Apprendere che la scrittrice ebrea Edith Bruck, ungherese naturalizzata italiana, sfuggita per puro caso alla morte nei campi di concentramento nazisti e simbolo storico della lotta al nazifascismo, avesse scelto Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e la Lega di Matteo Salvini come suoi riferimenti politici ci ha fatto sobbalzare sulla sedia. Come se non bastasse, ha aggiunto che la sinistra è sostanzialmente amica di Hamas, cioè di chi lo scorso 7 ottobre ha organizzato l’attacco che ha portato alla morte di oltre millecinquecento israeliani, e, dulcis in fundo, che agli immigrati non va più riservata quell’accoglienza, che pure lei ha sempre auspicato, perché in quelle persone potrebbe nascondersi “un nemico”, sue testuali parole, di Israele.
Per arrivare a capire perché ci siamo trovati di fronte a un fatto così clamoroso, siamo obbligati a tornare indietro di quasi trent’anni, ovvero a quando nel 1994 Silvio Berlusconi, leader della nascente Forza Italia e poi primo ministro, sdoganò i neofascisti del Msi (Movimento sociale italiano), forza politica fortemente antisemita – il cui fondatore, nel 1946, fu Giorgio Almirante, tra i redattori della rivista di epoca fascista “La difesa della razza”. L’allora segretario Gianfranco Fini però ne cambiò il nome in Alleanza nazionale, nello storico congresso di Fiuggi, tentando la complicata (e infatti poi fallita) operazione di trasformare un partito legato al Ventennio in una creatura liberale ispirata in parte al gollismo. Fu in virtù della sua dichiarazione del fascismo come “male assoluto”, pronunciata proprio nello Stato ebraico, che nel 2009, quando era presidente della Camera, gli fu attribuita la Menorah d’oro del Benè Berith, simbolo dei valori civili e della lotta all’antisemitismo.
Non ci sentiamo di stigmatizzare il rapporto positivo che le comunità ebraiche si affrettarono a intrecciare con Alleanza nazionale. In fondo lo sforzo di Fini, sia pure dettato da ovvie necessità politiche, era reale. Ma, come già detto, da un lato piccoli scandali che ne pregiudicarono l’immagine e, dall’altro, soprattutto l’assenza di uno spazio politico, decretarono il fallimento di quell’operazione politica. Dalle ceneri di An nacque, nel 2012, Fratelli d’Italia, fondato dall’ex Dc Guido Crosetto, dall’ex ministra di An Giorgia Meloni e da Ignazio La Russa, dirigente storico della destra italiana fin dai tempi del Msi. Lungi dall’essere una prosecuzione della politica finiana, il partito si configurò fin da subito come neofascista piuttosto che postfascista, in assoluta discontinuità con la linea di An. Nel giro di soli nove anni, Meloni e il suo gruppo dirigente portarono il partito da poco meno del 2% al 26 delle politiche dello scorso anno, con tanto di conquista di Palazzo Chigi.
Qui comincia a emergere la doppia identità del partito, che riguarda tanti aspetti tra i quali spicca, per importanza, l’atteggiamento nei confronti di Israele e degli ebrei. Da un lato, come ha osservato con soddisfazione Bruck, Fratelli d’Italia si presenta come un amico di Tel Aviv, in questo in continuità con Fini, e in particolare del premier Benjamin Netanyahu e del suo governo, composto da gente di estrema destra della peggiore specie che predica l’annientamento dei palestinesi e la distruzione – come del resto sta avvenendo – della Striscia di Gaza. Dall’altro, però, il primo partito italiano è pieno di dirigenti non proprio di secondo piano, che non nascondono le simpatie per il fascismo, compreso il presidente del Senato che custodisce in casa busti del duce. Tutti uomini e donne che i conti con l’antisemitismo evidentemente non li hanno fatti. E al riguardo ricordiamo che Edith Bruck, il 3 novembre del 2021, rifiutò di ritirare il Premio per la pace del comune di Anzio – in quel momento presieduto dal sindaco Candido De Angelis, sostenuto da FdI –, perché la città aveva rifiutato la benemerenza alla correligionaria Adele De Angelis, confermando invece la cittadinanza onoraria conferita a Benito Mussolini.
