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Scioperi all’inglese, lottare per recuperare il potere di acquisto

Da giugno, i sindacati del settore dei trasporti stanno organizzando agitazioni che hanno paralizzato la Gran Bretagna. Il conflitto potrebbe ora estendersi alla sanità. Il nemico principale è l’inflazione che mangia i salari – ma il segno è opposto rispetto a quello degli anni Settanta e Ottanta

25 Agosto 2022 Paolo Andruccioli  556

Scioperi dei lavoratori dei trasporti, macchinisti dei treni, autisti degli autobus e delle metropolitane, ma anche addetti ai porti e alle comunicazioni, dipendenti delle poste; mentre si annunciano nuove mobilitazioni anche nel settore della sanità. Da giugno, il Regno Unito è scosso da un conflitto sociale che ha riportato alla mente gli scontri storici della classe operaia inglese contro Margaret Thatcher. Naturalmente la storia non si ripete mai uguale a se stessa, ma l’intensità delle tensioni sociali ha fatto scattare vari campanelli d’allarme in un Paese provato dalla Brexit e dalla pandemia. E ora il nemico principale è l’inflazione, con i prezzi delle merci che continuano a crescere anche a causa degli effetti a catena della guerra in Ucraina. La rincorsa prezzi-salari sembra avere, però, un segno opposto a quello che caratterizzò gli anni Settanta e Ottanta.

Mobilitazione straordinaria

Non è quindi un caso che gli osservatori abbiano cominciato a parlare del “più grande movimento di sciopero degli ultimi decenni” di fronte a un’inflazione galoppante. In luglio, si è registrata infatti una percentuale del 10%; ma gli economisti prevedono si possa arrivare al 13% in ottobre. È il livello più alto fra i Paesi del G7. Così i sindacati dei trasporti sono scesi in campo, bloccando il Paese per protestare contro la mancanza di politiche anti-inflazione, e per porre la questione cruciale dei salari insufficienti. Lo scontro è frontale tra lo Stato, le aziende dei trasporti e i rappresentanti dei lavoratori del settore guidati da Mick Lynch, segretario di Rmt (Rail Maritime and Transport Workers, il principale sindacato della categoria), che aveva annunciato, già all’inizio di giugno, la mobilitazione di oltre cinquantamila dipendenti delle ferrovie. Rmt raccoglie ottantamila iscritti, ed è membro della Tuc (The Trades Union Congress), la federazione di sindacati in Inghilterra e in Galles, che conta un totale di 6,2 milioni di membri.

Il conflitto è cresciuto negli ultimi due mesi, e i sindacati hanno anche rifiutato un’offerta di aumento salariale dell’8%, in due anni, da parte di Network Rail, la società pubblica che gestisce le linee ferroviarie. I sindacati non hanno ascoltato neppure gli inviti del governo, e accusano l’azienda di doppio gioco. Secondo il loro punto di vista, si proporrebbero aumenti (tra l’altro insufficienti a contrastare l’aumento dei prezzi), mettendo però in conto possibili licenziamenti di massa. Le accuse sono reciproche – ed è stato il segretario di Stato ai Trasporti, il conservatore Grant Shapps, a lanciare prima un appello alla tregua ai sindacati sui social, e poi ad accusare i sindacati stessi di avere bloccato la situazione per aver respinto la proposta di aumenti, ma soprattutto per essersi messi di traverso rispetto alle riforme per modernizzare le ferrovie.

Londra off limits

La cronaca agostana ha visto migliaia di lavoratori del Regno Unito scioperare alla stazione di Euston, a Londra. Il risultato è stata l’interruzione dei servizi in gran parte del Paese. “Abbiamo intrapreso sei giorni di sciopero” – spiega Mick Lynch: “Le aziende avevano intenzione di effettuare questi licenziamenti molti mesi fa, finora abbiamo bloccato tutto, abbiamo ricevuto offerte migliori. Sembra che abbiamo anche risvegliato lo spirito di solidarietà tra i cittadini britannici. Stiamo riscontrando un grande sostegno, la gente sta tornando a pensare all’azione collettiva, allo sciopero e alla solidarietà tra i lavoratori”. Lo sciopero, per i sindacati, è stato un successo: solo un treno su cinque ha circolato.

