Qualcuno l’ha definito “inefficace”. Qualcun altro l’ha considerato semplicemente “censura”, senza troppi giri di parole. Il progetto, dal lungo e impegnativo nome “Fondamenti della politica di Stato per la conservazione e il rafforzamento dei valori morali e spirituali della tradizione russa”, ha fatto talmente discutere in Russia, all’interno e non solo della comunità artistica e culturale, che per ora si è deciso di sospenderlo.
Il provvedimento, un vero e proprio ukaz di Putin, era stato varato lo scorso dicembre e poi pubblicato sul sito del ministero della Cultura per essere sottoposto all’attenzione di tutti coloro che, a vario titolo, operano nel campo della cultura, dell’arte e dello spettacolo. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax, più della metà di coloro che erano stati invitati a esprimere opinioni, ed eventualmente critiche al progetto, si è espressa a favore: 100.760 i pareri favorevoli, 78.928 i contrari. Una cifra comunque tutt’altro che marginale, quest’ultima. Tanto da spingere i promotori a ripensarci e a congelare, provando a ridiscutere il progetto.
Tra i “grandi nomi” contrari spiccano quelli del direttore del prestigioso teatro Bolshoj, Vladimir Urin, e quello dell’Unione dei direttori di teatro (Std), Aleksandr Kaljaghin. In cosa consiste il decalogo elaborato su input del Cremlino dall’Istituto scientifico per i beni culturali e naturali “D.S. Likhaciòv”?
Il documento contiene una serie di enunciazioni molto generiche, a volte anche troppo. Nell’elenco dei valori tradizionali si trovano, come in un indice: “vita”, “diritti e libertà dell’uomo”, “patriottismo” fino a “umanismo”, “carità”, “forza della famiglia” e, ancora, un generico “alti valori morali”, e un poco chiaro “collettivismo”. Nel decalogo c’è anche un elenco di disvalori quali “egoismo”, “immoralità”, “negazione degli ideali di Patria”, e così via. Quali sono le fonti di tale immoralità? “L’estremismo”, “i terroristi”, “gli Stati Uniti e i loro alleati” ecc. Insomma, una specie di parodia dello stereotipo del perfetto bigotto.
“Sembra il prontuario di una qualunque corrente di destra della Dc italiana del dopoguerra”, chiosa Giovanni Savino, docente di Storia contemporanea dell’Istituto di scienze sociali presso l’Accademia presidenziale russa a Mosca, dove vive dal 2005. “Nelle élite russe c’è una percezione falsata di ciò che si muove oggi nella società – continua Savino –, basti pensare al piano vaccinale che è stato rispettato soltanto da un 60% circa della popolazione, nonostante i solleciti richiami delle autorità”.
Savino cita il sociologo Zygmunt Bauman: “Retrotòpia, ovvero l’ossessione di ricostruire il passato”. Del resto – continua il professor Savino – la cartina di tornasole che mostrerebbe il carattere obsoleto del decalogo applicato oggi nel 2022, è evidente: “I primi a non rispettare quei valori morali sarebbero proprio le élite di potere russe: portare i soldi nei paradisi offshore sarebbe da considerare patriottico? Oppure, lo stuolo di divorzi e amanti che gli uomini di potere più o meno tengono nascoste negli armadi, come si concilierebbe con la retorica sulla famiglia tradizionale?”. Il codice dei valori contenuto nel decalogo sarà quindi – secondo Savino – completamente inapplicabile.
Tra le voci critiche del progetto, oltre a quella del citato Kaljaghin (“L’arte è un riflesso della vita, con i suoi difetti e virtù. Ora all’improvviso ci vogliono proporre soltanto la conservazione dei valori tradizionali nelle opere artistiche e culturali. Quindi tutti gli altri temi non potranno essere trattati? Ma com’è possibile pretendere questo?”), c’è anche quella di Andrej Makarevich, forse il decano dei gruppi rock (i suoi “Mashina Vremeni”, la “Macchina del tempo” hanno attraversato diverse generazioni di sovietici e russi), chitarrista e cantante oggi 69enne che ha comunque mantenuto la sua verve da rocker, che pubblica un’opinione sulla sua pagina Facebook: “Ma quale stronzo di anonimo burocrate può spiegare a noi ciò che deve essere considerato bello e anche come amare la Patria? Io lo so meglio di lui e se vuole imparare, si legga le mie opere”.
Probabilmente anche il giovane Raskol’nikov, di Delitto e castigo di Dostoevskij, avrebbe avuto difficoltà a superare la (tentata e forse abortita) censura nell’anno domini 2022.