Drôle de guerre, “strana guerra” o addirittura “guerra per burla”: così si diceva in Francia per riferirsi alla situazione di stallo dell’inverno 1939-40. La Francia e la Germania nazista erano formalmente in guerra dal 3 settembre 1940, ma i francesi rimanevano acquartierati nei forti della linea Maginot, i tedeschi in quelli della fronteggiante linea Sigfrido, e nulla succedeva. La situazione cambiò bruscamente dal 9 maggio 1940: le truppe tedesche, invadendo il Belgio e il Lussemburgo, come avevano già fatto nella Prima guerra mondiale (e occupando questa volta anche Olanda, Danimarca e Norvegia), aggirarono la linea Maginot; in poco più di un mese l’esercito francese, com’è noto, fu sconfitto, e il maresciallo Pétain dovette firmare un umiliante armistizio.
Ora, anche l’attuale conflitto in Ucraina ha in parte l’aspetto di una drôle de guerre. A prima vista le differenze tra le due situazioni sono così grandi che un paragone del genere appare blasfemo: la carneficina di soldati di ambo le parti – a cui si aggiungono quella ancora più spaventosa di tanti civili ucraini e le tremende distruzioni causate dagli attacchi russi – può essere definita in tutti i modi tranne che una “guerra per burla”. Eppure, da un altro punto di vista, la definizione pare applicabile, a cominciare dai termini usati per descrivere questa tragedia: in Russia, Putin ha vietato per legge di parlare di guerra e imposto l’uso della locuzione “operazione militare speciale”; in Occidente, si è detto che il continuo e crescente invio di armi all’Ucraina non è una escalation, ma il modo per raggiungere la “pace giusta”. Si tratta di due buoni esempi di “antilingua” nel senso di 1984 di George Orwell, in cui il primo slogan della propaganda del “Grande fratello” è proprio “La guerra è pace”.
Gli aspetti più importanti di questa drôle de guerre non stanno però nelle parole usate per riferirvisi, ma negli atteggiamenti concreti di ambedue le parti. Cominciamo dall’inizio: Putin pensava di poter arrivare facilmente a Kiev e installarvi un governo fantoccio; lo pensavano anche gli americani, tanto da consigliare al presidente ucraino Zelensky di fuggire all’estero e di mettersi sotto la loro protezione. Zelensky, molto coraggiosamente, e avendo evidentemente più fiducia nei combattenti ucraini, rimase al suo posto, ma, nel primo mese di guerra, lasciò aperta la via alla trattativa: come ricordava Noam Chomsky in un’intervista del 30 marzo 2022 (in Poteri illegittimi, Ponte alle Grazie, 2023, p. 239), “la stampa riferisce che l’Ucraina è pronta a dichiarare la neutralità, rinunciare all’adesione alla Nato e a impegnarsi a non sviluppare armi nucleari se la Russia ritirerà le truppe e Kiev riceverà garanzie di sicurezza …”.
Qualcuno ricorderà che in quelle stesse settimane ci furono almeno due incontri tra delegati russi e ucraini per discutere una possibile tregua e che, alla fine di marzo, auspice la Turchia, un incontro a livello ancora più alto doveva svolgersi proprio tra fine marzo e inizio aprile; poi, ogni dialogo fu interrotto, dopo la scoperta della strage di Bucha, evento orribile e di cui con ogni probabilità sono responsabili i russi; ma forse non è del tutto infondato il sospetto che sia stata piuttosto la rinuncia dei russi ad avanzare verso Kiev, dovuta certo alle capacità militari ucraine, che ha spinto gli Stati Uniti e i loro alleati a far sì che Zelensky abbandonasse la prospettiva del negoziato, per adottare quella della guerra ad oltranza, fino alla completa sconfitta della Russia.
Coerentemente con questo mutamento di strategia, il blocco occidentale ha sempre più intensificato la fornitura di armi all’Ucraina, sia dal punto di vista quantitativo sia, soprattutto, da quello qualitativo: all’inizio, si escludeva l’invio di carri armati e quello di aerei da combattimento; ora, i carri armati sono arrivati, e tra poco arriveranno, con ogni probabilità, anche gli aerei. Inoltre, la Gran Bretagna ha già deciso di inviare all’Ucraina missili di lunga gittata, con la raccomandazione, però, di non lanciarli sul territorio russo. È proprio in questa almeno apparente prudenza degli alleati occidentali che consiste la stranezza di questa guerra: se si vuole chiudere ogni porta al negoziato e risolvere la questione sul piano esclusivamente militare, non si vede perché non si debbano fornire tutte le armi necessarie. Quindi Zelensky, dal suo punto di vista, ha perfettamente ragione: se volete che io vinca la guerra, dovete darmi gli strumenti per farlo.
