È stato il congresso del consolidamento della leadership di Pedro Sánchez e della ritrovata unità tra le diverse componenti del Partito socialista spagnolo (Psoe), quello numero 40 che si è svolto lo scorso fine settimana a Valencia. Il premier e segretario del partito ne esce rafforzato politicamente, dopo che dal gennaio 2020 guida l’esecutivo formato da socialisti e Podemos – il più avanzato e a sinistra d’Europa –, dopo aver gestito per due anni un monocolore.
Sánchez ha potuto rivendicare i buoni risultati ottenuti contro la pandemia (“stiamo tornando con precauzione alla normalità”) e quelli nelle politiche sociali (riduzione del precariato, salario minimo, patrimoniale sui redditi alti e riforma del mercato del lavoro), dando un giudizio molto positivo della collaborazione (all’inizio sofferta) con Podemos, il partito nato dal movimento degli indignados del 2011. Da qui la richiesta di uno slancio per confermare governo e alleanza nelle prossime elezioni del 2023. Per questo obiettivo ha potuto sfoggiare l’ottima collaborazione con Yolanda Díaz, ministra del lavoro, vicepremier, comunista fin dagli anni Ottanta, molto rispettata dagli organi di informazione, coordinatrice di Podemos (ha sostituito dal marzo 2021 in questo ruolo Pablo Iglesias).
L’immagine che rimarrà impressa di questo congresso è tuttavia l’abbraccio tra Felipe González (quattro volte premier dal 1982, fautore della modernizzazione spagnola e del superamento del franchismo in una società democratica) e Luis Rodríguez Zapatero (premier dal 2004 al 2011, ispiratore del “socialismo dei cittadini” e della ulteriore democratizzazione della Spagna). Il primo aveva osteggiato in tutti i modi la collaborazione con Podemos, preferendo quella con Ciudadanos (una formazione centrista dalle effimere fortune); il secondo aveva appoggiato fin dall’inizio Sánchez con convinzione nel suo tentativo di sperimentare la formazione per la prima volta in Spagna di un governo di sinistra e non monocolore Psoe. Nei loro applauditissimi interventi al congresso si sono fatti qualche reciproca puntura di spillo, trovandosi tuttavia d’accordo nel segnalare i successi del governo e nel confermarne la prospettiva. Dietro i due leader hanno siglato una tregua le varie anime del Psoe, a iniziare da quella forte e radicata dell’Andalusia che guarda di solito più al centro del sistema politico che alla sua sinistra.
Sánchez, da parte sua, ha molto insistito con orgoglio sull’identità socialista del Psoe: “Anche il recente voto tedesco dimostra che la tradizione socialdemocratica è viva e alle prese con il tema del suo rinnovamento che passa da più coraggiose politiche ambientaliste e dall’incontro con altre componenti della sinistra”. Per il premier e segretario, non esistono alternative alla collaborazione con Podemos, semmai si tratta di rilanciare l’azione riformatrice del governo a iniziare dalla spinosa questione catalana (come rendere più autonomi i rapporti tra Barcellona e Madrid senza cedere al separatismo unilaterale, problema che può diventare centrale da qui alla fine della legislatura nel 2023).
“El guapo” (“il bello”) è il nomignolo popolare di Sánchez, nato a Madrid il 29 febbraio 1972 da genitori militanti socialisti, sposato con Maria Begoña Gómez esperta di marketing, padre di due figlie (Ainhoa e Carlota), alto un metro e novanta, iscrittosi al Psoe già nel 1993, tifoso dell’Atletico Madrid, immagine sportiva e accattivante (un passato da giocatore di basket), abile politicamente, ottimo oratore. È stato facile per lui dare la spallata decisiva a Mariano Rajoy, leader stanco e opaco di un Partito popolare (Pp) in declino sotto i colpi delle sentenze giudiziarie per i molti casi di corruzione. Sánchez è riuscito nel suo tentativo anche perché è tornato a proporre un’idea di Spagna giovane e dinamica con il suo governo valorizzando il rapporto con Podemos e l’eredità del movimento degli indignados.
Sánchez ha fatto ottimi studi. Parla correttamente inglese e francese. Ha frequentato le scuole superiori presso il prestigioso istituto Ramiro de Maeztu di Madrid. Si è laureato in Scienze economiche presso l’Università Complutense della capitale spagnola e ha conseguito la specializzazione presso l’Università Camilo José Cela, dove ha ricoperto l’incarico di professore associato di Storia del pensiero economico. Si dichiara femminista da sempre. È stato consulente presso il parlamento europeo e poi per l’Onu in Kosovo. La sua carriera politica inizia nel 2004 come consigliere comunale a Madrid (siamo all’inizio della leadership di Zapatero nel governo e nel Psoe). È diventato deputato per la prima volta nel 2009 in sostituzione del dimissionario Pedro Solbes, ex ministro dell’Economia. Nel suo ufficio di segretario del Psoe, in Calle Ferraz a Madrid, ha attualmente le fotografie di Felipe González e Bob Kennedy, il che farebbe pensare a una specie di veltroniano di casa nostra per il mix delle culture di provenienza, ma la tradizione socialdemocratica resta la sua stella polare.
