Segnale di forte disgelo tra il governo di Madrid e quello di Barcellona, forse non sufficiente tuttavia a riaprire nell’immediato il negoziato politico. Anche se il 29 giugno ci sarà l’incontro tra il premier Pedro Sánchez e Pere Aragonès, presidente della Catalogna e dirigente di Izquierda republicana (Erc). È il primo effetto dell’indulto approvato dal Consiglio dei ministri del governo di coalizione tra il Partito socialista (Psoe) e Unidos Podemos, che guida la Spagna dall’inizio del 2020. Da mercoledì sono tornati infatti in libertà, con provvedimenti ad personam, nove leader separatisti che scontavano dal 2017 condanne fino a tredici anni. Fuori dal carcere di Lledoners, nei pressi di Barcellona, gli ex detenuti sono stati accolti da una manifestazione popolare indetta dalle formazioni politiche catalane. Sánchez si è detto molto soddisfatto della decisione del suo governo: “Sono convinto che liberare dalla prigione queste nove persone che rappresentano milioni di catalani sia un grande messaggio di concordia da parte della democrazia spagnola”.
Ma siamo solo all’inizio di nuove puntate del braccio di ferro tra separatisti e chi pensa a una riforma confederale dello Stato spagnolo come risoluzione dei contrasti tra Catalogna e Madrid. “Oggi non finisce nulla, oggi tutto continua. Perché siamo nove persone in più a unirci nell’impegno per la libertà di tutte le persone di questo paese”, ha dichiarato all’uscita dal carcere Oriol Junqueras, ex vicepresidente della Catalogna, condannato a tredici anni di reclusione dopo il tentativo di secessione del 2017, quando si tenne il referendum con il quesito separatista indetto unilateralmente. Poi ha aggiunto: “Il carcere non ci ha piegato. Torniamo in libertà con l’impegno di continuare a lavorare con gli strumenti della politica su ciò che non avrebbe mai dovuto uscire dal confronto politico. Tutti dobbiamo poter tornare nelle nostre case”. Parole polemiche pure verso il provvedimento di indulto che ha messo in libertà nove detenuti, senza però cancellare i reati per chi è nel frattempo espatriato e vive all’estero.
Gli indipendentisti non rinunciano alle velleità separatiste e chiedono un’amnistia generalizzata per i fatti del 2017, pur riconoscendo l’atto di coraggio politico del governo che si è scontrato con la frontale opposizione della destra del Partido popular (Pp) e di Vox, che non vogliono nessuna trattativa con gli indipendentisti. La destra si è inoltre trincerata dietro il parere giuridico negativo sull’indulto della Corte suprema, massimo organo giudiziario, in quanto non vi sarebbe “segno di pentimento da parte dei condannati”.
L’annuncio dell’indulto era stato dato da Sánchez a Barcellona, in una iniziativa presso il Teatro Liceu: “La motivazione principale è la sua utilità per la convivenza. Potremmo tornare ai rimproveri, rimanere bloccati. Dobbiamo invece dedicare il nostro tempo e le nostre energie a risolvere il problema e scommettere sulla concordia”. La risposta di Pere Aragonès, presidente della regione catalana, non si è fatta attendere: “L’indulto è un primo passo che riconosciamo, però insufficiente e incompleto: ci vuole l’amnistia per tutti gli imputati di reati di opinione. E serve un referendum sull’indipendenza da Madrid”.
Per ora, è apparentemente un dialogo tra sordi mentre il governo di sinistra mette a rischio il suo consenso sul tema dell’unità nazionale della Spagna cercando una soluzione politica alle richieste di Barcellona, che non possono però essere un semaforo verde alla secessione. E lo fa mentre l’esecutivo ha dovuto fronteggiare le dimissioni da vicepremier di Pablo Iglesias, ex leader di Podemos, a causa della sconfitta della sua candidatura nelle elezioni regionali di Madrid (alla guida del movimento-partito è stata eletta la trentenne Ione Belarra, come vicepremier Yolanda Díaz). Per Sánchez – lo ha ripetuto più volte nelle ultime settimane – bisogna procedere nel negoziato con la Catalogna perché “la vendetta non è un valore costituzionale e bisogna saper pensare su tempi lunghi”. Detenuti politici in carcere nel cuore dell’Europa mediterranea per reati certo gravi, come il tentativo di secessione, ma pur sempre di opinione, costituivano una spina per il governo di sinistra.
Quanto al futuro delle relazioni Madrid-Barcellona, fa ben sperare il fatto che la sinistra catalana appoggi in modo decisivo il governo di Sánchez in parlamento: senza quei voti, l’esecutivo andrebbe in minoranza con ripercussioni assai negative per gli stessi fautori di più indipendentismo. Con i socialisti e Podemos si può dialogare, con la destra no. I catalani lo sanno bene, e dopo la mano tesa del governo tocca a loro dare prova di saggezza politica.
(Nella foto Pedro Sánchez e Pere Aragonès)