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Scene di ordinario capitalismo, oggi come ieri

Dalla mancanza dei microchip per la costruzione di automobili alla distrazione di massa indotta dai consumi, fino agli spettri di un ritorno totalitario: storture oggettive ed emozioni soggettive in una società priva di una sinistra

6 Ottobre 2021 Mario Pezzella  1557

“Mi dispiace, mancano i chip”, aggiunge mesto il concessionario di auto, annunciandomi che di macchine non ce ne sono e non ce ne saranno prima di cinque o sei mesi. “Forse una buona notizia? Forse si va verso una riconversione di massa al trasporto pubblico?”, mi dico, mentre salgo sull’autobus e poi sul treno che mi riporta a casa, sovraffollati all’inverosimile, traboccanti di gente senza mascherina, senza distanziamento, per non parlare del green pass su cui molto si discute, tanto non ti controlla nessuno. 

Mi documento un po’. Un grande numero di fabbriche di automobili è chiuso o semichiuso, la produzione è quasi del tutto sospesa, si annunciano licenziamenti, ridimensionamenti e aumento dei prezzi. Mi chiedo come mai le grandi onnipotenti multinazionali non sappiano prevedere la carenza dei chip; mi chiedo se non sia un pretesto per una ristrutturazione e un taglio drastico dell’occupazione: magari sto diventando un complottista, visto che contemporaneamente, per cause sfuggenti, manca il metano, potrebbe mancare la luce. Il mio complottismo mi spinge a pensare che la “transizione ecologica” stia diventando l’ombrello rassicurante di una distruzione creatrice o di una innovazione distruttiva del capitale, un ecologismo confindustriale i cui costi vengono scaricati sugli operai e sui consumatori, lasciando intatte e anzi incrementando le disuguaglianze sociali.

Nel frattempo, tutto si compra a rate, dalle case alle auto, addirittura si incentiva l’acquisto a debito rispetto a quello a saldo, gonfiando una potenziale bolla finanziaria e facendo schizzare in alto l’inflazione, colpendo il potere d’acquisto dei salari. Ma io non sono un economista, magari non ci capisco nulla, e i “draghi” della finanza forse sanno quello che fanno. Forse lo sanno fin troppo bene, nel capitalismo selettivo che sta prevalendo, che prevede chiusure di aziende insalvabili, favori a Confindustria, indifferenza per i licenziamenti. Secondo Alberto De Nicola è in corso una “stabilizzazione conservatrice” del sistema, e ci si avvia verso un “welfare selettivo”, che ripartisca risorse comunque scarse tra i gruppi più influenti e sacrifichi gli insalvabili, depoliticizzi definitivamente il governo della cosa pubblica e contenga il sorgere di domande sociali che non sarebbero gestibili nell’attuale configurazione del capitale. Contenimento assai rude, visto il trattamento riservato a Lucano e al suo tentativo di realizzare una comunità solidale e multiculturale. Così, mentre noi discutiamo se il green pass è più o meno simile alla “stella gialla”, sta avanzando una dittatura finanziaria, che pare preoccupi poco, che non suscita passioni, ostilità, timori.

Se esistesse ancora una sinistra non dico rivoluzionaria, ma radicalmente riformista, dovrebbe scendere in piazza: per estendere il reddito di cittadinanza, per imporre un salario minimo agganciato all’andamento dell’inflazione, per ricostruire un sistema di sanità pubblica reale, per abolire il copyright sui medicinali che contrastano il Covid, per prorogare il blocco dei licenziamenti, legiferare sullo ius soli, decidere una tassa sui grandi patrimoni, far pagare i costi della transizione ecologica alle multinazionali della produzione e non ai cittadini impoveriti e indebitati. E tutto questo con procedure d’urgenza.

Invece sembra che, di fronte ai fenomeni strutturali del capitalismo attuale, prevalga una indifferente distrazione di massa. La “distrazione” sociale andrebbe studiata meglio, perché in realtà orienta la tonalità affettiva dominante nell’inconscio del collettivo su deformazioni fantasmatiche dei conflitti reali, e getta le premesse per quella che Rino Genovese su “terzogiornale” ha definito come logica dell’inversione reattiva, simile alla “rivoluzione passiva” di gramsciana memoria.

La distrazione è uno dei temi studiati attentamente da Kracauer, a proposito dello stato d’animo dominante nel ceto medio degli anni Venti in Germania. In particolare egli parla di distrazione per il periodo cosiddetto della “stabilizzazione” (dal 1924 al 1929), quando una relativa crescita economica – se non migliora in modo sostanziale le condizioni di vita – permette però di organizzare evasioni pianificate e superficiali da esse. La fissazione emotiva su “significanti vuoti” che distraggano dai conflitti reali non utilizza però soltanto l’euforia del consumo a debito, come pure sta avvenendo ed è avvenuto, ma anche la paura e l’angoscia.

Così, in tempi di crisi – scriveva Benjamin –, si verifica “un singolare paradosso: la gente, quando agisce, pensa solo al più gretto interesse personale, ma al tempo stesso è più che mai condizionata nel suo comportamento dagli istinti della massa”. L’osservazione riguardava l’ottusa distrazione della media borghesia tedesca, che soffrendo la perdita della sua antica condizione di relativa sicurezza, invece di rendersi conto della reale provenienza del pericolo aderisce agli irresistibili impulsi collettivi che la portano nel baratro. Il rimpianto per l’esistenza e la stabilità sociale dissolta è talmente acuto, da rendere “stupidi”, ottusi, di fronte alla minaccia effettiva, incapaci di approntare contromisure concrete; ci si getta nel risentimento inconsapevole, che fonda identità fittizie e intolleranti, intorno a vessilli immaginari continuamente mutevoli. L’ottusità (Dummheit) di cui scrive Benjamin non è una banale debolezza di mente: è l’effetto della rimozione immaginaria della causa del proprio dolore, che rende ogni risposta al pericolo inadeguata e ridicola e appartiene alla struttura profonda dell’epoca.

Distratto è chi, volendo evitare una perdita, si comporta in modo da renderla ineluttabile, aderisce a un fantasma collettivo e immaginario e prova, in questo, una intensificazione apparente della propria identità. È uno stato d’animo, la distrazione, una tonalità affettiva: o come Benjamin dice precisamente una Verfassung (disposizione di spirito).

Va presa sul serio, è forse lo stato d’animo che più ancora della violenza, del risentimento e dell’umiliazione predispone al fascismo: o meglio è il loro necessario complemento, perché li copre di un velo spesso di ignoranza e inconsapevolezza, così che possano agire in modo primordiale e massificato. La distrazione sostituisce il male concreto con un pericolo immaginario, il nemico effettivo con un fantasma terrificante di alterità (che reincarna in forma paranoica gli esseri umani), come avviene col razzismo. Si possono spiegare altrimenti che con un terrore immaginario l’oscena condanna inflitta a Lucano e la reazione tutto sommato debole che ha suscitato? La distrazione ottusa è l’inverso della follia di Don Chisciotte: prende i mostri reali del capitale per innocui mulini a vento. I grandi comici – tra cui vanno annoverati il Flaubert di Bouvard et Pecuchet e Joyce con l’Ulisse ­– hanno sempre intuito il suo lato minaccioso e oscuro, la sua predisposizione alla rovina e alla violenza.

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