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Abbiamo dinanzi elezioni che la sinistra non può vincere, ma può forse riuscire a perdere nel modo più indolore possibile, scomponendo le forze e mischiando bene le carte. Al voto del 25 settembre il centrosinistra si presenta pressoché nelle stesse condizioni del 2018, quando le forze di destra segnarono un indubbio risultato positivo, mitigato solo dall’eccezionale e irripetibile affermazione dei 5 Stelle, che comunque confluirono nel governo gialloverde con la Lega. Il Pd si trova dinanzi all’evidenza dell’inaccettabilità di un “campo largo”: sia per la divaricazione strategica, sia per la rottura fra le due forze che la caduta del governo Draghi ha comportato, e anche perché gli stessi grillini sembrano all’inizio di un processo centrifugo che sparpaglierà l’ex gruppo di maggioranza relativa lungo tutto l’arco politico.
Un’eventuale affermazione del partito di Letta, che contende alla Meloni la palma di prima formazione politica del Paese, non cambierebbe di molto il senso generale. Anzi, avrebbe il sapore beffardo di raccogliere voti che non potranno in alcun modo concorrere a una maggioranza di governo. Ammesso, infatti, che le forze del centrosinistra – Pd più cespugli vari che confluiranno nel “campo stretto” – possano arrivare al 25-28 %, persino con un exploit al 30, poco muterebbe circa il futuro inquilino di Palazzo Chigi.
Se la guerra diventa convivenza
Circa sessanta funzionari dei servizi di sicurezza ucraini sono rimasti nelle zone occupate dai russi. Solo la punta dell’iceberg di una realtà più complessa, in cui almeno seicento o settecento dipendenti di medio e alto livello dell’amministrazione di Kiev hanno deciso di non seguire le forze ucraine in ritirata. Più che di un tradimento, si tratta in molti casi di una semplice scelta di vita, da parte di famiglie che continuano ad abitare territori nei quali la convivenza con i russi non è certo un’eccezione. Ovviamente, dopo questi mesi di guerra, l’opzione di rimanere nelle aree occupate non può essere considerata, soprattutto da parte di dirigenti dei servizi di sicurezza, come una semplice decisione logistica. E infatti la conseguenza di queste scelte è che il presidente Zelensky ha fatto arrestare Ivan Bakanov, il capo dei servizi segreti ucraini, insieme con la procuratrice generale Iryna Venediktova, che paga anche per molti dei suoi collaboratori dell’amministrazione giudiziaria ancora residenti nelle regioni invase dalle truppe di Mosca.
Più che una guerra, quella in Ucraina sta diventando una convivenza combattuta. Da mesi, ormai, le due comunità – ucraina e russa – si trovano spalla a spalla nell’organizzare forme di condivisione del territorio. E questa promiscuità fra parenti – perché tali sono russi e ucraini – sta imbarazzando i vertici dei due Stati. Sono infatti davvero centinaia e centinaia i casi di cambio di fronte, o di semplice adattamento a una convivenza forzata.