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Home » Articoli » La scomparsa di Desmond Tutu, alta coscienza del Novecento

La scomparsa di Desmond Tutu, alta coscienza del Novecento

C’è un nesso tra la concezione tipicamente africana dell’Ubuntu, fatta propria dall’arcivescovo anglicano, e l’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”

4 Gennaio 2022 Riccardo Cristiano  1076

Un funerale in assoluta semplicità, solo con i garofani della sua famiglia e le poche persone, un centinaio, ammesse dalle normative dovute alla pandemia. Così il mondo ha detto addio a Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano, il premio Nobel per la pace, il protagonista con Nelson Mandela della grande stagione che ha posto fine alla segregazione razziale in Sudafrica. Il suo nome è legato a tutto questo, ma soprattutto all’Ubuntu, quella grande concezione etico-culturale africana alla quale era profondamente legato, alla base della sua visione e quindi della scelta – purtroppo non seguita in altri contesti – di perseguire la giustizia nella riconciliazione.

Ha scritto giustamente Luigi Manconi sulla “Stampa”: “L’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, morto a novant’anni il giorno di Natale, ha tradotto in prassi esemplare una delle più fertili invenzioni filosofico-giuridiche del Novecento: la giustizia riparativa. Si tratta di quella forma di applicazione del diritto che mira a suturare la ferita determinata nelle relazioni sociali dalla commissione di un reato; e che non si limita a sanzionare la lesione inferta, ma opera per curarla”. Così il portale Casa della carità ha potuto collegare Tutu all’enciclica “Fratelli tutti”: “Tra i tanti grandi doni che l’arcivescovo Desmond Tutu ci ha fatto, vorrei coglierne uno in particolare, che è quello che riguarda la riconciliazione. Dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica, battaglia di cui fu uno dei protagonisti, nel 1995 Tutu ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione. L’istituzione della Commissione permise di avviare un processo di pacificazione all’interno della società sudafricana, che passò dalla ricerca della verità, facendo emergere le atrocità commesse da parte dei bianchi in decenni di oppressione, e l’incontro tra le vittime e i carnefici. Il perdono si accordava a chi, tra i responsabili della repressione, avesse pienamente confessato in modo da riparare, moralmente, nei confronti delle vittime e dei loro familiari. La Commissione per la Verità e la Riconciliazione rappresenta tuttora la più celebre applicazione del concetto di giustizia riparativa. Il messaggio di pace e fraternità che Tutu innescò con quel processo, che è tra le ispirazioni di papa Francesco nella scrittura dell’enciclica ‘Fratelli tutti’, ebbe al suo interno un grande investimento culturale e fu estremamente forte”.

Dunque oggi capire Tutu è comprendere l’impostazione che ispira Francesco e che ha una delle sue principali radici nell’Ubuntu. Che cos’è? Una delle migliori presentazioni è stata scritta da padre Elias Opongo su “La civiltà cattolica”: “La teoria africana dell’Ubuntu si riferisce ampiamente all’interconnessione che esiste all’interno dell’umanità e fra i suoi componenti, e al fatto che ‘la mia umanità trova la sua definizione fondamentale attraverso la tua umanità’. Questa definizione ontologica dell’Ubuntu si basa su tre princìpi: 1) l’umanità è essenzialmente progettata per coesistere in un’amicizia cosmologica; 2) i valori fondamentali dell’umanità possono essere realizzati soltanto tramite il riconoscimento della natura umana originaria dell’altra persona; 3) l’umanità è progettata per custodire e attuare il bene comune che la unisce. L’amicizia cosmologica insita nel concetto di Ubuntu pone l’accento sulle relazioni e sulla convivenza reciproca. Ossia, l’umanità dell’individuo si realizza solo attraverso la relazione con altri esseri umani con cui è in stretto rapporto, ma anche con quelli con i quali il rapporto è remoto. Questo concetto di relazione implica, in un certo senso, un’amicizia cosmologica fondata su un atteggiamento comune nei confronti dello sviluppo della società. La consapevolezza che ‘non posso essere felice da solo’ comporta che, per generare una società funzionale ed efficiente, il tessuto sociale deve basarsi sulla coscienza dell’esistenza dell’altro come agente attivo della felicità sociale e come potenziale e progressivo costruttore delle relazioni che definiscono quell’ordito societario. In altre parole, l’individualismo, sebbene possa condurre al successo, non contribuisce alla salute comunitaria della società”. 

Padre Obongo prende le mosse appunto dall’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, per il quale c’è un nesso evidente tra la consapevolezza della diversità e la consapevolezza che un essere umano autosufficiente sarebbe “subumano”. Questa consapevolezza dell’interdipendenza conduce a capire come l’individualismo “sebbene possa condurre al successo, non contribuisce alla salute comunitaria della società”. Ecco le reti della connessione sociale. L’Ubuntu riconosce l’umanità dell’altro, questa è la scoperta che facciamo seguendo il saggio che ci porta all’interno di una cultura non bianca.

Proseguendo, apprendiamo ulteriori interessanti conseguenze: “I bambini, pur appartenendo al proprio nucleo familiare, vengono visti anche come un bene comune da rispettare, proteggere e far crescere in modo dignitoso e solidale. Appartiene alla famiglia allargata e alla comunità in generale il dovere di aiutare le famiglie in difficoltà o che hanno problemi economici. Questa solidarietà sociale rafforza ulteriormente i legami tra i diversi settori della comunità, dato che la famiglia è il fondamento della coesione sociale”. È molto innovativa anche la concezione di leadership, che può essere elettiva o ereditaria, però “il singolo leader tuttavia non comanda da solo, ma piuttosto opera all’interno di un sistema di organi rappresentativi. Questa idea di guida sociale è importante, perché tutela dalla concezione moderna secondo la quale la leadership si basa sulla crescita del potere personale, indipendentemente dai bisogni degli altri”.

In questo modo si comprende meglio cosa abbia fatto di Desmond Tutu uno degli ultimi grandi del Novecento: è quello che lui stesso spiegò a Umberto De Giovannangeli che lo intervistò tanti anni fa per “l’Unità”: “Perdonare e riconciliarsi non significa far finta che le cose sono diverse da quello che sono. Non significa battersi reciprocamente la mano sulla spalla e chiudere gli occhi di fronte a quello che non va. Una vera riconciliazione può avvenire soltanto mettendo allo scoperto i propri sentimenti: la meschinità, la violenza, la degradazione… la verità”.

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TagsDesmond Tutu Francesco Riccardo Cristiano Sudafrica Ubuntu

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