In Ecuador il presidente Guillermo Lasso ha deciso di sciogliere l’Assemblea nazionale a pochi giorni dal voto con cui questa avrebbe potuto destituirlo, a seguito del processo di impeachment avviato contro di lui. Lo ha fatto in virtù di un articolo della Costituzione, introdotto nel 2008 dal governo di Rafael Correa, conosciuto popolarmente con il nome di muerte cruzada, mai applicato prima. In base all’articolo citato, applicabile solo in casi di grave sconvolgimento interno e politico, il presidente può sciogliere il parlamento, indire le elezioni che rinnoveranno il legislativo e la massima carica dello Stato, governando nel frattempo per decreto per un massimo di sei mesi. Lasso ha giustificato lo scioglimento dell’Assemblea, assicurando di aver messo l’Ecuador “al di sopra di qualsiasi interesse personale”.
Ha sostenuto di essere giunto a questa conclusione, dato che il parlamento, dominato dall’opposizione, “ha come progetto politico la destabilizzazione del governo, della democrazia e dello Stato”, e che “non è possibile andare avanti”, in Ecuador, a causa dell’attività di un’Assemblea che si limita all’“ostruzione”. “È un processo di riflessione di diverse settimane, per non dire di diversi mesi – ha dichiarato alla Cnn – a fronte di un atteggiamento bellicoso da parte degli oppositori, che hanno proposto un processo di impeachment accusandomi di un crimine che non esiste nel codice penale ecuadoriano, che è appropriazione indebita per omissione e soprattutto, senza fondamento, senza prove o testimoni”. “Non ho schivato l’impeachment. Non ho commesso alcun peccato” – ha concluso.
A Lasso, probabilmente, non rimaneva altra soluzione per evitare la mozione di censura che lo accusa di essersi intascato fondi pubblici e di non aver mosso un dito quando è venuto a conoscenza delle irregolarità generate da un contratto di una società statale che trasporta petrolio, di cui il Paese è un grande produttore. Un’accusa che Lasso ha sempre respinto, ricordando come tale contratto era stato firmato dal governo che lo aveva preceduto. Il procedimento, per cui il parlamento avrebbe cercato una maggioranza di due terzi per farlo dimettere, si basa su un’accusa di riciclaggio di denaro derivante da un accordo firmato dalla società pubblica Flopec, che ha causato al Paese un danno di circa 6,1 milioni di dollari. Il contratto in questione è ancora in vigore, anche se è stato firmato nel 2020, durante il governo di Lenín Moreno. La mossa di Lasso, tuttavia, anziché calmare gli animi, rischia di esasperarli un po’ di più, col risultato di accrescere l’instabilità del Paese.
Ex banchiere di Guayaquil, legato all’Opus Dei, Lasso non è nuovo alle accuse di corruzione. Nel 2021, il suo nome era nei file dei “Pandora Papers”, assieme a diversi leader e personalità che hanno occultato beni nei paradisi fiscali, nonostante la legge ecuadoriana proibisca ai candidati e ai funzionari di avere investimenti in paradisi fiscali. Nel giugno 2022, del resto, le proteste contro l’aumento dei prezzi del carburante e del cibo (vedi qui) portarono a uno sciopero nazionale del più grande movimento indigeno del Paese, che chiedeva le sue dimissioni.
Grazie alla sua decisione, probabilmente potrà occupare la poltrona di Palacio Carandolet, sede del governo e residenza ufficiale dei presidenti dell’Ecuador, ancora per qualche mese. Durante i quali potrà governare attraverso decreti che dovranno essere approvati solo dalla Corte costituzionale e non più dal parlamento, ormai sciolto. Nell’ottica di Lasso, la scelta non solo lo mette al riparo da una possibile destituzione, ma gli offre anche l’opportunità di affrontare meno condizionato i problemi della sicurezza, del traffico di droga e dell’economia. Ora che non ha più un parlamento che gli fa la guerra, se riuscisse a ottenere qualche risultato sui temi cruciali del Paese, potrebbe persino pensare a una possibile ricandidatura, per quanto non abbia fatto trapelare finora le sue intenzioni in merito e la sua popolarità sia al momento assai bassa.
Eppure, quando era stato eletto, nel maggio 2021, Lasso aveva battuto il suo avversario di sinistra ottenendo più del 52% dei voti su un programma economico neoliberale e la promessa di una campagna di vaccinazione contro il Covid-19. Tuttavia, con l’andare del tempo, l’ampio sostegno su cui poteva contare è andato riducendosi per il manifestarsi di una drammatica carenza di sicurezza che aveva colpito soprattutto il sistema carcerario, dove l’anno scorso il numero degli omicidi ha superato i cento casi. A ciò ha corrisposto anche un aumento della violenza nelle città, in cui sempre più agiscono i cartelli del narcotraffico impegnati ad assicurare il transito della cocaina che da Perù, Bolivia e Colombia è diretta ai mercati europei e degli Stati Uniti. Le misure prese da Lasso per affrontare la situazione, ricorrendo anche più volte alla promulgazione dello stato di emergenza nel Paese, non sono state in grado di ridurre la violenza, mentre la criminalità organizzata di fatto continua a controllare i vari istituti di pena e l’economia legata alla droga rimane fiorente.
Le reazioni dell’opposizione non si sono fatte attendere. Via Tweet, Rafael Correa, l’ex presidente condannato con sentenza definitiva per corruzione, che non può metter piede in Ecuador pena la galera, ha detto che la scelta di Lasso è “l’ultimo chiodo della sua stessa bara politica”, e ha denunciato il suo come un “colpo di Stato”, perché non c’è un “grave sconvolgimento sociale” che giustifichi il decreto di muerte cruzada. Secondo Correa, Lasso ha scelto quella strada perché “non poteva comprare abbastanza membri dell’Assemblea per salvarsi. In ogni caso, è una grande opportunità per liberarci di Lasso, del suo governo e dei suoi membri dell’Assemblea in affitto, e recuperare la patria”.
Leonidas Iza, presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie), che potrebbe essere un valido candidato alle prossime presidenziali, lontano dal correismo, accusato di corruzione e di mancanza di rispetto dell’ambiente, ha detto che bisogna “rimanere vigili”, in difesa degli interessi del popolo ecuadoriano, e che la decisione di Lasso costituisce una “dittatura”, e che avrebbe convocato un “consiglio esteso straordinario” per analizzare la situazione. Iza, ha accusato Lasso di avere fatto un “codardo auto-colpo di Stato con l’aiuto della polizia e delle forze armate”.
Per il Fronte popolare, in cui convergono diversi sindacati, il provvedimento è anticostituzionale, al punto che non esclude la mobilitazione nelle strade, giudicando la scelta di Lasso “la disperazione di un governante che intende imporre misure impopolari”. Nelson Erazo, il suo presidente, ha detto che il governo sta progettando di inviare un decreto legge con la riforma del lavoro, confermando che i sindacati “difenderanno i loro diritti del lavoro”.
Quanto ai militari, il capo del Comando congiunto delle forze armate (Comaco) dell’Ecuador, Nelson Proaño, ha assicurato in un video che insieme alla polizia nazionale “rimarranno nella loro posizione inalterabile di assoluto rispetto della Costituzione e delle leggi”. E ha dichiarato, attirandosi le critiche delle opposizioni che hanno contestato il suo diritto a intervenire nella questione, che la decisione di Lasso di sciogliere l’Assemblea è sancita dalla Costituzione. Di fatto, chi sembra guadagnare da tutto ciò sono i sostenitori di Rafael Correa, seguiti dal centrodestra del Partito sociale cristiano e dai rappresentanti indigeni.