Come definire Sánchez? È un socialdemocratico del 2021. Conosce bene il bagaglio della storia del socialismo europeo (ha una passione particolare per Eduard Bernstein, il primo “revisionista” del marxismo ortodosso, ha studiato le biografie di Willy Brandt e Olof Palme). González gli ha trasmesso il culto per le conquiste del welfare e per l’Unione europea, che in Spagna hanno modernizzato il paese negli anni ottanta dopo quattro decenni di dittatura franchista. Zapatero ha aggiunto in seguito a questa cultura quella dei diritti civili, indicando l’esigenza di ridisegnare una più ampia democrazia politica nelle società europee avanzate.
La carriera di Sánchez non è stata tutta in discesa. Farà scuola la sua elezione in due casi distinti al vertice del Psoe. Pur non avendo mai fatto parte in passato del comitato esecutivo del partito, Sánchez è stato uno dei candidati nelle primarie del novembre 2014 indette per la prima volta dai socialisti con l’obiettivo di eleggere il segretario generale al posto del dimissionario Alfredo Pérez Rubalcaba (che aveva perso le elezioni contro Rajoy). Sánchez le vinse con il 49% dei voti. Il congresso straordinario del Psoe, il 26 e 27 luglio 2014, ne ufficializza l’elezione a segretario. La sua leadership non riesce però a rivitalizzare il Psoe nelle elezioni politiche del 2015, quando i socialisti ottengono solamente novanta seggi. Sánchez riceve l’incarico di formare il governo, ma l’accordo con Ciudadanos non è sufficiente a ottenere i voti necessari per la fiducia. Vista l’impossibilità di ottenere una maggioranza parlamentare di alcun tipo, la Spagna torna a votare il 26 luglio 2016, e il Psoe riesce a eleggere solo ottantacinque parlamentari: è il peggiore risultato storico del partito che perde voti soprattutto a favore di Podemos, la nuova formazione politica. Questa volta è Rajoy a ricevere l’incarico di formare un governo con l’accordo di Ciudadanos. Il Psoe, afflitto dal pessimo risultato elettorale e da un dibattito interno infuocato che risente del confronto pubblico che chiede governabilità, decide di dare via libera al governo con la propria astensione, opzione che vede favorevoli pure gli ex leader González e Zapatero, oltre alla vecchia guardia.
Il primo ottobre 2016 Sánchez si dimette dal suo ruolo di segretario del Psoe, anche perché all’interno del partito cresce l’area – capeggiata dal Susana Díaz, segretaria socialista in Andalusia – che vuole l’astensione nei confronti di un eventuale governo capeggiato da Rajoy. Il 29 ottobre Sánchez abbandona pure il suo scranno da deputato per segnalare il dissenso rispetto alla scelta del Psoe. Sembra l’atto finale di una parabola politica giunta al termine. Invece nuove primarie socialiste si svolgono il 21 maggio 2017 con un esito a sorpresa. Sánchez, pur avendo contro tutti i notabili del partito favorevoli a un maggiore dialogo con il possibile governo di centro, vince con oltre il 49% nei confronti della favorita Díaz che si ferma al 40. A vincere è la rivolta dei militanti del Psoe contro l’establishment, che individuano in Sánchez un esempio di coerenza e di continuità con la storia e la collocazione del partito.
Da quel momento in poi, il di nuovo segretario fa autocritica per avere sottovalutato la novità politica rappresentata da Podemos (“non è solo una forza populista”), e si dice estraneo ai giochi di potere tra lobby interne. Il leader ritrovato si convince di avere vinto grazie a una campagna orientata a sinistra, volta a ritrovare le buone ragioni di una rinnovata ispirazione socialista, criticando le leggi approvate anche dal suo partito su lavoro, sicurezza e pensioni per far fonte alla crisi economica. Riconquistato il partito, Sánchez precisa il suo programma con il documento “Per una nuova socialdemocrazia”. Il resto è storia nei nostri giorni, che attende la verifica delle elezioni politiche del 2023.
Nella foto l’abbraccio tra Pedro Sánchez, Felipe González e Luis Rodríguez Zapatero