La decisione dello sciopero di agosto è arrivata dopo che migliaia di operatori ferroviari e lavoratori della Network Rail avevano già bloccato i treni a livello nazionale a giugno. Nel frattempo, i macchinisti di otto compagnie ferroviarie hanno scioperato il 30 luglio. Al centro della vertenza, sempre questioni legate alle retribuzioni. La denuncia dei sindacati è anche politica: “È chiaro – ha dichiarato Mick Linch – che l’esecutivo tory, dopo aver tagliato quattro miliardi di sterline in fondi da National Rail e da Transport for London, ha ora attivamente impedito una soluzione a questa controversia”.  

Fuori dall’Europa

Il conflitto nel settore dei trasporti, e in altre parti dei servizi ai cittadini, può essere visto anche come uno degli effetti a lungo termine della Brexit. Ma l’uscita dall’Europa, quando si trattò di decidere, non fu avversata neppure dai principali sindacati del Paese. Lasciare l’Unione, per porre fine agli attacchi ai lavoratori delle ferrovie, era lo slogan del sindacato dei trasporti. Lo stesso sindacato, nel 2016, teorizzava la necessità di lasciare l’Europa per porre fine agli attacchi ai lavoratori marittimi e degli offshore. Secondo i dirigenti sindacali inglesi, sarebbe stato necessario sfatare il mito di un’Europa a favore dei lavoratori. “Se si entra in un’Unione – dicevano –, ci si aspetta che i membri dell’Unione si proteggano l’un l’altro nei momenti di difficoltà. L’Unione europea ha fatto l’esatto contrario. Ha usato la crisi economica per imporre austerità e privatizzazioni agli Stati membri. Invece di proteggere posti di lavoro e investimenti, il rigore dell’Unione europea sta guidando l’austerità del Regno Unito”. L’indicazione al referendum, di conseguenza, è stata chiara: votare sì alla Brexit.

Ferrovie, porti, poste

Dopo i ferrovieri, è toccato ai portuali. Il 21 agosto gli operai del porto di Felixstowe, nel Suffolk, il più grande del Regno Unito, hanno iniziato uno sciopero di otto giorni che ha creato subito un grande allarme per le sue possibili ripercussioni sulla catena di distribuzione di beni nel Paese. A incrociare le braccia, sono stati 1.900 fra operatori di gru e macchinari, e altri lavoratori portuali nell’est dell’Inghilterra, che gestiscono una media di quattro milioni di container l’anno. Si è trattato del primo sciopero di questo scalo, dal 1989. “I dock di Felixstowe sono estremamente redditizi. Le cifre più recenti mostrano che nel 2020 hanno realizzato 61 milioni di sterline (circa 72 milioni di euro) di profitti”, ha dichiarato la segretaria del sindacato Unite, Sharon Graham. “La sua casa madre, la CK Hutchison Holding Ltd, è così ricca che quello stesso anno ha distribuito 99 milioni di sterline di dividendi ai suoi azionisti. Credo, quindi, che sia in grado di dare ai lavoratori di Felixstowe un giusto incremento di salario” – ha aggiunto Graham.

Tra gli altri settori interessati dallo sciopero, ci sono stati i lavoratori postali. Più di 115.000 lavoratori hanno programmato quattro giorni di sciopero tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, guidati dal sindacato Cwu del settore; mentre circa quarantamila lavoratori dell’operatore di telecomunicazioni BT andranno avanti con il loro primo sciopero in 35 anni. Sono previste, o si sono svolte, anche azioni presso i magazzini di Amazon, tra gli avvocati penalisti e tra gli addetti alle pulizie.

Quelli che pensano agli aumenti

Alcune aziende britanniche hanno scelto di aumentare i salari per evitare gli scioperi. I lavoratori di un’azienda di rifornimento, all’aeroporto di Heathrow, hanno minacciato di interrompere il traffico, e alla fine i capi hanno accettato l’aumento di stipendio. Allo stesso modo, il personale di terra di British Airways, che chiedeva almeno il ripristino dei salari tagliati del 10% durante la pandemia, ha accettato un aumento del 13% e ha sospeso lo sciopero. I bassi salari non sono però l’unica lamentela degli scioperanti. I sindacati accusano il governo di aver recentemente modificato la legge, al fine di consentire l’utilizzo di lavoratori temporanei per sostituire gli scioperanti. Il famoso grande magazzino di lusso londinese, Harrods, è stata la prima azienda a minacciare il proprio personale di ricorrere alla legge, mentre alcuni lavoratori stanno attualmente votando se scioperare o meno.

