• Skip to primary navigation
  • Skip to main content
  • Skip to primary sidebar
  • Skip to footer

Giornale politico della fondazione per la critica sociale

  • Home
  • Chi siamo
  • Privacy Policy
  • Accedi
Home » Articoli » Pensioni, una riforma obbligata

Pensioni, una riforma obbligata

Una fotografia sugli scenari della contingenza in ambito previdenziale

12 Novembre 2021 Piero Masacci  818

Sulle pensioni il governo Draghi si gioca molto. Ma in ballo non c’è solo il piano della contingenza politica, diciamo della cronaca. C’è da considerare anche un piano più generale. Di prospettiva. Ogni volta che la politica mette le mani sulle pensioni si manifestano due effetti: da una parte, si mette a rischio la stabilità dei governi (nella storia contemporanea ne sono caduti molti proprio a causa delle scelte sulle pensioni); dall’altra, si rimettono inevitabilmente in discussione i principi di base del patto sociale novecentesco. Quando si parla di pensioni, di rapporto tra giovani e anziani, di giustizia sociale si parla di welfare state, di politica in senso alto. Con questo articolo cercheremo di fare il punto solo sugli scenari della contingenza, mentre su quelli di prospettiva sarebbe interessante avviare una riflessione più profonda di cui oggi intravediamo solo i titoli.

Martedì 16

Cominciamo dalla contingenza. Ovvero dall’attualità. Martedì prossimo, 16 novembre, i sindacati confederali sono stati convocati a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Mario Draghi. “Una convocazione importante”, come ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che era arrivato a minacciare lo sciopero generale nel caso in cui il governo fosse rimasto sordo alle richieste delle confederazioni e dei sindacati dei pensionati.

Per la Cgil questa convocazione è una prima importante risposta alla pressione dei sindacati sull’esecutivo e sul parlamento. Ma è ovvio che, se si vuole “fare davvero sul serio”, si dovrà verificare la volontà di affrontare in modo equo il problema dello “scalone” del gennaio 2022 (il rinvio dell’uscita dal lavoro per migliaia di lavoratori), che si sta per determinare con la fine di “quota 100”, l’esperimento voluto in particolare dalla Lega di Matteo Salvini, cioè di modificare la legge Fornero permettendo le uscite anticipate con un mix di anni anagrafici e anni contributivi. E ovviamente non c’è solo da risolvere il problema contingente. Si tratta di ripensare completamente la cosiddetta legge Fornero del 2012, che ha riformato il sistema previdenziale italiano nella logica del taglio dei costi pubblici. Una riforma pagata dalle lavoratrici e dai lavoratori che sono stati inchiodati ai loro posti di lavoro per risparmiare sui costi della previdenza pubblica: oggi l’Italia ha il record in Europa dell’età più alta per andare in pensione.

La legge di bilancio è intoccabile?

Per quanto riguarda l’urgenza degli interventi di modifica alle norme previste dalla legge di bilancio, la prima cosa da fare è quella di riconsiderare “quota 102”, la proposta del governo, perché così com’è stata formulata non funziona. Con quello schema proposto – ha spiegato il segretario confederale della Cgil con delega alle politiche previdenziale, Roberto Ghiselli – “potranno andare in pensione il prossimo anno non più di 8500 persone”. Se si considera che con “quota 100” erano circa 110.000 le persone che uscivano, è evidente che questa soluzione non è una risposta efficace al tema ‘scalone’, anche perché continuano a essere esclusi i nati dal 1960 in avanti. “Quota 102” pertanto va modificata”.

Il sindacato chiede poi correzioni anche alle norme sull’Ape sociale (un altro escamotage per permettere uscite anticipate impossibili con la Fornero): dovrebbe essere estesa anche a tutti i disoccupati di lunga durata o a chi è in cassa integrazione senza prospettive di rientro. Altro argomento è quello della diversità dei lavori che ovviamente non possono essere equiparati. Un conto è lavorare nei campi, in una fonderia, sui ponteggi dei cantieri, altro conto è lavorare in ufficio o comunque svolgere mansioni meno a rischio.

Per Cgil, Cisl, Uil sul tema delle attività gravose è stato fatto un buon lavoro da parte della commissione appositamente istituita e affidata al coordinamento di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro con i governi di centrosinistra. Essere passati da 57 a 221 mansioni considerate gravose è un fatto significativo. Ma i sindacati chiedono di ridurre a trenta gli anni di contributi necessari per accedere all’Ape sociale come lavoratori gravosi, a iniziare dall’edilizia, campo minato per eccellenza dei lavori usuranti.

