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L’Unione europea alla guerra dei vaccini

I vaccini europei sono in grande ritardo. Lo sono in Francia, dove la stessa Sanofi, uno dei pilastri di Big Pharma, ha dovuto ammettere...

Elezioni amministrative: Letta “hot dog” stretto tra 5 Stelle e renziani

Un’immagine impietosa fa assomigliare in questo momento Enrico Letta a un hot dog. Il segretario del Pd è infatti stretto dalla rincorsa verso un rapporto con i 5 Stelle a gestione Giuseppe Conte, mentre dall’altra parte subisce la pressione di Matteo Renzi, e dei centristi di varia natura, che vorrebbero porre condizioni pure loro a una riedizione aggiornata del centrosinistra. In questo quadro, si va alle elezioni amministrative di autunno nel peggiore dei modi per il Pd. Si litiga su strategie e candidati, con la destra che gongola avendo dalla sua la collocazione della Lega diventata forza di opposizione e di governo allo stesso tempo, scippando così uno degli antichi slogan della sinistra.

Le elezioni si terranno, per via del Covid, in una data compresa tra il 15 settembre e il 15 ottobre nei Comuni con scadenza naturale del mandato degli organi eletti nel 2016 e in quelli da elezioni anticipate perché commissariati, o per altri motivi. La scadenza è particolarmente rilevante. Alle urne andranno venti Comuni capoluogo di provincia: Bologna, Carbonia, Caserta, Cosenza, Grosseto, Isernia, Latina, Milano, Napoli, Novara, Pordenone, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Savona, Torino, Trieste e Varese, di cui sei sono anche capoluogo di regione (Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste). Il test elettorale è perciò di grande interesse, e avrà di sicuro ripercussioni sugli equilibri politici nazionali, forse perfino sulla data della fine della legislatura e delle elezioni politiche.

Roma, mediocrità batte visione

Una giornalista, stimata collega e amica femminista, rivendicava tempo fa, giustamente, il diritto a sostenere donne mediocri per le cariche pubbliche elettive, come segno...

Pd, saltato il tappo Zingaretti

“Sono vere dimissioni, o servono per avere una reinvestitura a furore di popolo piddino?”. “Vuole fare il candidato a sindaco di Roma?”. I commenti immediati all’annuncio che Nicola Zingaretti ha gettato la spugna dal ruolo di segretario del Pd indicano quanto sia inquinato il dibattito politico e pubblico. Il merito non conta. Se un leader dice addirittura “mi vergogno” parlando del proprio partito, non si indaga su cosa abbia portato a quel grido di dolore. Si preferisce parlare di retroscena e tattiche possibili. Un bruttissimo segno della decadenza di partiti e politica.

Zingaretti, da parte sua, per ora si limita a dire che non tornerà indietro nonostante gli appelli di sostenitori e critici finalmente uniti. Bisogna, dunque, prenderlo sul serio, anche se il detto vuole “mai dire mai” quando è in gioco qualcosa di politico. Lo statuto del Pd prevede che ora ci sia un reggente provvisorio (si vocifera che possa essere la senatrice genovese ed ex ministro Roberta Pinotti) fino al Congresso, che poi dovrà eleggere il nuovo segretario. Intanto, il Pd è allo sbando. Caos, è la parola più usata. Ennesimo segretario che salta come un tappo da quando esiste questo partito nato nel 2007: Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Martina e ora Zingaretti. Per non parlare di Pds e Ds che hanno preceduto il Pd.

Il futuro del centrosinistra si gioca in Campidoglio

Elezioni comunali a Roma della prossima primavera. Sono un macigno di difficile rimozione sulla strada dei rapporti Pd, 5 Stelle e ciò che resta di Liberi e uguali. Dopo che Beppe Grillo ha dato il suo appoggio alla ricandidatura di Virginia Raggi (“Aridaje” è lo slogan), sindaco impopolare uscente, la vicenda si è molto complicata.

In corrispondenza con il varo del governo Draghi, Pd, grillini e sinistra si erano impegnati a rinsaldare – almeno a parole – i reciproci rapporti, avendo nell’ex premier Giuseppe Conte un possibile leader di coalizione. Hanno pure costituito di recente un intergruppo parlamentare unitario. Il problema però è che i 5 Stelle si stanno sfarinando (la probabile espulsione di decine di deputati e senatori dissenzienti, la formazione di nuovi gruppi in parlamento, eccetera). Inoltre, Nicola Zingaretti ha almeno metà del suo partito convinta che tale strada sia impraticabile mentre bisognerebbe intanto unificare il “centro” con cui allearsi (Italia viva, Forza Italia, Azione, Più Europa). Nel Pd, ci sono infatti ancora tanti renziani orientati in quella direzione e altri che sono nostalgici della “vocazione maggioritaria” tanto cara a Walter Veltroni. È un bel puzzle di posizioni in collisione. A cui si aggiungono le recenti divisioni tra Sinistra italiana e Articolo uno rispetto al nuovo governo (il “no” di Fratoianni, il “sì” di Bersani & company). Dire che questa coalizione in fieri (Pd, 5 Stelle e pezzi di sinistra) non goda di buona salute è un eufemismo, neppure troppo letterario.