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In Svezia sdoganata l’estrema destra

In Svezia sono ormai un lontano ricordo i tempi del premier Olof Palme, forse il leader socialdemocratico più avanzato della storia dell’Occidente, assassinato nel...

Cile, Svezia e tra qualche giorno l’Italia: una sinistra senza bussola

A Stoccolma, la più gloriosa tradizione socialdemocratica – peraltro rinnovata e modernizzata in questi ultimi anni di governo, con una robusta presenza di ceti innovativi – non sembra reggere all’avanzata della destra populista, dopo che a Santiago anche l’alleanza di un “populismo di sinistra”, reso vitale da una salda tradizione di militanza operaia, ha perso smalto con il referendum costituzionale (vedi qui).

I risultati italiani daranno un’altra versione di una sconfitta seriale: la sinistra sembra non riuscire più a parlare nel Ventunesimo secolo. La dinamica svedese appare proprio esplicita. Al di là della contabilità finale, che potrebbe vedere, sul filo di uno o due seggi, prevalere uno o l’altro degli schieramenti, il dato politico vede il centrosinistra, con la potente socialdemocrazia integrata dall’alleanza di due ali (una di sinistra più radicale e l’altra di centristi più moderati), in affanno rispetto all’offensiva sociale della destra. Più che una proposta, è un sentimento che mette in ombra le singole strategie programmatiche del governo socialdemocratico uscente, ossia l’insoddisfazione e la paura di vedere logorati i propri margini di benessere. Persino quando non ci sono.

La Svezia, la Finlandia e il biglietto di ingresso nella Nato

Siamo al paradosso. Da un lato, vogliamo difendere i valori democratici e l’Occidente dall’aggressione russa che potrebbe non fermarsi all’Ucraina, arrivando fino a minacciare...

Che cosa c’è nell’ostilità della Turchia all’ingresso di Svezia e Finlandia...

Dal mai ratificato e mai applicato Trattato di Sèvres del 1920 (firmato, dopo la Prima guerra mondiale, tra le potenze alleate e l’impero ottomano),...

Un salario minimo legale ed europeo

A un passo dalla rottura. La frattura politica all’interno della Confederazione dei sindacati europei si sta ricomponendo, in questi giorni, proprio mentre le istituzioni...

Troppi immigrati? Perché il Nord Europa si difende

Che cosa accade a Stoccolma e Copenaghen sul fronte immigrati? È in atto una forte frenata nelle avanzatissime politiche di accoglienza e integrazione di cui si vantavano la Svezia e la Danimarca? Sì, è così. I partiti socialdemocratici, tornati a governare nelle due capitali, hanno corretto energicamente da qualche tempo le proprie politiche sul tema. Come mai e perché? Vale la pena contestualizzare il problema prima di parlare di “stretta autoritaria” o, peggio, di perdita della tradizionale civiltà scandinava e socialdemocratica.

La Svezia ha poco più di dieci milioni di abitanti, di cui un milione e duecentomila sono immigrati regolarmente registrati. In realtà sono molti di più, e comunque oltre il 10% del totale della popolazione, barriera ritenuta compatibile per non creare scossoni sociali e procedere a politiche inclusive. È poi indubbio che negli ultimi vent’anni i Paesi scandinavi abbiano assorbito, in percentuale, più immigrati che gli altri Paesi europei. Inoltre, le società del Nord Europa sono ritenute assai democratiche e accoglienti, ma sociologicamente compatte: religione maggioritaria protestante, valori etici condivisi, parità uomo/donna raggiunta, alta natalità grazie alle politiche sociali.

In Svezia prima donna premier: eletta, bocciata, ma ci riprova

In Svezia il voto alle donne è in vigore dal 1862, primo Paese al mondo a legalizzarlo iniziando dalle elezioni comunali (in Italia entrò in vigore solo nel 1946, in occasione del referendum repubblica/monarchia). Mai però una donna era stata eletta premier fino a mercoledì scorso, quando la scelta di primo ministro è caduta sulla leader socialdemocratica, Magdalena Andersson. L’incarico è durato tuttavia otto ore. Si è trattato di un record. I verdi hanno infatti ritirato l’appoggio al governo non condividendo la legge di bilancio annuale, criticata da destra dal Partito di centro, e da sinistra dagli ecologisti, oltre che dal Partito della sinistra (Stoccolma è governata negli ultimi anni da esecutivi di unità nazionale). Sono lontani i tempi – quelli di Olof Palme e Willy Brandt – in cui in Scandinavia e in Germania governavano saldi monocolori socialdemocratici. La crisi economica e politica post-1989 ha morso anche qui.

A proposito di Berlino, proprio ieri, è andata meglio per gli equilibri di governo. È stato infatti dato il via libera al governo “semaforo” tra socialdemocratici, verdi e liberali, dopo l’accordo sul dicastero delle Finanze che va a questi ultimi. Cancelliere verrà eletto, perciò, il socialdemocratico Olaf Scholz. Il caso tedesco conferma, come in Svezia, la fine dei governi monocolori, o moderati o socialdemocratici (l’unità nazionale tra Spd e Cdu ha contrassegnato le ultime legislature in Germania). 

Magdalena Andersson, la più tirchia d’Europa

La ministra delle Finanze svedese, Magdalena Andersson, è diventata nei giorni scorsi presidente del Partito socialdemocratico e si appresta a succedere come premier a Stefan Löfven, che guida un esecutivo appoggiato da centristi, ecologisti e Partito della sinistra. Una formula politica, questa, che ha avuto lo scopo (dopo le elezioni del 2018, in cui i socialdemocratici non hanno raggiunto più del 28% dei voti) di mettere in un angolo i conservatori e l’estrema destra. La notizia potrebbe rallegrarci, perché – perfino in una Svezia che è molto avanti nel protagonismo femminile nella vita sociale – si tratta della prima volta di una donna.

Ma c’è un ma. Lei stessa si è autodefinita la più tirchia dei ministri europei, avendo schierato il suo Paese con quel gruppo dei cosiddetti “frugali” che hanno opposto molte difficoltà alla realizzazione del piano post-pandemico europeo: quello, per intenderci, che sta dando un sacco di soldi all’Italia. Le ragioni di tale avarizia furono illustrate da Andersson in un’intervista: come potremmo spiegare ai nostri elettori e ai nostri pensionati, i quali pagano tasse elevatissime, che il loro denaro deve andare a Paesi come la Spagna e l’Italia in cui ci sono tasse più basse o una forte evasione fiscale? La domanda non fa una piega. Solo che la soluzione del problema non sta nell’essere “frugali”, quanto piuttosto in un’armonizzazione delle politiche fiscali all’interno dell’Unione europea.