L’economia agonizza, la moneta argentina sprofonda, nonostante gli sforzi del governo per tenerla a galla, dimezzando il suo valore dall’inizio dell’anno. Un argentino su quattro vive in povertà e il debito è dell’85% del Pil. Volano i prezzi (vedi qui), con l’inflazione che ad agosto ha registrato un balzo del 12,4% rispetto a luglio, il più alto aumento in un mese da trentadue anni, quando il Paese sudamericano si stava lasciando alle spalle l’ultima iperinflazione della sua storia. Il dato di settembre, che sarà reso noto il 12 ottobre, a soli dieci giorni dal primo turno delle presidenziali, secondo le stime oscillerà tra l’11 e il 12,5%, continuando una galoppata che, mese per mese, ha toccato il 6,0% a gennaio, il 6,6% a febbraio, il 7,7% a marzo, l’8,4% ad aprile, il 7,8% a maggio, il 6% a giugno, il 6,3% a luglio, per finire con il balzo di agosto. Nel mese di ottobre, si prevede un incremento dell’inflazione a una cifra, ma tutti gli economisti parlano di incertezza, facendo riferimento al quadro politico che potrebbe uscire dalle elezioni.
Nell’ultimo anno, da quando la politica economica è guidata dal ministro Sergio Massa, l’inflazione su base annua è salita al 124,4%, e con tutta probabilità supererà il 150% a dicembre, quando il presidente eletto entrerà in carica, ereditando il Paese con la più alta inflazione al mondo dopo il Venezuela. Parallelamente, il tasso di povertà della prima metà del 2023 è stato del 40,1%, mentre l’indigenza ha raggiunto il 9,3% della popolazione. L’impatto è stato maggiore tra i ragazzi e le ragazze fino a 14 anni: il 56,2% di loro sono poveri e il 13,6% sono indigenti. Per cercare di rafforzare le riserve di dollari, l’esecutivo ha annunciato l’accesso parziale a un tasso di cambio più favorevole per gli esportatori di gas e petrolio, cosa che ha già fatto con gli esportatori di soia. Recentemente si è concretizzata anche un’importante modifica fiscale, approvata giovedì 29 settembre dal Senato, che limita in larga misura il numero di coloro che pagano l’imposta sul reddito.
Il provvedimento è stato promosso dal ministro Sergio Massa, candidato alla presidenza per il partito di governo. “Da più di dieci anni – ha twittato – sostengo che #IlSalarioNonÈGuadagno, ma pagamento per il lavoro che fanno ogni giorno. Da oggi, l’eliminazione dell’imposta sui guadagni per i lavoratori è una realtà”. Così, da ottobre, con il voto favorevole dell’anarco-liberista Javier Milei e quello contrario di Juntos por el cambio, solo coloro che guadagnano più di quindici salari minimi, ovvero più di 1.770.000 pesos (circa 2.240 dollari al cambio parallelo), saranno tenuti a pagare l’imposta sui guadagni. Tutte misure tese a sostenere la grande massa di argentini colpiti dall’inflazione, che ha un impatto sui conti pubblici, aumentando la spesa e riducendo le entrate. Non a caso, la portavoce del Fondo monetario internazionale, Julie Kozack, ha osservato che le misure prese dal governo di Alberto Fernández “esacerbano le difficoltà dell’Argentina”, non risparmiando accenni critici alla dollarizzazione, la ricetta economica propugnata da Milei.
È lui che, sul piano politico, è uscito vincitore a sorpresa lo scorso 13 agosto dalle primarie (indicate con l’acronimo Paso) con il 30,04% dei voti, seguito da Juntos por el cambio (28,27%) e Unión por la Patria (27,27%). Milei ha vinto in sedici province, mentre il partito di governo ha prevalso in cinque e JxC in tre. Seguiva poi Juan Schiaretti di Hacemos por nuestro País, con il 3,95%; mentre è arrivata quinta la sinistra trotzkista (i cosiddetti troskos) del Frente de izquierda, l’unica corrente significativa della sinistra che agisce oggi al di fuori della coalizione pan-peronista Unión por la Patria (Up).Una delle conseguenze del risultato delle Paso è stata la svalutazione decisa dalla Banca centrale, quando il peso ha perso in un giorno il 18% del suo valore nei confronti del dollaro. E di certo tale decisione ha avuto un peso sull’andamento dell’inflazione.
