“Con l’interpellanza parlamentare del partito di maggioranza alla ministra del Lavoro, Calderone, è stato realizzato un atto politico contro la Cgil e il suo segretario. Un fatto gravissimo e mai avvenuto prima”. Sono state queste le parole usate dal segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, durante la conferenza stampa della scorsa settimana. L’interpellanza in soli due giorni (suscitata dal caso dell’allontanamento dell’ex portavoce del segretario) ha decretato che il governo dovrà “vigilare sulla Cgil”, ovvero su un’organizzazione democratica con più di cinque milioni di iscritti che non ha niente da nascondere. “Ma noi – ha detto il segretario – rovesciamo il concetto: siamo noi che vigileremo sul governo”, perché il governo “ha paura di chi non è d’accordo e ha un’altra opinione”. E la prova generale sarà la grande manifestazione di Piazza San Giovanni di sabato 7 ottobre a Roma, dal titolo “La via maestra” (alle 15,30). Una manifestazione per rilanciare le principali richieste del sindacato (alcune anche condivise con Cisl e Uil almeno sulla carta) e del vasto mondo dell’associazionismo (aderiscono più di cento associazioni laiche e cattoliche): il salario minimo, misure di sostegno ai poveri dopo la cancellazione del reddito di cittadinanza, difesa e rilancio del welfare pubblico a partire dalla sanità, diritto allo studio e alla formazione permanente, il rinnovo dei contratti nazionali che riguardano circa undici milioni di lavoratori tra privati e pubblici, e infine lo stop alla strage continua sui posti di lavoro.
La fuffa mediatica
Lo scontro mediatico suscitato (ma è stato subito evidente il carattere pretestuoso della vicenda) dal “caso Gibelli” ha fatto emergere questioni ben più rilevanti, e favorisce una riflessione sul ruolo del sindacato che deve essere aggiornata, visto che tutte le analisi finora proposte sono basate su un modello produttivo e di relazioni industriali e politiche che non esiste più. È evidente che, con il governo Meloni (che pretenderebbe di prendere le distanze dal Ventennio), il fastidio per i corpi intermedi è ormai diventato palese, portando alle estreme conseguenze un processo avviato da anni con i governi neoliberisti berlusconiani, ma passato anche attraverso gli scontri tra la sinistra di governo e la Cgil (D’Alema contro Cofferati, poi gli attacchi di Renzi al sindacato che “è rimasto fermo al telefono a gettoni”). L’attuale fastidio per tutte le forme di protesta e contestazione della linea di Palazzo Chigi, in tutti i campi, sembra una diretta derivazione della stagione degli accordi separati dell’epoca berlusconiana, con il ministro Maurizio Sacconi che firmava con Cisl e Uil isolando la Cgil. Ma in uno scenario più complicato e denso di pericoli.
Non disturbare il conducente
I motivi che rendono scivolosa la situazione attuale sono almeno due. Il primo riguarda il carattere autoritario della gestione del governo da parte della premier Meloni che, come si è già visto in varie occasioni, non tollera interferenze (neppure all’interno della sua stessa maggioranza). Intanto la Cisl polemizza con la Cgil per l’eccessiva critica ai provvedimenti del governo, sperando in un coinvolgimento nelle decisioni di politica economica che sembra poggiare su speranze che potrebbero trasformarsi presto in chimere. Lo si è visto già dalla linea adottata da Palazzo Chigi sul terreno fiscale, che ignora completamente le richieste dei sindacati confederali e ripropone la logica dei condoni grandi e piccoli, dagli scontrini alle cartelle e, ora, anche il probabile nuovo condono edilizio. E lo si vede dalle scelte nel campo della sanità pubblica. Il governo marcia verso nuovi tagli alla spesa e provvedimenti che sono il contrario delle richieste della Cisl e di tutto il mondo cattolico.
