Renato Sacco, già coordinatore nazionale di Pax Christi, lei ha sempre sostenuto, riguardo a questa sporca guerra in Ucraina, che solo il papa crede alla pace. E il pontefice da pochi giorni ha nominato il presidente della Cei, Matteo Zuppi, mediatore nel conflitto russo-ucraino. È un primo segnale concreto per raggiungere una tregua? Speriamo che il cardinale Zuppi possa raggiungere questo obiettivo.
Certo, questo mandato è una cosa molto importante. Più che di “mediazione” sarebbe per ora più giusto parlare di incarico per ricercare una strada, per creare un clima propizio a percorsi di pace. La guerra ha risultati immediati: schiacci un bottone e parte il missile, e vedi subito il risultato. La pace, come diceva don Tonino Bello, già presidente di Pax Christi, è un cammino: “Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un ‘dato’, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale ‘vita pacifica’. Non elide i contrasti. Espone al rischio di ingenerosi ostracismi…”. Quindi dobbiamo accompagnare questi passi di Matteo Zuppi con molta solidarietà, affetto e, per i credenti, preghiera. La speranza è che noi gente comune, e mezzi di informazione, si sappia il meno possibile. Ogni parola in più rischia di essere inutile e dannosa.
Il cardinale Zuppi ha svolto in passato il ruolo di mediatore del conflitto in Mozambico con buoni risultati.
Confesso che non conosco nei dettagli il lavoro di mediazione svolto in Mozambico, ma è cosa risaputa.
Essere per la trattativa, per la pace, non significa non sapere individuare i responsabili di questa guerra. Putin è sul banco degli imputati.
Da più di un anno stiamo vivendo un clima da tifo calcistico: se dici una cosa sei filo di qui o filo di là. Credo sia molto pericoloso vivere la tragedia della guerra e l’impegno per la pace come se fossimo allo stadio a vedere Roma-Lazio o Juve-Inter. Non si può degenerare nel tifo. Qui non è in gioco lo scudetto o il futuro di un allenatore, in gioco è la vita di centinaia di migliaia di persone. Per quanto riguarda Putin, io da sempre porto sul petto un nastrino verde, simbolo dell’opposizione alla guerra in Russia. Il verde si ottiene con il giallo e l’azzurro, i colori dell’Ucraina. E in Russia chi si oppone alla guerra rischia la galera o anche peggio. Lo sappiamo bene. E quindi Putin ha le sue grandi responsabilità. Ma non da oggi. Io, per esempio, ho avuto modo di firmare una lettera – insieme a quel sant’uomo di don Oreste Benzi – di critica all’Italia che aveva collaborazioni militari e vendite di armi a Putin, dopo la tragedia della Cecenia. Era il 10 dicembre 2000. Ma le nostre voci sono rimaste isolate. E poi sappiamo bene come Putin trattava i suoi oppositori e come li tratta tuttora. Penso alla giornalista Politkovskaja. Ma penso anche alla vendita di alcuni blindati Lince prodotti dalla Iveco e venduti dal governo italiano a Putin nel 2015, se ricordo bene, per una cifra di circa venticinque milioni di euro. E siamo nel 2015! Con Putin molti hanno fatto affari, anche lo Stato. Ora è responsabile dell’invasione dell’Ucraina, ma prima non era certo uno stinco di santo. Detto questo, le responsabilità di questa tragedia sono anche della Nato che, come ha detto papa Francesco, ha “abbaiato” ai confini della Russia. E si potrebbe continuare. Dietro ogni guerra ci sono grandi interessi, piani geopolitici che non riesco a comprendere bene. Ma come dice il proverbio africano: quando due elefanti litigano, chi ne fa le spese è l’erba. Forse, per capire un po’ meglio il tutto, vale la pena ricordare le parole dell’omelia di papa Francesco a Redipuglia, il 13 settembre 2014: “Anche oggi le vittime sono tante (…). Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante”.
Pax Christi ha partecipato alla carovana della pace portando aiuti alle popolazioni dell’Ucraina. Da più parti, nel mondo cattolico, penso per esempio al senatore Raniero La Valle, viene avanti la richiesta di un cessate il fuoco favorito dall’interposizione di forze pacifiste.
Sì, la rete Stopthewarnow nasce subito dopo l’invasione della Russia in Ucraina, il 24 febbraio 2022. È una rete di oltre 160 associazioni di varie ispirazioni. Ci siamo anche noi di Pax Christi con tante altre. Io ho partecipato alla quarta carovana, nel settembre 2022 a Kiev, e poi all’ultima, la quinta a fine marzo a Odessa e Mykolaïv. Anche il presidente di Pax Christi, il vescovo Giovanni Ricchiuti, aveva partecipato a una carovana, alla fine dello scorso agosto. Lo scopo è quello di aiutare le persone vittime della guerra, di essere accanto a loro. Alcuni volontari dell’associazione Giovanni XXIII sono stati là per diversi mesi e continuano a esserci. La condivisione è importante. E nello stesso tempo lo scopo è anche quello di dire che c’è un modo diverso di essere vicini che non sia quello di fornire sempre e solo armi. Passare – ci diceva qualcuno in Ucraina – dai rapporti di forza alla forza dei rapporti. Ma finora quello che è mancato è stato il ruolo della politica! Noi crediamo che sia importante sia l’urgenza di un cessate il fuoco, che non sembra essere molto vicino, sia rilanciare e ripensare la forza di una comunità internazionale capace di interposizione. Manca un ruolo ufficiale, per esempio quello dell’Onu, mentre si parla tragicamente solo di Nato. Come se la Nato fosse una istituzione internazionale come l’Onu. Questa è follia. È importante allora riscoprire il ruolo della società civile, ripensando all’esperienza della marcia dei 500, con don Tonino Bello a Sarajevo, nel dicembre 1992.