Per il peronismo kirchnerista, che si è sempre detto contrario a ogni svalutazione, le primarie sono state una mazzata, dato che ha perso quasi la metà dei voti rispetto a quelli ottenuti nel 2019, passando da 12,2 milioni a 6,4 milioni. A livello locale, ha vinto solo in cinque province, anche se tra queste c’è Buenos Aires, la più popolosa. In un quadro che vede i voti di destra e dell’estrema destra solidamente maggioritari nel Paese, il kirchnerismo, che pure era stato visto come la più credibile risposta alla crisi del 2001-2002, la via di uscita a sinistra al crollo del modello neoliberista di Carlos Menem (1989-1999), a distanza di venti anni, parrebbe destinato a cedere la soluzione della nuova crisi alla destra, con il vincitore delle primarie Milei, l’homo novus della politica argentina, al centro dell’attenzione nel Paese e all’estero.
Nella sua duplice veste di ministro dell’Economia e di candidato presidenziale, Massa ha lanciato due bonus straordinari, dell’equivalente di 80 dollari ciascuno, per quei lavoratori che guadagnano meno di quattrocentomila pesos, e per i pensionati con gli assegni più bassi; ma il fallimento delle sue politiche antinflazionistiche è un’arma in mano alla propaganda di Milei e di Bullrich. Le previsioni per il 22 ottobre vedono probabile un ballottaggio tra lui e Milei, leader di La Libertad avanza; mentre l’intenzione di voto per la candidata presidente di Juntos por el cambio, Patricia Bullrich, si sgonfia. Tanto che, parlando agli studenti di Harvard, l’ex presidente Mauricio Macri, ha dichiarato: “Se Milei vince le elezioni, spero che la nostra coalizione sostenga qualsiasi riforma ragionevole”, anche se poi ha aggiunto, e non poteva fare altrimenti, di essere certo che a prevalere sarà Bullrich. Che tenta di risalire la china soprattutto dopo la vittoria di candidati a lei vicini nelle province di Santa Fe e Mendoza, per quanto il voto provinciale sia cosa a sé, difficilmente rispecchiandosi in quello nazionale.
Da una comparazione di diversi sondaggi di metà settembre, risulta che l’intenzione di voto per Milei è tra il 32% e il 35%, mentre per l’attuale ministro dell’Economia è tra il 29% e il 32%. Nel frattempo, la tendenza a favore di Bullrich, che va dal 26% al 29% di intenzioni di voto, rallenta. Anche se Javier Milei ha migliorato la sua performance, è molto difficile per lui raggiungere il 40%, e, se anche ci arrivasse, che ottenga dieci punti di vantaggio su Massa, che gli consentirebbero di vincere al primo turno. Per evitare il ballottaggio, infatti, la legge richiede il 45% dei voti o il 40% con un vantaggio di dieci punti sul secondo classificato.
Nelle scorse primarie, sono stati più di dodici milioni i cittadini che non hanno votato per nessuno dei candidati: non sono andati a votare o hanno votato in bianco. È in questo territorio che Massa potrebbe pescare, mobilitando, con la scusa della minaccia Milei, un elettorato precedentemente inerte. Il candidato di Unión por la Patria ha confermato che, in caso di vittoria, si impegnerà per varare un governo di unità nazionale al quale ha posto una sola condizione: porre un limite al Fondo monetario internazionale. Anche cercando di trovare, quindi, accordi con i radicali e persino con la stessa Bullrich.
