Porta Maggiore è una delle porte di Roma, inserita nelle Mura aureliane. Sita nell’odierno quartiere dell’Esquilino, durante l’antichità veniva chiamata ad Spem Veterem, cioè “alla Speranza Vecchia”, per la presenza di un tempio dedicato a quella divinità nel 477 (a.C.). Porta Maggiore è sempre stata strategica per la città, perché era il punto in cui convergevano otto degli undici acquedotti che alimentavano Roma. L’antica monumentalizzazione dell’Acquedotto Claudio, nel punto dove questo scavalcava la via Labicana e la via Prenestina, divenne con la modernità una piazza chiassosa e caotica, con un passaggio quotidiano continuo di auto private, autobus, pullman e tram.
La storia fa capolino
Solo con la pandemia la storia e l’arte hanno rifatto capolino. “Indimenticabile –scrive Ella Baffoni in un articolo pubblicato sul sito dell’associazione Roma Ricerca Roma – per chi l’ha potuta vedere, l’immagine di Porta Maggiore senza traffico durante la pandemia. Indimenticabile, perché – finalmente libera dalla morsa di traffico che l’attanaglia a ogni ora, e in qualche ora di più – mostrava la sua bellezza, il verde del prato, la tomba di Eurisace, i fornici e l’acquedotto. Monumenti, testimoni del tempo in cui Porta Maggiore era, fino a cento anni fa, davvero la porta d’ingresso di Roma”.
Più che uno snodo un tappo
Introducendo il convegno che si è tenuto di recente nei locali della Terza Università di Roma, (“Porta Maggiore da spartitraffico a spazio vivo. Come restituire a Roma un luogo straordinario per ricchezza di storia e cultura”), la presidente di Roma RicercaRoma, Barbara Pizzo, docente di Urbanistica presso La Sapienza, ha spiegato che “Porta Maggiore rappresenta in modo esemplare tale condizione di schiacciamento e di mortificazione che non è dei monumenti soli, ma del quartiere, e di chi lo vive quotidianamente. Non funziona né dal punto di vista urbanistico, né dal punto di vista della mobilità e trasportistico: è quasi continuamente intasata di auto, con effetti molto negativi in termini di inquinamento dell’aria, acustico e visivo, percepibili da chiunque ci passi guardandosi intorno, osservando criticamente il paesaggio urbano, cioè cercando di capire cosa realmente (superando le troppo facili spiegazioni quali quelle sul “decoro”) genera un ambiente così poco accogliente”.
Un Piano da cambiare
Ma è proprio questa la sfida che Roma Ricerca Roma e Metrovia, insieme a tante altre associazioni e comitati civici e di quartiere, hanno raccolto. “Porta Maggiore – spiega ancora Pizzo – potrebbe essere una magnifica piazza e un nodo di mobilità pubblica efficiente: bastano, a nostro parere, delle relativamente piccole modifiche all’assetto attuale e ai progetti previsti dal Pums (Piano urbano per la mobilità sostenibile), ed è su questo che vogliamo discutere, chiamando al confronto gli assessori e i decisori politici”.
Un progetto innovativo
Intanto il progetto esiste. Si tratta di idee studiate da esperti e verificato dal basso, “Così com’è, quel nodo tramviario non funziona – spiega Paolo Arsena di Metrovia – ma il Piano urbano per la mobilità sostenibile, il Pums, aggiunge nuove linee e rafforza il rischio di infarto del nodo. Noi proponiamo un’altra strada. Intanto, l’eliminazione dell’attraversamento centrale, i binari del trenino giallo che passano sotto i fornici romani. Spostando il percorso accanto alla ferrovia si restituirebbe dignità a quella pregiata archeologia. Via anche l’anello di binari che stringono la piazza, allargando il passaggio dei tram in uscita da Roma sul lato destro, un ferro di cavallo che consentirebbe una forte pedonalizzazione della piazza”.
I tecnici di Metrovia parlano a ragion veduta, e il loro progetto (nato nel 2021) ha la modesta “ambizione di rivoluzionare la mobilità della capitale, avvicinandola agli standard delle grandi città europee”. In sostanza, Metrovia 2021 è un piano del ferro di grande impatto: l’esperienza e il confronto con le altre realtà europee – spiegano i promotori – dimostrano infatti che solo una rete integrata su ferro (servizi metropolitani, metrotranviari e ferroviari) migliora l’efficienza dei trasporti di un centro urbano di vaste dimensioni.
