
Israele lavora senza sosta per realizzare i suoi piani a Gaza. In diversi modi. Il primo, forse il più importante, è l’isolamento. Tagliandola completamente fuori dal mondo, con la chiusura totale delle frontiere, il blocco navale che impedisce alle imbarcazioni umanitarie di arrivare dal mare, il divieto di ingresso di cibo, medicine e carburante (a parte le briciole distribuite poco e male dalla fondazione privata israelo-statunitense). In quest’ottica, l’assalto alla nave Maddleen della Freedom Flotilla è un segnale che intende ribadire, con la forza, che il controllo totale su Gaza non può essere messo in discussione da nessuno. E per questo Tel Aviv è disposta a violare qualsiasi legge internazionale.
Prima della Maddleen un’altra imbarcazione della coalizione era stata attaccata, addirittura al largo delle coste di Malta. La Conscience era stata colpita più volte da un drone, e il rifiuto di Tel Aviv di negare le proprie responsabilità è esso stesso un’ammissione. L’invio di un drone israeliano a Malta, contro una nave in acque internazionali, è una gravissima violazione del diritto. E ancora più grave è che un attacco terroristico di questo genere non abbia causato la reazione convinta e rabbiosa dell’Europa e di tutto il mondo occidentale. Però, ciò che è accaduto alla Conscience ha conferito rinnovata forza all’impresa della Madleen, il cui viaggio è stato seguito da tutto il mondo. Israele ha temuto questa barca per l’eco avuta dal progetto: portare cibo (tra cui latte in polvere) e medicine alla popolazione assediata della Striscia. Senza armi, senza intenzioni violente, i dodici volontari a bordo, tra i quali l’attivista climatica Greta Thunberg, hanno dichiarato di volere solo raggiungere Gaza e consegnare gli aiuti. Ma Israele ha risposto con rabbia, per bocca del ministro della difesa Israel Katz, che ha dichiarato che a niente e a nessuno verrà permesso di rompere l’assedio della Striscia.
I volontari sono stati trattati come criminali durante l’abbordaggio, ma l’esercito ha utilizzato foto e video per fingere buone maniere e un volto umano: il che mal si concilia con le immagini dell’orrore scaricato sui palestinesi di Gaza. Katz li ha persino costretti a guardare un filmato sulle “atrocità commesse il 7 ottobre 2023”. Si tratta di un video prodotto dall’ufficio del portavoce dell’esercito, contenente immagini di corpi mutilati, utilizzato per raccogliere sostegno e fondi per l’azione militare. Nonostante siano stati sequestrati e portati in Israele con la forza, contro la propria volontà, i militari hanno chiesto loro di firmare una dichiarazione di responsabilità con cui riconoscevano di essere entrati nel Paese in maniera illegale. In quattro, tra cui Greta Thunberg, hanno deciso di firmarla e sono stati immediatamente rimpatriati. Gli altri, invece, si sono rifiutati, e saranno detenuti in una struttura carceraria prima del processo.