Domenica primo ottobre si è svolto il primo dibattito tra i candidati alla presidenza – a Santiago del Estero, nel nord del Paese –, che si è concluso senza un chiaro vincitore. Javier Milei, non ha calcato la mano sulla difficile situazione economica, e ha preferito non rischiare, riuscendo a tenere sotto controllo la sua irruenza per mostrarsi come un serio candidato presidenziale. Ha negato l’esistenza delle decine di migliaia di desaparecidos dell’ultima dittatura (1976-1983), il cui numero, secondo le organizzazioni per i diritti umani, è di trentamila, affermando che sono stati 8753. E ha avallato la tesi della sua candidata a vicepresidente, Victoria Villarruel, che equipara i crimini contro l’umanità commessi dallo Stato alla violenza dei gruppi di opposizione. “Negli anni Settanta c’è stata una guerra”, in cui le forze di sicurezza dello Stato hanno commesso “crimini”, ma “anche i terroristi hanno ucciso persone, torturato, messo bombe e commesso crimini contro l’umanità”, ha detto. Ha persino chiesto scusa al papa, attaccato frontalmente in passato quando ancora non era entrato in politica. Allora Milei aveva detto che il pontefice è un “imbecille” e il “rappresentante del maligno”. Ora ha assicurato che lo rispetta come capo di Stato e leader della Chiesa. Ha accusato Patricia Bullrich di avere lanciato bombe negli asili, ricordando il suo passato di vicinanza ai Montoneros. Accusa che gli costerà una querela da parte della Bullrich. È stato uno dei candidati più criticati, insieme a Sergio Massa, che si attendeva che i suoi avversari lo avrebbero attaccato, oltre che per l’economia, anche per gli scandali che hanno colpito il kirchnerismo.
L’ultimo, in ordine di tempo, riguarda le vacanze di lusso a Marbella di Martín Insaurralde, capo di gabinetto della provincia di Buenos Aires, il più grande distretto elettorale del Paese, governato dal pupillo di Cristina Kirchner, Axel Kicillof. Insaurralde è risultato avere speso oltre ottomila euro al giorno per noleggiare lo yacht su cui ha navigato insieme alla modella Sofía Clerici nel Mediterraneo. Della loro vacanza sono state date in pasto ai giornali le foto della barca e dei due mentre brindano con champagne. E ci si chiede come tutto ciò sia possibile, visto che il patrimonio di Insaurralde si riduce a una casa e poco altro, oltre al suo stipendio come capo di gabinetto di poco più di un milione di pesos (circa tremila dollari al valore ufficiale). Scoppiato lo scandalo, ha dovuto dimettersi, mentre si sospetta che il tutto sia frutto di corruzione e di arricchimento illecito. L’ennesimo scandalo, che rischia di rappresentare un grosso danno politico, nel tratto finale della campagna per la presidenza argentina, che coinvolge il bastione del kirchnerismo, e dove il 13 agosto il ministro Massa ha mantenuto la maggioranza dei voti in gran parte grazie alla gestione del governatore Axel Kicillof, che aspira alla rielezione. Il feudo in cui i sostenitori della ex presidente, Cristina Kirchner, contano di ritirarsi in caso di sconfitta a ottobre, in attesa che spirino venti a loro più favorevoli.
Se Massa temeva che sarebbe stato messo sulla graticola dai suoi avversari, la tortura è stata più lieve di quanto ci si aspettasse. Certo, di fronte al disastro dell’economia, ha dovuto ammettere qualche errore; ma ha scaricato la colpa sull’ex presidente Mauricio Macri per i debiti, sul Fondo monetario internazionale per le scelte di politica economica, e sugli evasori fiscali. Ha sviato il discorso dalle proprie responsabilità, ricorrendo a una mitragliata di proposte, che prevedono la creazione di una moneta digitale, una legge sul riciclaggio di denaro e pene detentive per coloro che evadono il Fisco. Ha ribadito l’intenzione di varare un governo di unità nazionale, e ha smontato il progetto di dollarizzazione di Milei dicendo che “solo tre Paesi nel mondo (lo) hanno: Zimbabwe, Ecuador ed El Salvador”. Patricia Bullrich avrebbe avuto bisogno di una buona prestazione, ma non ci è riuscita, mentre i suoi avversari l’hanno attaccata sulle sue proposte economiche, il suo fianco più debole. Il prossimo dibattito presidenziale, ultima occasione per i contendenti, avrà luogo a Buenos Aires domenica 8 ottobre.