Ora evidentemente le cose sono cambiate, e l’appannamento della memoria storica del nostro Paese e dell’Europa tutta, attraverso pericolose operazioni culturali di revisionismo già in atto anche all’interno delle scuole, non sembra più preoccupare Edith Bruck e le comunità ebraiche, che non hanno manifestato alcun pregiudizio nei confronti della formazione guidata dalla prima donna premier della storia italiana. Ma tant’è. Bruck ha preferito cambiare radicalmente posizione sui temi riguardanti la difesa di Israele, spingendosi a sostenere, con sua stessa sorpresa, forze politiche da lei in precedenza considerate avverse. “Non avrei mai voluto dovermi augurare che Salvini sostenesse così le posizioni di Israele – ha detto la scrittrice in un’intervista al “Corriere della Sera” – parlando di modello di democrazia, l’unica in quell’area. E così fa Meloni. Dobbiamo ringraziarli per come difendono Israele. Il mondo si è capovolto”.
Da brivido le sue posizioni sull’immigrazione, che l’hanno sempre vista in prima linea solidale con chi fugge da povertà e guerre. Ora non più: “Stiamo accogliendo i nostri nemici in casa”, ha detto la sopravvissuta, dimenticando che ad attraversare il mare o i monti ci sono uomini, donne e bambini che fuggono da guerre spesso fomentate da gruppi fondamentalisti, nemici appunto anche di Israele. Ovviamente ce n’è anche per la sinistra: “Una certa sinistra per troppi anni è stata cieca, ha difeso le posizioni palestinesi come se fossero tutti santi. E qual è il risultato? Ci ritroviamo in casa veri e propri nazisti e neofascisti”. In realtà, se nella prima repubblica socialisti, comunisti e altri non nascondevano, pur condannando gli efferati attentati di Monaco e Fiumicino, il proprio sostegno a un popolo vessato da Israele e dimenticato dai Paesi arabi (vedi qui), ormai da trent’anni, defunti gli accordi di Oslo del 1993, tutto è cambiato. Spiace che una donna simbolo dell’antifascismo sia stata attratta da realtà politiche e culturali a lei sempre avverse. Bisognerebbe ricordarle, solo come promemoria, che Matteo Salvini è un convinto sostenitore, anche a livello di collocazione all’interno del parlamento europeo, dei neonazisti di Alternative für Deutschland, che oltre a essere convinti antisemiti, predicano l’emarginazione dei disabili. E che Giorgia Meloni, com’è noto, ha strettissimi rapporti con i neofranchisti di Vox i quali, pur avendo buone relazioni con Israele in chiave anti-islamica, candidarono il giornalista Fernando Paz, che ha messo in dubbio il numero dei morti nella Shoah e definito il processo di Norimberga “una farsa.” In seguito alle proteste delle comunità ebraiche spagnole, il partito ha rimosso Paz dall’elenco dei candidati. Queste cose a sinistra, in Italia come altrove, non sono mai successe.
Apprendiamo ora che quanto detto da Bruck sarebbe stato equivocato, come ha sottolineato la scrittrice ebrea, e che quando parlava di Salvini e Meloni era ironica. Le sue parole sarebbero “state fraintese ed estrapolate da un discorso più ampio”, ha detto Bruck. Ma si tratta di un rimedio peggiore del male, perché lei quelle cose le ha dette. Non avremmo mai immaginato di dover polemizzare in modo così ruvido con una donna come lei. Ma non si può anche solo lontanamente pensare che gente che ha più scheletri nell’armadio che capelli – e che non ha applaudito Liliana Segre quando, il 31 ottobre del 2019, venne istituita, con la prima firma della senatrice, una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza – possa diventare un interlocutore per chi ha conosciuto la deportazione. E poi gli antisemiti dovremmo cercarli nella sinistra?