Non serve scavare ancora
Il ricorso al ferro come soluzione non è certo una novità. Il valore aggiunto dell’impostazione dei progettisti di Metrovia si scopre però in una idea apparentemente banale: riutilizzare le infrastrutture ferroviarie che già attraversano Roma. Sul tracciato urbano delle ferrovie possono nascere infatti sei linee di metropolitane di superficie. Più precisamente: sei linee di treni allestiti come metropolitane che effettuano un servizio da metropolitane in termini di frequenza, portata, velocità. Secondo Metrovia, “in questo modo, si potrà creare un sistema davvero efficiente e integrato fra le tre metropolitane esistenti (più la quarta linea prevista, la cosiddetta Metro D, M10 nel sistema Metrovia) e sei linee nuove di superficie, metropolitane nate sul tracciato urbano delle ferrovie”. Metrovia 2021 non è dunque solo un insieme di dieci linee di servizio metropolitano, ma si configura come un sistema integrato in cui queste dieci linee si inseriscono in una nuova rete più vasta e capillare.
La città in quindici minuti
Ci sono però anche molte obiezioni tecniche al progetto del nuovo assetto della mobilità per la piazza di Porta Maggiore elaborato da Metrovia. Ci sono, per esempio, tecnici ed esperti che si sono espressi anche durante il convegno romano avanzando obiezioni sulla nuova collocazione dei binari pensata per liberare lo spazio verde della piazza. E ci sono obiezioni sui carichi. L’altra difficoltà riguarda la sintonia generale del progetto con il Programma della mobilità sintetizzato nello slogan, “tutta la città in quindici minuti”. Un progetto generale per Roma sviluppato in collaborazione tra l’Assessorato all’Urbanistica e l’Assessorato Decentramento, Partecipazione e Servizi al Territorio per la Città dei quindici minuti, che prevede di rigenerare – attraverso un ampio coinvolgimento dei singoli municipi – una prima serie di quindici ambiti urbani, uno per ciascun municipio. Il progetto è partito nel settembre 2022 e si concluderà il 31 dicembre 2023. Un’altra tappa da verificare. O un’altra illusione come pensano i più scettici?
L’antichità che parla al presente
Intanto le associazioni Roma Ricerca Roma e Metrovia lanciano un messaggio culturale. Bisogna tornare a progettare una città che da anni è cresciuta senza una logica, spesso vittima dell’abusivismo e dei ricatti della rendita. Inoltre, dal punto di vista culturale, è necessario superare una sorta di fastidio per la storia. Non considerare cioè i resti antichi come un impaccio, ma come una ricchezza. Rimettere, al centro della riprogettazione delle piazze, la cultura e il benessere di chi ci vive e ci passa. La scommessa difficile (quasi impossibile) di far dialogare i problemi del traffico con quelli della qualità della vita degli abitanti. Per questo il progetto per Porta Maggiore riscuote interesse. Racconta ancora Ella Baffoni, “gli abitanti partecipano con passione. Esquilino chiama Roma, Communia, Acquario romano, Spin Time Labs, Piazza Vittorio APS, Parco lineare. E poi Poleis, Comitato Piazza Vittorio partecipata, Esquilino vivo, Abitanti di via Giolitti, che già si sono espressi con un comunicato a sostegno del progetto e per lo spostamento dei binari da via Giolitti: le associazioni vogliono essere parte attiva della nuova progettazione”.
I cittadini vogliono contare
Ma poi non è solo Porta Maggiore. Segnali di nuove possibili forme di partecipazione li ritroviamo anche oltre le esperienze del centro urbano. A Roma, come a Londra e nelle altre grandi capitali, i quartieri più lontani dal centro, comprendendo le aree di espansione e richiedendo integrazioni di infrastrutture, sono cruciali nello sviluppo urbanistico. Ne è convinto il professor Carlo Cellamare che guida un gruppo multidisciplinare di ricerca dedicato ai progetti di valorizzazione dei quartieri periferici, a partire dalle risorse territoriali, umane ed economiche che si propongono “dal basso”. Tor Bella Monaca, Quarticciolo, Centocelle: “Roma è le sue periferie. La maggior parte dei cittadini vive nella periferia, consolidata ed estesa. (…) Il primo punto per un programma 2030-2050 è considerare queste periferie come pezzi di città”.
Un contributo essenziale alla riduzione delle disparità tra centro urbano e zone limitrofe proviene da comitati, associazioni, cooperative sociali, fondazioni, enti che operano nel settore intermedio, non solo territoriale, come le organizzazioni sindacali. A queste realtà si possono affiancare nuovi soggetti creati ad hoc (come le cooperative di comunità). Per questo, per quanto riguarda la nostra inchiesta di “terzogiornale” su Roma, dopo i quartieri centrali, analizzeremo anche quello che succede nelle periferie. Gli interventi del Pnrr potranno incidere davvero nelle situazioni più degradate e problematiche? Come si spenderanno i soldi e come si affronterà l’antica questione del rapporto tra centro e periferia sulla base di quello che sta succedendo in altre città europee, come Parigi, dove la rivoluzione del centro senza macchine provoca più di una rivolta? Abbiamo comunque una certezza: se Porta Maggiore era la “Speranza vecchia”, solo il coraggio di tornare a progettare coinvolgendo i cittadini può far nascere speranze nuove.
(2. continua)