Torniamo alla missione del cardinale Zuppi. Nella sua visita a Roma, Zelensky ha respinto l’offerta di papa Francesco di lavorare per il cessate il fuoco, ma ciò non ha impedito al Vaticano di spedire il suo mediatore. Possiamo dirci ottimisti?
Come si dice in questi casi, la speranza è l’ultima a morire.
Gli ostacoli maggiori Zuppi li troverà a Mosca, a Kiev, o nella chiesa ortodossa?
Gli ostacoli sono in tutti coloro che hanno nel cuore più l’affermazione personale che la vita delle persone, più la guerra che la pace. E quindi anche ognuno di noi può essere un ostacolo alla pace. Per il resto non saprei dire. Io voglio sperare, e anche credere, che in qualche modo chi fa riferimento a Dio – e lo sentiamo spesso fare in questi tempi, in Italia e anche in Russia e in Ucraina – lo faccia con un’apertura al Dio della Pace e non della guerra. Usare Dio per giustificare o benedire una guerra è una bestemmia. Non dimentichiamo che anche Bush, ai tempi della guerra del Golfo, disse che la sua scelta di bombardare e invadere l’Iraq era stata ispirata da una visione notturna in cui Dio gli aveva suggerito questo. Siamo alla follia.
Continuano a spirare venti di guerra. Droni ucraini colpiscono le città a pochi chilometri da Mosca, mentre l’Europa finanzia le armi da spedire in Ucraina con i fondi destinati ai Pnrr. Persino Washington manda a dire a Zelensky che non è Mosca, la Russia, l’obiettivo della guerra, ma liberare l’Ucraina.
In poche parole vorrei dire: gli interessi della guerra e delle lobby delle armi sono molto forti, per questo soffiano venti di guerra. Ricordo il film di Alberto Sordi del 1974, Finché c’è guerra c’è speranza. Credo che sia molto attuale anche oggi.
Pax Christi, da sempre, si è espressa contro l’invio di armi italiane in Ucraina.
Pensiamo anche alla decisione dello scorso primo giugno del parlamento europeo di investire cinquecento milioni per sostenere le imprese di armi che producono munizioni. Vogliamo la guerra o la pace?
Il movimento pacifista è molto debole in Europa. C’è ormai una sorta di assuefazione alla guerra?
Non sono certo io un esperto analista di queste cose… Certo, il rischio di abituarci alla guerra, a questa guerra e a tutte le altre guerre più o meno dimenticate, è molto forte. Ed è grave! Ma non credo che sia in crisi la sensibilità di milioni di persone che vogliono davvero la pace, in Italia e in Europa. Forse oggi è più difficile trovare i modi. E si pensa solo alle manifestazioni. Come nel 2003 in occasione della guerra in Iraq. A parte il fatto che ci sono state importanti manifestazioni, anche in Italia, ma vengono sistematicamente ignorate o sminuite dai mezzi di informazione, e questo la dice lunga sulla libertà di informazione. A me sembra che ci siano tante realtà che lavorano e ottengono anche risultati: penso a Ican, con il trattato per la messa al bando delle armi nucleari. L’Italia non ha ancora aderito, ed è molto grave! Ma c’è una campagna “Italia ripensaci” a cui hanno aderito molti sindaci. C’è un movimento dal basso. Anche noi, lo scorso primo giugno, eravamo a Roma con oltre quaranta associazioni cattoliche per chiedere una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari. Penso anche alla solidarietà con gli obiettori di coscienza in Ucraina, Russia e Bielorussia. C’è un lavoro costante che non appare nei telegiornali o nei grandi quotidiani di grido, molto allineati e appiattiti sulla guerra. Mi sembra che ci siano importanti testimonianze: all’inizio dell’anno, in Italia, la campagna “Obiezione alla guerra” promossa dal Movimento nonviolento, con tre amiche nonviolente – Katya, Olga, Darya (da Ucraina, Bielorussia e Russia) – a nome di tutte le persone che obiettano contro la guerra nei loro Paesi, rischiando il carcere o perfino la pena di morte. Questo è un lavoro molto importante per la pace. È il sostegno concreto a chi la guerra non vuole farla. Penso anche a un lavoro di cultura e informazione diverse dalla narrazione ufficiale, che invita a vedere la realtà con occhi differenti. C’è la rivista “Mosaico di pace”, promossa da Pax Christi e voluta da don Tonino Bello più di trent’anni fa. Proprio “Mosaico di pace”, insieme a “Nigrizia” e “Missione oggi”, ha promosso la campagna di pressione sulle “banche armate”. Un modo per interpellare direttamente gli istituti bancari coinvolti nell’export di armi. C’è un sito dove si può trovare l’elenco di tutte le banche coinvolte, e si può scrivere e contattarle direttamente e magari, come ho fatto io con molti altri, chiudere il proprio conto. Penso, ultimo esempio, anche alla campagna sulle scuole smilitarizzate e all’osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. C’è molto lavoro dal basso che forse non fa rumore, come invece fanno i missili e le bombe. Concludo ancora con le parole di don Bello: “Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta cammino in salita”.