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Jekyll e Hyde: lo spettro è stato scomposto

Nei giorni scorsi, nella solita indifferenza generale, è arrivata una notizia che meriterebbe ben altra attenzione, soprattutto a sinistra. L’agente esperto di intelligenza artificiale – denominato ChatGPT, che da pochi mesi sta irrompendo in aziende e pubbliche amministrazioni, sostituendosi all’attività di elaborazione di testi e video, sulla base di semplici tracce o appunti, un meccanismo che dimostra come ormai l’intelligenza artificiale possa sovrapporsi alla produzione umana in un flusso di informazioni – è stato analizzato e scomposto nelle sue componenti tecnologiche ed etiche. L’operazione è stata condotta da una società italiana di cybersecurity, Swascan, diretta da Pierguido Iezzi (vedi qui), autore con il sottoscritto di Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra (Donzelli editore).

In poco tempo, meno di un semestre, il dispositivo, di proprietà di una società finanziata da Elon Musk, ha già trovato più di cinque milioni di clienti. Significa che oggi nell’infosfera – cioè nel nostro sistema sociale delle relazioni e dei rapporti di produzione – molto probabilmente abbiamo già incontrato testi, video e contenuti di comunicazione realizzati da questo software. La sua attività viene oggi ingegnerizzata nel circuito editoriale per ridimensionare le redazioni, ma anche nei sistemi di contatto degli apparati sanitari, o di imprese che, mediante questa soluzione, automatizzano tutte le fasi di comunicazione con l’esterno e l’interno. Ma ChatGPT fa molto di più. Intanto si autogenera, producendo autonomamente le sue evoluzioni, con una produzione di software che si riproduce esponenzialmente. Poi l’agente intelligente è in grado di lavorare sull’assetto cognitivo, e non solo sulla verbalizzazione di risposte in base a link. In sostanza, non è un Google che parla, ma un ricercatore che dà delle risposte a ogni tipo di domanda: come si ottiene alcol dalle patate? dove investire oggi? come penetrare in quel recinto? Un vero genio della lampada che soccorre e sostiene il suo padrone del momento.

Giornalismo in trasformazione. Dov’è la sinistra?

Di cosa dovrebbe discutere la sinistra, nella congiuntura peggiore della sua storia nel nostro Paese, se non del destino del giornalismo e del prossimo congresso dei giornalisti? Esistono davvero interessi sociali, ceti professionali, figure produttive, culture tecnologiche più centrali e significative per il futuro della democrazia del mestiere di gestore degli apparati dell’informazione? (Uso il termine “centrali” proprio con chiaro riferimento al vecchio slogan sulla “centralità operaia” che tenne banco per due decenni nella sinistra italiana). Sembra che oggi, giunti proprio sull’orlo del burrone, su cui stiamo danzando come componenti del variegato e ormai anche eccentrico mondo della sinistra, sia venuto il momento di interrogarsi, prima ancora che sul nome del prossimo leader, sui ceti sociali che possono caratterizzare una nuova fase politica propulsiva delle forze progressiste.

In questa nuova base sociale, le figure del ciclo produttivo dell’informazione non possono non avere un ruolo centrale. Siamo nel pieno dell’espansione dell’economia dell’informazione. Si calcola che almeno il 75% del Pil si basi su uno scambio permanente di dati e comunicazione. Di più, la transizione dalle esperienze e pratiche di giornalismo tradizionale a quello digitale mettono in gioco sia l’idea di sicurezza nazionale, nell’epoca della guerra ibrida – in cui, come spiega il generale russo Gerasimov, “si combatte interferendo nel senso comune dell’avversario” –, sia la struttura e natura della democrazia attaccata dai monopoli degli algoritmi che scompongono, isolano e subornano moltitudini di individui attraverso flussi di informazioni altamente personalizzate.

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Ora i conti con Trump (e con Musk)

I risultati delle elezioni americane di midterm sembrano rassicurare la Casa Bianca. L’avanzata repubblicana ha strappato la Camera dei rappresentanti, come avviene di prammatica a metà mandato di un presidente, ma il Senato pare che rimanga a seppur lieve maggioranza democratica. Anche sul fronte dei governatori, la spallata trumpiana non ha modificato la geografia dei poteri. Ovviamente, le ragioni di questo quadro sono molte, sia locali sia nazionali. Centrale è comunque la questione economica, con lo straordinario sforzo di Biden di contenere il disagio della congiuntura negativa mediante un’iniezione di denaro, che ha inevitabilmente riacceso l’inflazione. Il suo governo appare, nello scenario globale, forse quello più keynesiano dell’Occidente – una lezione che dovrebbero imparare in Europa.

Poi rimangono incombenti i nodi internazionali, sia con la guerra in Ucraina sia con il crescente contenzioso con Pechino. Su questi scacchieri, non dovrebbe mutare molto, se non un’intensificazione della pressione di Washington su Kiev per rendere più agevole una possibile intesa, magari solo sul cessate il fuoco invernale.

Contro Elon Musk e il suo capitalismo automatico

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