Turbolenze aeree

Il settore del trasporto aereo è stato particolarmente colpito dagli scioperi in tutta Europa. È il caso della compagnia aerea tedesca Lufthansa, i cui piloti hanno votato quasi all’unanimità (97,6%), alla fine di luglio, a favore di uno sciopero per insistere sulle loro richieste, in particolare un aumento salariale del 5,5%. Le proteste contro i rincari stanno scaldando l’Europa in vari Stati. Le avvisaglie di un autunno caldo in Germania non mancano, e il governo cerca di correre ai ripari. Dopo l’annuncio di nuovi aumenti delle bollette del gas, il “no” di Bruxelles all’esonero Iva sul nuovo prelievo e le prime contestazioni al cancelliere Olaf Scholz, la coalizione di governo mette in atto la sua contromossa: l’Iva sul gas sarà ridotta dal 19 al 7%, in via provvisoria per l’intero periodo in cui sarà applicato il prelievo aggiuntivo, da ottobre a marzo 2023. (Per approfondire, vedi l’articolo di Agostino Petrillo pubblicato da “terzogiornale”).

Da noi c’è Ryanair

In Italia, gli scioperi del trasporto aereo hanno interessato i lavoratori della compagnia low cost, Ryanair. Mercoledì 8 giugno, i sindacati dei trasporti italiani hanno organizzato lo sciopero nazionale dei dipendenti della compagnia: 360 voli cancellati (compresi quelli di Easyjet e Volotea, che si fermarono nella stessa giornata), con punte di adesione del 90%. Eppure, alla low cost irlandese non è bastato. E il 25 giugno i sindacati sono stati costretti a un nuovo stop di ventiquattr’ore, indetto da Filt-Cgil e Uiltrasporti, con le medesime motivazioni del precedente. “Le organizzazioni che hanno indetto lo sciopero non hanno iscritti, quindi non sono rappresentative e non le riconosciamo” – ha dichiarato, giovedì 23, il country manager di Ryanair per l’Italia, Mauro Bolla. Una nuova sfida lanciata dai vertici aziendali, cui i lavoratori sicuramente sapranno rispondere. Nel frattempo, la protesta ha valicato i confini italiani, divenendo di respiro europeo. In questi stessi giorni dello sciopero, in Italia, si fermano anche i piloti e gli assistenti di volo basati in Spagna (24, 25, 26, 30 giugno, 1 e 2 luglio), Portogallo (24, 25 e 26 giugno), Francia (25 e 26 giugno) e Belgio (24, 25 e 26 giugno). Si prospettano, pertanto, disagi sui collegamenti operati dal gruppo, soprattutto verso i Paesi che vedono in atto la mobilitazione.

Il mistero della spirale inflattiva

La storia non si ripete mai uguale a se stessa, però non sempre il presente appare come una farsa rispetto al passato. Si comincia così a cercare di spiegare l’attuale dinamica inflattiva, in assenza di una crescita dei salari come avvenne tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta. “Negli anni Ottanta la risposta della politica economica doveva fronteggiare uno shock salariale, in quella odierna un tale shock non esiste – scrive l’economista Claudio Gnesutta –, se così è, cosa significa allora la preoccupazione sul fatto che i tagli dei salari reali indotti dai prezzi possano indurre i lavoratori a cercare di recuperare la perdita di potere d’acquisto?”.  In realtà, dietro questi dibattiti teorici, si nasconde spesso la giustificazione delle imprese per contenere i salari reali, nonostante gli aumenti dei prezzi.

Chi frenerà la corsa dei prezzi?

Che cosa dovrebbe fare allora la politica? “La nostra società deve affrontare – scrive ancora Gnesutta – in un contesto difficile di eventi bellici e di ristrutturazione dei rapporti produttivi a livello globale, una (ulteriore) pressione sui livelli di vita di chi lavora e di chi un lavoro dignitoso non ce l’ha. Ma anche tenere presente che le risposte politiche a questa situazione possono essere varie, con effetti sociali e politici molto diversi. Da un lato è possibile un compromesso in due tempi (contenimento salariale in attesa di una ristrutturazione che rilanci la produzione) associato a un sistema di sostegni del reddito per gli ‘ultimi’ e ‘semi-ultimi’. Dall’altro, è possibile un’azione che leghi tra loro le prospettive dei lavoratori, indifferentemente se precari o no, in un quadro istituzionale di politica del lavoro, dell’occupazione e di welfare, che li difenda nel loro complesso dagli effetti dell’inevitabile ristrutturazione produttiva e sociale che si sta prospettando”. C’è qualche traccia di tutto questo nei programmi elettorali dei partiti italiani che stanno per presentarsi all’appuntamento con gli elettori?

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