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Tag: Confindustria

L’autunno dell’industria. Cresce l’allarme chiusure

Le ultime notizie che arrivano dalle agenzie di rating internazionali non sono affatto buone per il nostro Paese. E mentre si parla di una...

Nella guerra del gas vietato tassare gli extraprofitti

I giornali hanno usato il termine “grande flop” per parlare dell’operazione fiscale pensata per coprire gli interventi a favore di imprese e famiglie in...

Lo spauracchio del salario minimo

Cuneo fiscale contro salario minimo, produttività contro aumenti salariali indicizzati rispetto all’inflazione reale: è questa la battaglia dell’estate in arrivo, almeno a giudicare dal...

Sui salari la Confindustria all’attacco

Non sono stati frequenti gli scontri fra il governo presieduto da Mario Draghi e la pur abitualmente rumorosa leadership di Confindustria. Ma nelle ultime settimane il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, è stato investito dalle accuse violente della più potente associazione imprenditoriale, che si è spinta addirittura a parlare di “ricatto” del ministro e, attraverso il suo quotidiano, di “scambio improvvisato tra incentivi alle imprese e aumenti salariali non meglio precisati”. Per precisarli, servirebbe l’apertura al confronto; ma gli industriali, abituati come sono da troppi anni a incassare favori, sconti fiscali e sussidi senza dover mai discutere contropartite, hanno reagito male all’idea di doversi misurare con una “questione salariale”. C’è mancato poco che il “Sole 24 Ore” desse del delinquente al ministro (un ricatto non è una azione particolarmente commendevole, per un rappresentante istituzionale).

Si presta a qualche stupore anche la reazione del ministro, che si è detto “sorpreso”, quasi si fosse distratto per qualche anno di fronte alla crescente radicalità delle posizioni – e dei toni – degli imprenditori. Di sicuro, non ci siamo sorpresi noi, che ricordiamo bene l’impegno profuso negli anni scorsi dalla Confindustria – e da quella parte piuttosto larga del mondo dell’informazione che risulta maggiormente sensibile alle sue posizioni – in direzione di un cambio di governo e della sostituzione di alcuni ministri, quello del Lavoro compreso. È difficile, tuttavia, dare torto a Orlando quando dice, con logica ineccepibile, che non ha capito “cosa si vuol mettere in questo patto, se significa chiedere qualcosa non è un patto”.

Smart working. Il lavoro agile come libera scelta

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha dato tempo fino a oggi (venerdì 26 novembre) alle parti sociali, imprese e sindacati, per inviare osservazioni,...

Draghi: come espungere il conflitto sociale dalla storia d’Italia

Il discorso tenuto da Draghi agli imprenditori riuniti da Confindustria ha avuto un indubbio successo che ha un preciso significato politico, su cui conviene riflettere. Non disponendo di un applausometro è difficile stabilire se la standing ovation che i 1170 invitati all’assemblea nazionale della Confindustria hanno tributato a Mario Draghi, abbia superato o meno, per durata e intensità, gli applausi riservati ad altri presidenti del Consiglio in occasioni passate. Come, per esempio, quelli che hanno accompagnato l’affermazione di Berlusconi nel 2017 al convegno dei giovani industriali a Capri, quando definì gli imprenditori “eroi”. Non è la prima volta che i partecipanti alle assisi confindustriali applaudono Draghi. Era già accaduto dieci anni fa, come ha ricordato Bonomi, quando “l’uomo della necessità”, secondo lo stesso capo di Confindustria, era presidente della Banca centrale europea.

Ma stavolta l’accoglienza a Draghi ha significato un salto di qualità nei rapporti fra Confindustria e governo. Non erano così caldi all’inizio. L’associazione padronale aveva adottato una tattica più insidiosa, cercando di disarticolare la nuova maggioranza, ministero per ministero, quasi a costruirsi una propria interfaccia governativa. Risultò evidente quando gli strali confindustriali si concentrarono con successo sul timido tentativo del ministero del Lavoro di prorogare il blocco dei licenziamenti. Il gioco diventò scoperto quando Confindustria riuscì a modificare il testo dell’avviso comune fra governo e sindacati, al punto da toglierne qualsiasi efficacia.

La Confindustria apre le danze di autunno

Ci pensa Confindustria ad accendere lo scontro sociale in questo ultimo scorcio di agosto. Il tema è la pandemia, ma non solo. Quali problemi si prevedono per gli indici di contagio in autunno, se non si raggiungerà l’80% dei vaccinati, soglia indicata come minima per ottenere la cosiddetta immunità di gregge? Il vaccino diverrà obbligatorio con leggi nazionali ed europee, se non si raggiungerà quell’obiettivo?

Carlo Bonomi, presidente dell’associazione degli industriali, ha scelto il meeting di Rimini di Comunione e liberazione per lanciare l’affondo: “L’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro e nella scuola è doveroso, il green pass obbligatorio. Ma è troppo facile rimandare la palla alla politica. C’è una differenza di posizione tra i partiti che difficilmente potrà farci arrivare a una legge”. Il solitamente ruvido Bonomi non accetta i vincoli del “semestre bianco” che precede l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale e imporrebbe la tregua politica, in attesa delle elezioni amministrative di autunno. Può farlo anche perché il governo presieduto da Mario Draghi è molto sensibile alle richieste di Confindustria.

Capitale contro lavoro: piccola storia di un decreto-legge

Il Consiglio dei ministri ha varato il decreto-legge in sessantotto articoli che assembla la questione delle semplificazioni e il tema della governance del Piano di ripresa e resilienza. Lo ha fatto non senza qualche sofferenza all’interno della maggioranza e nel rapporto con le parti sociali. Il che merita più di una riflessione. Possiamo pure cominciare dall’esito finale, del quale tutti si dicono soddisfatti. Il che, vista la turbolenza in atto fino all’ultimo momento, ingenera qualche sospetto. Mario Draghi aveva convocato in fretta e furia i sindacati confederali giovedì 27 maggio per un confronto sui punti controversi. Si è discusso dei subappalti, ma non della scottante questione dei licenziamenti, che Draghi ha considerato formalmente chiusa.

Le modifiche hanno riguardato quindi il tema dei subappalti, visto che l’argomento del criterio del massimo ribasso nelle gare d’appalto è stato stralciato dal provvedimento legislativo. La soluzione trovata è stata quella di mantenere un tetto per i subappalti pari al 50% innalzandolo dall’attuale 40%. Dal 1° novembre il tetto dovrebbe sparire in ossequio alle sentenze della Corte di giustizia della Ue, come quella del 26 settembre 2019 che aveva considerato illegittima l’apposizione del limite indipendentemente dalla sua entità. Al suo posto, dovrebbe comparire un criterio alquanto indeterminato, basato sul fatto che l’affidamento dei lavori non potrà avvenire “in misura prevalente” e con il rafforzamento del “controllo delle condizioni di lavoro e di salute e di sicurezza dei lavoratori”. Una soluzione piuttosto scivolosa e rischiosa, poiché, come sappiamo, le capacità di controllo effettive sulle condizioni di lavoro nel nostro paese sono assai ridotte, anche per l’esiguità del numero degli ispettori del lavoro, come denunciato dall’ultimo Rapporto annuale dell’Ispettorato.