
L’esercito israeliano aveva vietato di rivelare informazioni strategiche sull’operazione di accerchiamento della città di Rafah, in corso in questi giorni nella striscia di Gaza. Il ministro della difesa, Israel Katz, aveva genericamente dichiarato che Israele stava allargando le proprie operazioni di terra, occupando e inglobando sempre più aree dell’enclave. Anche il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, si era limitato a confermare l’allargamento di quella che Tel Aviv definisce “zona cuscinetto”, nient’altro che una larga porzione di territorio controllata dall’esercito, in cui non è consentita alcuna presenza palestinese. Dunque, ha sorpreso tutti, secondo fonti giornalistiche israeliane, la diffusione del video in cui il premier Netanyahu dichiara gioioso la creazione dell’asse “Morag”, svelando al mondo quelli che sono gli obiettivi militari delle operazioni a Gaza.
L’esercito riteneva che svelare i piani potesse mettere in pericolo i suoi soldati. Ma Netanyahu ha la necessità – sempre più estrema – di garantirsi sostegno e consenso, e per questo strizza l’occhio, continuamente, ai coloni e ai suoi alleati più estremisti: insomma, a quella destra-destra che vuole gli insediamenti coloniali a Gaza e un’occupazione permanente di territorio. Nonostante abbia ancora saldo il sostegno del suo partito, diversi membri del Likud potrebbero essere quantomeno infastiditi dall’ultimo scandalo che sta travolgendo come un tornado l’ufficio del primo ministro. Perché la corruzione e l’abuso di potere possono anche essere tollerati, in fondo, ma farsi dettare la linea politica dai soldi di uno Stato arabo, è un altro discorso.
Netanyahu non è formalmente indagato al momento, ma è stato interrogato dalla polizia, e l’inchiesta stringe sempre più il cerchio intorno al premier. Che nega l’intero impianto accusatorio, liquidando il Qatargate come il tentativo, l’ennesimo, di utilizzare la giustizia per impedirgli di mettere in atto le sue decisioni politiche. Tra cui quella di licenziare Ronan Bar, il capo dello Shin Bet, i servizi di sicurezza interni. In uno degli ultimi quotidiani videomessaggi, in cui si scaglia contro il sistema giudiziario e lo Shin Bet, appunto, Netanyahu ha accusato una lunga serie di personaggi, tra i quali Bar, di aver avuto rapporti con il Qatar. Ma quest’ultimo ha dimostrato senza difficoltà che si è sempre trattato di viaggi istituzionali e ufficiali, in compagnia di altri alti funzionari israeliani, come il capo del Mossad. Nello stesso filmato, Netanyahu difende ed elogia uno dei due collaboratori indagati, Yonatan Urich, mentre scarica con disprezzo Eli Feldstein, ammettendo i suoi legami di interesse con Doha, e utilizzandolo come unico capro espiatorio. Yonatan Urich è il portavoce senior del primo ministro. Netanyahu ha affermato che Urich non ha preso parte a riunioni di sicurezza – ma i rapporti riservati sono trapelati negli ultimi anni, senza difficoltà, dal personale politico e diplomatico, e dunque è inverosimile che il portavoce del primo ministro non fosse a conoscenza di ciò che accadeva intorno a lui. Urich, oltretutto, è già coinvolto in tre casi penali.
Il secondo indagato, Eli Feldstein, è stato assunto dall’ufficio del primo ministro all’inizio della guerra, come portavoce e collegamento con i militari. L’ufficio ha tentato di inserire Feldstein all’interno dell’organico dell’esercito, come se lavorasse da riservista, perché fosse l’esercito stesso a finanziarlo e dunque, in qualche modo, ad assumerlo. Ma le forze armate hanno rifiutato, perché, secondo dichiarazioni e fonti trapelate, non intendevano assumere una persona che aveva il compito principale di scaricare sullo stato maggiore tutte le responsabilità dei fallimenti del 7 ottobre, assolvendo la politica e lo stesso Netanyahu.
I due sono accusati di avere ricevuto fondi dal Qatar perché ne migliorassero l’immagine e lavorassero a presentarlo come uno Stato moderno e sinceramente amico. Il Qatar e l’Egitto sono i due mediatori arabi coinvolti nei negoziati di pace con Hamas. Con ogni probabilità, l’obiettivo non era solo quello di esaltare l’immagine di Doha. Insieme si doveva infangare quella del Cairo. Feldstein era stato già stato arrestato, a dicembre, per il caso soprannominato BibiLeaks, ossia per la manipolazione e la diffusione di documenti riservati. Feldstein avrebbe trasmesso al quotidiano tedesco “Bild” un documento riservato, allo scopo di minare i negoziati tra Israele e Hamas e porre un freno alle manifestazioni a favore di un accordo.
I portavoce hanno riferito che, tra i materiali trasmessi da Feldstein, ce ne sarebbe uno contenente un’accusa mossa all’intelligence egiziana, la quale, seppur a conoscenza del piano di Hamas del 7 ottobre, avrebbe deliberatamente mentito al capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Una manipolazione di vecchi rapporti e notizie aggiornate avrebbe dato vita a una serie di documenti in cui si ipotizzava addirittura che l’Egitto stesse preparando un attacco a Israele. La tesi, dunque, è che tutto ciò avesse origine dall’ufficio del primo ministro, allo scopo di demonizzare il Cairo per rafforzare l’immagine di Doha. Se questo sospetto si rivelasse veritiero, potrebbe causare uno scontro diplomatico tra l’Egitto e Israele, e rappresenterebbe un gioco politico pericolosissimo in cui i consiglieri di Netanyahu avrebbero coinvolto l’intero Paese, solo per utilità economiche personali.
Ecco che i due casi che coinvolgono l’ufficio del primo ministro, si uniscono in un unico scenario che preoccupa non poco Netanyahu. Questi ha dichiarato che non era a conoscenza dei pagamenti emessi dal Qatar a favore dei suoi consiglieri. Eppure, ossessionato com’è dai media e da ciò che pubblica la stampa, ci si chiede perché non abbia fatto domande al suo staff sui continui rapporti pro-Qatar che venivano inviati ai giornali. Tant’è vero che gli investigatori stanno cominciando a spostare l’attenzione anche sulla stampa. Qualche giorno fa è stato fermato e interrogato, tra gli altri, il caporedattore del “Jerusalem Post”, Zvika Klein.
Israele, per ordine e volontà di Netanyahu e di coloro di cui ha fortemente voluto circondarsi, sta portando avanti una rinnovata e violentissima operazione militare sulla Striscia, bombardamenti e scontri di terra in Siria (dove ha scelto di aprire un nuovo fronte con la Turchia), attacchi e occupazioni in Libano, senza escludere la possibile escalation con l’Iran. Il quotidiano israeliano “Haaretz” si domanda, oggi, se un premier immerso fino al collo in un duello con le autorità giudiziarie e legali sia in grado di gestire una situazione tanto delicata, prendendo decisioni serie e ponderate su questioni che potrebbero cambiare la storia del Medio Oriente, quindi di Israele.