Il lavoratore è solo
L’altro motivo che desta grandi preoccupazioni, e favorisce la linea autoritaria del governo Meloni, riguarda la grande frammentazione del mondo del lavoro e i processi generalizzati di individualizzazione delle relazioni sociali. Non a caso esperti e studiosi parlano di una nuova solitudine del lavoratore. Non si tratta quindi neppure di dividere e spaccare il fronte sindacale, come si faceva una volta ai tempi di Sacconi. Anche gli accordi separati non solo sono un ricordo, ma non sarebbero più neppure funzionali, sebbene Stellantis ogni tanto provi a rinverdire le performance dello scomparso Sergio Marchionne.
La grande frammentazione del mondo del lavoro, la globalizzazione della divisione e organizzazione del lavoro, nonché la spinta sempre più accelerata al rapporto individuale lavoratore-azienda, rendono obsoleto anche il modello corporativo degli anni del regime fascista, durante il quale erano più netti i contorni delle classi sociali. Oggi si potrebbe parlare, piuttosto, di un post-corporativismo lobbistico su base elettorale. Il governo Meloni, più che al dialogo con le classi lavoratrici, sembra infatti interessato a mantenere le promesse elettorali, non tanto a determinate classi in quanto classi, quanto a ben delimitati settori (votanti): i commercianti, i tassisti, i proprietari delle concessioni balneari, e via dicendo.
Quei giovani che rifiutano il lavoro
Per il sindacato, e in particolare per la Cgil che non ha mai aderito all’idea di sostituire il modello di sindacato conflittuale e concertativo con quello dei servizi alla persona (come propone da anni Pietro Ichino), i problemi si complicano anche a causa delle profonde trasformazioni culturali e antropologiche in corso. Tra le grandi questioni, c’è per esempio quella del “rifiuto” del lavoro da parte dei giovani, o quantomeno un vistoso ridimensionamento della scala dei valori. Ne abbiamo avuto una prova recente con una ricerca presentata durante l’ultima assemblea di Federmeccanica, che si preoccupa di rendere attrattivo per i giovani il lavoro in fabbrica (i tempi di Felice Mortillaro sono lontanissimi). Secondo la ricerca, per una parte rilevante (il 32,2% della popolazione tra i 18-34 anni), il lavoro è sopravanzato da altri valori: “Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una centralità marginale nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. È certamente importante, ma deve potersi coniugare e relazionare con altri aspetti della vita. Infatti, il 66,9% degli intervistati ritiene che la ricerca di soddisfazioni sul lavoro, insieme a una diversa organizzazione dello stesso, sia più importante dell’avere un’occupazione stabile e ben retribuita”.
L’intuizione di Bruno Trentin
Insomma, la Federmeccanica dice oggi quello che scriveva Bruno Trentin già all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Secondo il grande sindacalista-intellettuale, il punto centrale degli anni a venire (oltre alla difesa e all’estensione dei diritti) sarebbero stati i percorsi di realizzazione individuale dei lavoratori e la conseguente liberazione. Le grandi innovazioni tecnologiche, che ai suoi tempi non avevano ancora espresso tutte le potenzialità pervasive che vediamo oggi all’opera, avrebbero permesso – se contrattate e governate nei luoghi di lavoro – forme di “autogoverno creativo” (Diari 1988-1994). Una intuizione visionaria che oggi sembra lontanissima dalla realtà concreta dei processi. Neppure lo slogan sindacale più recente del “governare gli algoritmi” sembra alla portata, a parte rare e importanti eccezioni. L’autogoverno di Trentin, nel mondo della solitudine del lavoratore, è ancora un sogno. A governare sono gli algoritmi e i governi post-democratici. Così Landini, rimasto scottato dal “tradimento” della Meloni (invitata, tra le polemiche, all’ultimo Congresso di Rimini), e forse deluso anche dai rapporti con una sinistra politica sempre più litigiosa, riparte dalle mobilitazioni sociali con le associazioni di base. Una riedizione della coalizione sociale?