Il nuovo round

Non sappiamo che cosa produrrà la riunione di martedì. Ma è ovvio che serve prima di tutto a riaprire un dialogo e a mettere le basi per il lavoro che andrà fatto il prossimo anno, al fine di arrivare a scrivere la riforma. Un primo segnale di disponibilità del governo è arrivato con la conferma di “opzione donna” che fissa l’anticipo pensionistico per le dipendenti a cinquantotto anni (cinquantanove per le autonome), quando la prima versione della manovra fissava l’età a sessant’anni. L’idea di Palazzo Chigi è un’uscita dal lavoro a sessantadue anni, con il sistema contributivo per tutti, abbandonando così il sistema misto di cui molti potrebbero ancora godere e soprattutto le varie “quote”, preferendo un ritorno alla legge Fornero ma con maggiore flessibilità, come ha confermato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: “Tornare al contributivo non significa necessariamente tornare alla Fornero com’era: lo sforzo che si può fare è mantenere l’impianto contributivo ma costruire elementi di flessibilità che consentano di evitare alcune rigidità e andare così incontro ad alcune delle istanze del sindacato”.

Da parte loro, i sindacati dicono però un secco “no” al ritorno alla Fornero e un “no” a un sistema contributivo per tutti, chiedendo invece una maggiore flessibilità. In una piattaforma unitaria consegnata a Palazzo Chigi e a Montecitorio, Cgil, Cisl, Uil propongono un’uscita a sessantadue anni oppure con quarantuno anni di contributi a prescindere dall’età.

La richiesta dei sindacati, a parte le prime aperture su “quota 102” e le norme per donne, non sembra poter essere recepita dal governo, che guarda al quadro generale dei conti pubblici. Da questo punto di vista c’è molta preoccupazione.

Pensioni legate al Pil

Le insidie dei prossimi mesi sono state enfatizzate dalla Commissione europea: la crescita resta sempre molto forte, però le previsioni per il 2022 sono soggette non solo alle dinamiche della pandemia e alle possibili nuove eventuali misure di restrizione, ma anche alla difficoltà di reperire tutti i profili professionali che servono alle imprese in questa fase di ripartenza.

L’ulteriore elemento che rende ancor più a rischio le prospettive di crescita è il forte aumento dell’inflazione e le nuove tensioni salariali che produrrà col nuovo anno. Il quadro di incertezza economica si riflette direttamente sulle scelte in tema di pensioni e in generale di welfare state. In particolare per le pensioni, dopo le riforme degli anni Novanta, il legame tra crescita del Pil e garanzia dei livelli previdenziali è diretto. La discussione sulla riforma che dovrà sostituire la riforma Fornero (scusate la ripetizione) sarà inevitabilmente condizionata dagli elementi economici considerati “oggettivi”. L’Italia, per esempio, è accusata di spendere troppo in pensioni, il 16% del Pil contro un 12-13% degli altri Paesi europei. Ma su questo punto è necessaria maggiore attenzione perché, come dicono i sindacati e vari studiosi della materia, il raffronto tra le diverse spese previdenziali europee è falsato. Negli altri Paesi spesa previdenziale e spesa sociale (assistenza) sono due voci separate nel bilancio dello Stato. Da noi invece – per una consuetudine ragionieristica – fanno parte della stessa voce, che appare quindi superiore a tutte le altre.

Ma è giusto che lo Stato paghi le pensioni?

Arrivati a questo punto, ovvero a quello della “sostenibilità economica” del sistema previdenziale pubblico (l’unica bussola che è stata sempre usata negli ultimi venti anni), ci rendiamo conto del paradosso. Mentre si fa riferimento ai “conti”, all’equilibrio di bilancio delle varie voci che compongono la spesa pubblica, si passa immediatamente al piano politico. E allo scontro tra culture diverse e spesso opposte. Gli ultimi venti (trenta?) anni sono stati egemonizzati dal cosiddetto neoliberismo. E molti partiti del centro destra si fanno promotori di questi valori basati essenzialmente sull’individualismo competitivo in un crogiuolo di contraddizioni filosofiche: Salvini che invoca lo Stato repressivo contro i migranti e poi parla di “flat tax”, una dottrina fiscale che potrebbe minare proprio lo Stato come soggetto di attuazione del welfare. Nel mondo accademico e dei circoli economici che contano c’è anche chi pensa che sia venuto il momento di distruggere il castello costruito alla fine dell’Ottocento da Otto von Bismarck, che inventò una pensione sicura per i dipendenti pubblici. Per molti ultrà che credono nel potere assoluto del mercato, oggi lo Stato dovrebbe ritirarsi dal campo delle pensioni, della sanità e dell’assistenza. Dev’essere l’individuo singolo a costruirsi il suo futuro risparmiando e soprattutto investendo i suoi soldi in Borsa e nelle assicurazioni private.

