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Morire di carcere (3)

Nel carcere di Avellino le tensioni di lunedì scorso, con un medico aggredito e tenuto in ostaggio, sono oggi scoppiate in una rivolta. Il quadro che emerge dal Rapporto sul 41-bis del Garante dei detenuti, Mauro Palma, è allarmante

17 Maggio 2023 Guido Ruotolo  226

Momenti drammatici ad Avellino. Nel carcere è scoppiata la rivolta di una cinquantina di detenuti della sezione Reati comuni. Polizia e carabinieri hanno circondato il carcere e sembra (secondo le indiscrezioni filtrate alle quattro di questo pomeriggio) che la rivolta stia rientrando. Due agenti della polizia penitenziaria sarebbero feriti. Secondo un sindacato del personale, i rivoltosi avrebbero usato come arma di deterrenza olio bollente. Da lunedì, secondo quanto circola in queste ore, la tensione nel carcere avellinese era salita alle stelle. La situazione è degenerata stamattina quando due detenuti si sono opposti a un trasferimento e altri due si sono rifiutati di finire in isolamento, uno perché aveva aggredito il medico e l’altro perché era stato trovato in possesso di un telefono cellulare. Momenti convulsi. Anche il procuratore della Repubblica Airola si trova nel carcere. Il nostro sistema carcerario si sta trasformando in una pentola a pressione. Il quadro che emerge dal Rapporto sul 41-bis del Garante dei detenuti, Mauro Palma, è allarmante. Sono 700 i detenuti al 41-bis. Troppi.

Il Rapporto ricorda l’ultima sentenza della Corte costituzionale, che stabilisce che “la misura (il 41-bis, ndr) deve essere volta a far fronte a specifiche esigenze di ordine e sicurezza, essenzialmente discendenti dalla necessità di prevenire e impedire i collegamenti tra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà. Collegamenti che potrebbero realizzarsi – come l’esperienza dimostra – attraverso l’utilizzo delle opportunità di contatti che l’ordinario regime carcerario consente e in certa misura favorisce (come quando si indica l’obiettivo del reinserimento sociale dei detenuti anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno)”.

Il Rapporto sul 41-bis del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale non nasconde i “profili di criticità” dello stesso regime speciale carcerario: “La complessa e per molti versi critica situazione in cui versa attualmente il regime speciale (del 41-bis ndr) risiede forse nel non aver accolto quelle indicazioni preventive allora enucleate dal Comitato europeo. Innanzitutto l’aumento numerico rilevante dal 2009 agli anni immediatamente successivi e mantenutosi stabile nell’ultimo decennio è frutto di tale impostazione restrittiva con un passaggio da meno di 600 persone ristrette in tale regime, con una incidenza di più della metà ergastolani, alle attuali più di 730 persone, con un’incidenza di meno del 30% di ergastolani e con accentuata lunghezza della permanenza nel regime stesso che non ha visto significative declassificazioni nel corso dei 14 anni che ci separano da quella riforma”. Da più parti è stato sollevato il tema che il 41-bis viola i diritti umani. Il Rapporto Palma chiarisce che la Corte di Strasburgo “non ha mai accusato il 41-bis di violare in sé la Convenzione europea dei diritti umani che inderogabilmente vieta tortura e trattamenti o pene inumani o degradanti”.

Ma è anche vero che, affrontando il ricorso dei legali di Bernardo Provenzano, il capomafia di Corleone, Strasburgo ha stabilito “che vi era stata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione in relazione al rinnovo del regime speciale di detenzione, il 23 marzo del 2016 – quando le condizioni di salute del ricorrente erano già definitivamente compromesse – ma che non vi era stata violazione di tale articolo in relazione alle condizioni di detenzione”. Insomma, i magistrati italiani avevano infierito senza ragione nel prorogare il 41-bis nei confronti di Provenzano, la cui infermità era fortemente invalidante. Il detenuto non avrebbe mai potuto comunicare con l’esterno.

Scrive il Garante Palma: “Questa sentenza è rilevante sotto un altro aspetto: il rinnovo del regime pur in presenza di pareri medici specifici relativi alla totale compromissione dello stato di salute – e pur in presenza nel caso in esame, di parere contrario al rinnovo da parte della Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta sulla base del deterioramento delle funzioni cognitive”. Sprezzante il giudizio della Corte europea: “Le autorità italiane hanno voluto assegnare una rilevanza al valore simbolico della persona ristretta a detrimento della finalità propria di tale regime racchiusa nella possibilità effettiva di produrre comunicazione, informazione o anche ordini alle organizzazioni stesse”.

C’è però un nervo scoperto, secondo Mauro Palma, ed è quello della “compatibilità del regime del 41-bis con il diritto alla finalità rieducativa della pena. È parte di questa necessaria riflessione l’osservazione della reiterazione del regime speciale a carico di singole persone, protratta anche per decenni, e di come essa, da un lato, possa rivelare un profilo di criticità nel perseguimento della finalità specifica dell’istituto, dall’altro possa incidere sull’inderogabile principio di tutela dei diritti attinenti a ogni persona, indipendentemente dal suo status di libertà o di detenzione, nonché dei diritti fondamentali”. Specifica la Corte costituzionale: “Restano comunque vietate misure restrittive concretanti un trattamento contrario al senso di umanità, o tali da vanificare del tutto la finalità rieducativa della pena”. Insomma, anche i detenuti al 41-bis devono partecipare ad attività risocializzanti, pur garantendo che gli stessi non abbiano rapporti con altri sodali e organizzazioni. Interessante, infine, il giudizio del Garante sulle condizioni di vita dei detenuti al 41-bis: “Molto poche – quasi numericamente ininfluenti – sono le doglianze per maltrattamenti o comportamenti offensivi da parte del personale. La maggior parte delle segnalazioni al Garante nazionale ha riguardato la tutela della salute – tema peraltro comune a quasi tutte le aree della detenzione – e l’incremento delle possibilità di colloqui con i familiari”.

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