Dopo la vittoria, seppur per pochissimi voti, della coalizione di centrosinistra in Sardegna, a molti è parso che finalmente il vento fosse cambiato e la strada fosse spianata. Un eccesso di entusiasmo ci ha fatto troppo presto sperare in un cammino vittorioso del “campo largo”. Il voto in Abruzzo è stato un brusco risveglio. Un eccesso opposto di delusione ci ha cacciato in un immotivato scoramento. Da troppo tempo il dibattito politico a sinistra è incentrato sul tema delle alleanze o delle coalizioni. Tema di grande importanza, visto che non esiste una forza politica egemone da potere pensare di vincere in una corsa solitaria, ma anche tema distraente dai problemi veri.
Il voto abruzzese ha confermato due realtà, che non riguardano solo l’Abruzzo, ma che, con diverse manifestazioni, si possono riscontrare in ogni regione italiana. La prima è l’enorme dato dell’astensionismo. In Abruzzo è cresciuto ancora, di poco, ma è cresciuto. Oggi è intorno al 50% dell’elettorato. Si tratta di elettori delusi dalla politica. Cittadini alle prese con problemi e condizioni di vita, che pensano che la politica non faccia niente o non possa fare niente per risolverli. In genere, questi elettori appartengono ai ceti più poveri, sono parte del mondo del lavoro. La sinistra, per prima cosa, deve porsi il problema di come recuperare forti percentuali di questi elettori. Essa può tornare a vincere solo a condizione di recuperare la fiducia degli elettori popolari che non vanno alle urne. Non sarà certo con mediocri alchimie tattiche volte ad assicurare il consenso di un centro, che esiste più nella convinzione di alcuni che non nella realtà, o con il piccolo cabotaggio di alleanze con Calenda o Renzi, che il problema può essere risolto. Occorre recuperare un’identità di classe. Non nel senso di una vecchia idea operaista, oggi anacronistica, ma per ristabilire una credibilità politica recuperando il ruolo propulsivo e di rinnovamento dei ceti produttivi, fattore di traino per la crescita economica e sociale dell’intero Paese.
Il secondo aspetto è, quello assai noto, delle differenze tra città e campagna. In Abruzzo il centrosinistra vince a Pescara, Teramo e Chieti, nelle città più grandi, ma subisce dure perdite nei tanti piccoli comuni della regione, con un divario che spesso supera il 20%, talora anche il 30%. In un’Italia dei “mille campanili” il problema non è da trascurare. La sinistra ha sfondato nei ceti più colti, nell’intellettualità urbana, tra i laureati e le persone con un elevato livello culturale, anche grazie alle battaglie per i diritti civili, lotte che incontrano il favore dei ceti urbani acculturati, ma che toccano scarsamente le persone afflitte da assillanti problemi nella loro quotidianità. Queste rivendicazioni non hanno generalmente interessato le campagne, le periferie, i piccoli centri. Là dove le esigenze erano quelle dei servizi, del trasporto pubblico, di una sanità efficace e accessibile a tutti, di scuole adeguate o di asili nido, dove i problemi erano quelli del lavoro, del crollo del potere di acquisto dei salari, delle difficoltà delle categorie di piccoli commercianti, artigiani, agricoltori, dei giovani senza prospettive o costretti a emigrare, delle pensioni da fame o di alloggi popolari che non ci sono.
Non tutto però è andato male in Abruzzo. Il Pd non solo ha tenuto, ma ha manifestato un trend in crescita, confermando quanto successo in Sardegna. È bastato che la nuova segreteria Schlein desse un segnale, seppure ancora modesto, di recupero dell’identità di un partito schierato con i ceti popolari, che questo piccolo sforzo è stato ripagato con un piccolo miglioramento. Se questo sforzo aumenterà e continuerà, se il Pd saprà recuperare il ruolo di un moderno partito socialista e riformista, conducendo battaglie per il lavoro, non c’è dubbio che il riconoscimento, anche in termini elettorali, ci sarà.
*Presidente del Circolo Pertini di Sarzana