Tuttavia, questo “strano” comportamento è stato tenuto, almeno finora, anche dalla Russia. Prendiamo un elemento non direttamente rilevante sul piano militare, ma fondamentale su quello della propaganda, l’uccisione di Putin o di Zelensky, che non avrebbe un impatto diretto sul campo di battaglia, ma sicuramente l’avrebbe sul morale della popolazione dei loro rispettivi Paesi. Mentre gli ucraini (forse non direttamente dal loro territorio, ma mediante qualche “quinta colonna” in Russia) hanno tentato di uccidere Putin con un drone lanciato sul Cremlino, Zelensky continua a girare per il mondo senza che i russi tentino di abbattere l’aereo che lo trasporta.
Dal punto di vista militare, c’è un dato ancora più importante: la Russia non ha finora tentato di bloccare in alcun modo la fornitura di armi occidentali all’Ucraina. Chomsky, in un’intervista di quasi un anno fa (2 giugno 2022; vedi Poteri illegittimi, p. 327), notava questo fatto con un certo stupore, e osservava che, qualora la Russia cominciasse a attaccare le linee di rifornimento di armi pesanti all’Ucraina, si porrebbe “in uno scontro diretto con la Nato, ovvero gli Stati Uniti. Possiamo lasciare il resto all’immaginazione”.
Finora tanto gli Stati Uniti e la Nato, da un lato, e la Russia dall’altro, hanno condotto una drôle de guerre (purtroppo per loro, non gli ucraini, che la guerra la subiscono per davvero): entrambi i campi sperano di vincere senza creare una catastrofe mondiale. Ma una simile prospettiva è realistica? È davvero da escludere che tanto l’uno quanto l’altro schieramento, se vedesse che non può ottenere la vittoria con le armi convenzionali, non ricorra a quelle nucleari? Finora, noi occidentali ci siamo più o meno inconsapevolmente consolati con il pensiero che gli Stati Uniti e la Nato non le userebbero mai per primi, e che nemmeno Putin lo farebbe, perché, in caso contrario, subirebbe una rappresaglia distruttiva: ma non si potrebbe pensare che, di fronte alla possibilità di una sconfitta, non solo lancerebbe bombe nucleari tattiche sull’Ucraina, ma anche, preventivamente, bombe nucleari strategiche su tutto l’Occidente? Forse diamo troppo spazio all’immaginazione, ma visto che Putin è descritto come un pazzo o un macellaio, perché dovrebbe improvvisamente trasformarsi in un savio agnellino al momento di premere il famoso “bottone”?
A questo punto la domanda è scontata: cosa si può fare? La risposta è altrettanto scontata: tornare al negoziato. Obiezione: come si fa a trattare con un dittatore pazzo e criminale come Putin? La risposta è quella che già molti hanno formulato, addirittura fino da prima dell’inizio delle ostilità. Per esempio, si trova nel già citato libro di Chomsky e nell’altro dello stesso autore intitolato Perché l’Ucraina? (Ponte alle Grazie, 2022), ma anche in varie altre sedi, come il recentissimo Di guerra in guerra di Edgar Morin (Raffaello Cortina, 2023), definito tuttavia “mediocre libello” da Donatella Di Cesare chissà perché. L’Occidente deve rifiutarsi di negoziare con Putin “perché è un despota”? In passato, ha negoziato con Stalin e Mao, che certamente non erano da meno.
Le condizioni di pace non sono difficili da individuare: la Russia deve impegnarsi a garantire l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’Ucraina; in cambio, l’Ucraina deve impegnarsi a restare neutrale (quindi a non aderire alla Nato) e ad assicurare al Donbass un regime di autonomia. Una questione a parte è quella della Crimea, la cui popolazione è in larga maggioranza (84%) russofona e che, all’epoca dell’Unione sovietica, fece parte della Repubblica russa fino al 1954: la logica – osserva Morin – vorrebbe che rimanesse alla Russia.
Naturalmente, ci sono molti che non sarebbero soddisfatti di una simile conclusione e continueranno a ripetere che “non si possono mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore”. Forse hanno ragione, dal punto di vista del diritto: ma sarebbe decisamente meglio che la drôle de guerre si fermasse prima di diventare del tutto una guerra vera; ne guadagnerebbero, in primo luogo, le popolazioni ucraine che la stanno già subendo come tale; e la sopravvivenza dell’intera specie umana non sarebbe a rischio.