale. Con quel testo, Bergoglio ha rivelato la sua vicinanza a una visione antimperialista propria di chi sia nato in una periferia del mondo saccheggiata dalle nazioni più potenti. Allo stesso tema ha dedicato un Sinodo straordinario, che ha rimesso l’America latina e i suoi problemi al centro del pontificato. Riprendendo l’idea di Simón Bolívar della “Grande Patria”, in un’intervista all’agenzia argentina Telan, Francesco dichiarò: “L’America latina è ancora su quel lento cammino, di lotta, del sogno di San Martín e Bolívar per l’unità della regione. È sempre stata vittima – e sarà vittima fino a quando non avrà finito di essere liberata – di imperialismi sfruttatori”.
A proposito dei popoli originari, durante il suo viaggio in Bolivia, disse: “Voglio dirlo chiaramente, voglio essere molto chiaro. Chiedo perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli originari durante la cosiddetta conquista dell’America”. Ricordandolo, dopo la morte, il presidente Luis Arce ha dichiarato: “Papa Francesco non era solo il leader della Chiesa cattolica, ma anche un amico incondizionato della ‘Grande Patria’ e un fervente difensore dei più vulnerabili. La sua enciclica Laudato si’ è un’eredità fondamentale per pensare e riflettere sulla nostra Madre Terra, sulla crisi climatica e su altri mali che ci affliggono a causa del sistema capitalista predatorio”. Evo Morales, che lo aveva accolto in Bolivia da presidente regalandogli un crocefisso a forma di falce e martello, che scatenò polemiche, lo ha definito un “difensore dei diritti umani, dei valori spirituali e dell’umanesimo, e soprattutto della giustizia”. E l’ex presidente uruguaiano, Pepe Mujica, ha detto che “questo Papa ha rappresentato come una sorta di sguardo critico sul passato recente (della Chiesa, ndr) e ha sempre avuto un gesto di bonomia, e ha aiutato i settori sociali più deboli. Viveva in sintonia con il vecchio messaggio cristiano (…). Sento che aveva bisogno di più tempo, forse di più compagnia nella formidabile battaglia che ha intrapreso”.
Mentre in politica internazionale il suo intervento si è per lo più limitato a mediare in alcuni conflitti, Francesco lascia una notevole eredità per quanto riguarda l’ecologia e i diritti dei migranti. Questioni sulle quali ha rappresentato l’antitesi di Donald Trump.
Fino a quando lo hanno sorretto le forze, Francesco ha sempre detto che una sua visita in Argentina era in vista. Il fatto che Bergoglio non abbia visitato il suo Paese natale non può essere letto come un segno di disinteresse nei confronti dei suoi problemi e della sua situazione sociale e politica. Al contrario, si è sempre tenuto informato su ciò che stava accadendo. Arrivando persino a far smentire, per bocca di un sacerdote a lui vicino, la notizia falsa di una sua approvazione della macelleria sociale messa in campo da Milei. Francesco ha incontrato tutti i presidenti argentini in carica. In totale, tredici incontri. Sette con Cristina Fernández de Kirchner, due con Mauricio Macri, due con Alberto Fernández, e gli ultimi due con Javier Milei, che pure, in campagna elettorale, lo aveva accusato di essere una creatura del demonio e gli aveva dato dell’imbecille per la sua azione a favore dei diseredati. Affermazioni per le quali Milei ha raccontato di essersi scusato con Francesco, che gli avrebbe risposto: “Non scaldarti, sono errori di gioventù”. L’uomo della motosega ha definito Francesco, da morto, “l’argentino più importante della storia”. Due deputati della peronista Unione per la Patria hanno presentato un disegno di legge alla Camera bassa per istituire una nuova festività nazionale, il 21 aprile, giorno della morte del papa, al fine di “onorare la vita e l’opera di chi, come leader mondiale, ha lavorato in difesa dei poveri, delle donne, dei migranti e delle diversità; e ha combattuto per la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente”.
Milei non è giunto in tempo in Vaticano per rendere omaggio al suo concittadino prima della chiusura della bara. Hanno reso omaggio a Francesco l’ecuadoriano Daniel Noboa, il dominicano Luis Abinader, la honduregna Xiomara Castro, e Lula da Silva a capo di una numerosa delegazione, di cui faceva parte anche l’ex presidente Dilma Rousseff. Lula ha detto di avere sentito il bisogno di “rendere i meritati omaggi al Santo Padre”, auspicando “che la sua saggezza, il suo coraggio e la sua compassione continuino a illuminare i cuori di tutti noi”.
Le persone che sono state più vicine a Bergoglio riconoscono che gli sia pesato non visitare il Paese in cui nacque. La spiegazione più convincente della sua scelta si trova nell’analisi che lo stesso Francesco fece riguardo alla politica del suo Paese e, in particolare, della cosiddetta grieta (la “crepa”) di cui l’Argentina soffre, e che consisterebbe nel disfare, da parte dei governi in carica, ciò che hanno fatto quelli precedenti. La presenza in Argentina avrebbe mobilitato folle, generato concentrazioni di massa. Ogni gesto, anche casuale o non voluto, ogni parola, si sarebbero prestati a letture e interpretazioni forse contraddittorie, facendogli apparire concreto il rischio di una strumentalizzazione. “In che casino mi hanno messo”, aveva confessato il porteño Bergoglio, dopo l’elezione, a Guzmán Carriquiry, ex ambasciatore dell’Uruguay in Vaticano, che con lui ha condiviso un’amicizia di oltre mezzo secolo. Il rischio di essere la causa di un casino ancora più grande e dannoso per il suo Paese ha sbarrato la strada a un suo ritorno a Baires, all’amata Reina del Plata della canzone di Carlos Gardel.