Nei prossimi mesi – nei prossimi anni – la sfida per la politica sarà alta. Ripensare il welfare significa in fondo anche ripensare le fondamenta dell’idea socialista.

Archiviato inArticoli
Tagsgoverno draghi pensioni Piero Masacci sindacati

Articolo precedente

9 – Strage Bologna. Lo show di Abbatino

Articolo successivo

Cop26, il re è nudo!

Piero Masacci

Articoli correlati

Inps e pensioni, la ricetta che uccide il paziente

L’ordine non regna a Parigi

In Francia un primo maggio di attesa

L’inganno della natalità

Dello stesso autore

Salario minimo, la ricetta europea contro la giungla contrattuale

Un salario minimo legale ed europeo

Come regolare il “lavoro agile”

Concertazione modello Draghi

Primary Sidebar

Cerca nel sito
Ultimi editoriali
Pnrr, si profila uno stile polacco
Luca Baiada    8 Giugno 2023
Corte dei conti, la tracotanza del governo
Stefania Limiti    6 Giugno 2023
Emilia-Romagna, la catastrofe annunciata
Massimo Serafini    5 Giugno 2023
Ultimi articoli
L’Europa non vuole sentire parlare di pace
Giorgio Graffi    9 Giugno 2023
Brasile, Lula si barcamena
Claudio Madricardo    8 Giugno 2023
Affitti brevi: Nardella controcorrente
Agostino Petrillo    7 Giugno 2023
Scontri in Kosovo, le responsabilità del premier Kurti
Vittorio Bonanni    7 Giugno 2023
Visco e la gabbia della “moderazione salariale”
Paolo Barbieri    1 Giugno 2023
Ultime opinioni
La crisi culturale della scuola italiana
Stefania Tirini    7 Giugno 2023
Il significato di una parata militare
Rino Genovese    5 Giugno 2023
Come usare l’eredità di don Milani
Michele Mezza    5 Giugno 2023
Le condizioni per la pace
Rino Genovese    29 Maggio 2023
La destra all’attacco della cultura
Michele Mezza    15 Maggio 2023
Ultime analisi
Città da riprogettare. Roma, il caso di Porta Maggiore
Paolo Andruccioli    6 Giugno 2023
Il cantiere eterno di Roma: soldi e misteri
Paolo Andruccioli    1 Giugno 2023
Ultime recensioni
Il ritorno di Moretti
Rino Genovese    22 Maggio 2023
Europa del Nord e socialdemocrazie: un passato senza futuro?
Claudio Bazzocchi    17 Aprile 2023
Ultime interviste
“La pace è un cammino”
Guido Ruotolo    6 Giugno 2023
“Il governo Meloni illude i lavoratori”
Paolo Andruccioli    2 Maggio 2023
Ultimi forum
Welfare, il nuovo contratto sociale
Paolo Andruccioli    4 Maggio 2023
C’era una volta il welfare
Paolo Andruccioli    27 Aprile 2023
Archivio articoli

Footer

Argomenti
5 stelle Agostino Petrillo Aldo Garzia ambiente cgil Cina Claudio Madricardo covid destra elezioni Emmanuel Macron Enrico Letta Europa Francesco Francia Germania Giorgia Meloni governo draghi governo meloni guerra Guido Ruotolo immigrazione Italia Joe Biden lavoro Luca Baiada Mario Draghi Michele Mezza Paolo Andruccioli Paolo Barbieri papa partito democratico Pd Riccardo Cristiano Rino Genovese Russia Sandro De Toni sindacati sinistra Stati Uniti Stefania Limiti Ucraina Unione europea Vittorio Bonanni Vladimir Putin

Copyright © 2023 · terzogiornale spazio politico della Fondazione per la critica sociale | terzogiornale@gmail.com | design di Andrea Mattone | sviluppo web Luca Noale

Utilizziamo cookie o tecnologie simili come specificato nella cookie policy. Cliccando su “Accetto” o continuando la navigazione, accetti l'uso dei cookies.
ACCEPT ALLREJECTCookie settingsAccetto
Manage consent

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary
Sempre abilitato
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Non-necessary
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACCETTA E SALVA