Un altro metodo che Israele utilizza per mantenere il suo totale controllo sulla Striscia è quello di trasformarla al suo interno. Con i bombardamenti, lo sfollamento della popolazione, le demolizioni, l’appiattimento lunare. Ma anche con il finanziamento di milizie armate. Nonostante non si tratti di una novità assoluta nelle strategie militari di Israele, la notizia della nascita di un nuovo gruppo sostenuto da Tel Aviv è stata accompagnata da critiche e polemiche anche all’interno della società israeliana. Le inchieste giornalistiche hanno provato – senza ombra di dubbio – la presenza di milizie palestinesi, ostili a Hamas, nelle aree sotto il controllo diretto dell’esercito israeliano. Si tratta della zona di Rafah, soprattutto, ma anche di punti strategici nei pressi dei corridoi costruiti da Tel Aviv per controllare e separare in più parti la Striscia. Non solo il corridoio Filadelfia e l’asse Netzarim, ma anche la zona del valico di Kerem Shalom. È da qui che sono passati i pochi beni umanitari che Israele ha permesso che arrivassero a Gaza, dopo la chiusura del valico di Rafah, al confine con l’Egitto. È in questa stessa area che l’Onu e altre organizzazioni internazionali hanno denunciato il saccheggio di camion contenenti cibo e destinati alla popolazione affamata. Più volte l’Onu e le Ong hanno dichiarato che Israele avrebbe dovuto garantire l’accesso senza restrizioni degli aiuti lungo percorsi sicuri. Al contrario, i percorsi ordinati dall’esercito non erano pattugliati dai militari, ma vi erano spesso gruppi armati che sembravano essere stati avvertiti del passaggio dei camion umanitari, che quindi venivano saccheggiati. Il leader di queste milizie, Yasser Abu Shabab, ha ammesso di avere rubato cibo dalle organizzazioni umanitarie. In effetti, le immagini satellitari mostrano che il gruppo sta costruendo, proprio a Rafah, una sorta di deposito per la distribuzione degli aiuti.
Il cibo sarà così utilizzato come arma per obbligare alla fedeltà e provare ad accrescere l’opposizione a Hamas. Questo è l’obiettivo ultimo di Israele. Armare le divisioni settarie e religiose per provare a indebolire il nemico e controllare il governo locale attraverso un intermediario. Le milizie di Abu Shabab indossano divise di nuova fattura, con loghi di una cosiddetta “unità antiterrorismo”, che richiama la definizione israeliana del movimento Hamas. E sono armati di kalashnikov.
Quando la stampa è riuscita a provare l’esistenza delle milizie, il governo israeliano non ha negato. “Abbiamo mobilitato un clan di Gaza che si oppone a Hamas. Cosa c’è di sbagliato in questo?”, ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu. Anche se, dall’opposizione, l’ex ministro della difesa Avigdor Lieberman ha precisato: “Israele ha dato fucili d’assalto e armi leggere alle famiglie criminali a Gaza per ordine di Netanyahu. Dubito che sia passato attraverso il gabinetto di sicurezza. Nessuno può garantire che queste armi alla fine non saranno rivolte contro Israele”. Anche perché Yasser Abu Shabab, seppure descritto come jihadista filo-Isis, è soprattutto un criminale. Accusato di furti e di spaccio di stupefacenti, ha trascorso diverso tempo nelle prigioni di Gaza, da cui è uscito, pare, a seguito di un bombardamento israeliano che ha colpito l’istituto penitenziario in cui si trovava, consentendo ai detenuti di fuggire.
Abu Shabab è membro della tribù Tarabin, e oggi, come prima di finire in prigione, si occupa principalmente di razziare beni umanitari per rivenderli a prezzi spropositati sul mercato nero. Per proteggere i suoi traffici è disposto a tutto, anche a compiere omicidi. Tarabin è nota per la sua collaborazione con Israele, ma i duecento o trecento miliziani non sono tutti membri della tribù. Ci sono anche criminali comuni e mercenari. È probabile che, con il denaro fornito da Israele, Abu Shabab proverà ad assoldare più persone, magari palestinesi in condizione di estrema fragilità, costretti alla fame da Tel Aviv, e che non hanno altra possibilità per sfamare le proprie famiglie.
È comunque improbabile che queste milizie possano arrivare a sostituire Hamas e a prendere il controllo politico e militare della Striscia, cosa che consentirebbe a Israele di governare in maniera indiretta Gaza. Ma le divisioni, il caos e il controllo armato localizzato sono armi da sempre utilizzate da Tel Aviv. Nel Libano, per esempio, con il cosiddetto “esercito del Libano del Sud”, che era nei fatti una milizia armata e finanziata da Israele per occupare la zona senza esporre i propri soldati. È lo stesso principio dichiarato da Netanyahu a proposito di Abu Shabab: “C’è solo del buono – ha detto –, salva la vita dei soldati israeliani”.