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Elezioni in Francia e dintorni
Dunque i risultati del primo turno di ieri 12 maggio, per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, confermano ciò che si sapeva da tempo: la gauche ha dimostrato di essere competitiva, risultando in sostanziale parità nei confronti dello schieramento centrista presidenziale. Macron potrebbe finire in minoranza nel prossimo parlamento. Ma tutto sarà deciso dai ballottaggi nei collegi, e bisognerà vedere cosa faranno gli elettori di destra: se si asterranno, se voteranno per il “meno peggio” centrista, o andranno addirittura sui candidati della Nuova unione popolare ecologica e sociale (questa la denominazione della sinistra unita). Certo è che il deus ex machina Mélenchon, cantando già quasi vittoria, ha esortato gli elettori a recarsi alle urne al secondo turno, per realizzare un’“armonia tra esseri umani” all’interno della “patria comune”. Più che a questa “armonia”, avrebbe fatto meglio a puntare su un programma unitario della sinistra fin dalle presidenziali, a cui ha preferito invece la corsa “in solitaria”, indebolendo così di fatto uno schieramento che, con un progetto credibile, avrebbe potuto arrivare alla presidenza.
E nella vicina Italia cos’è accaduto? Qua, come sappiamo, uno schieramento di sinistra non c’è più almeno dai tempi delle alleanze “uliviste”, con una Rifondazione comunista – oggi in briciole – che un po’ si alleava e un po’ si staccava. Di un partito ecologista nemmeno a parlarne (se si esclude la marginale pattuglia dei verdi). Domina in Italia una bonaccia centrista tecnocratica dai molti volti: quello di Draghi, in primo luogo, e poi via via tutti gli altri: Letta, Conte, i vari Renzi e Calenda, che non si sa bene da quale parte vogliano stare. C’è poi una destra variegata e maggioritariamente piuttosto estrema, in qualche caso minacciosa. Ora, il cosiddetto centrosinistra ha retto bene l’impatto in questa tornata elettorale per alcuni Comuni. Per dirne una, a Verona, città di destra, ha portato il proprio candidato sindaco al ballottaggio. Ma è sufficiente questo? Va comunque considerato il basso tasso di elettori che si sono recati alle urne, in un’assolata domenica di giugno. L’offerta politica, del resto, è quella che è. Non ci sono ormai neppure più i 5 Stelle a motivare gli elettori con il loro qualunquismo anti-casta. È probabile che – soprattutto in elezioni locali, e soprattutto al Sud – si vada al seggio solo per eleggere l’amico, quando non il maggiorente che può “tornare utile”.
I socialisti francesi e l’alleanza a sinistra
Stando a Jacques Delors (ex ministro dei tempi di Mitterrand ed ex presidente della Commissione europea), la socialdemocrazia consiste in un doppio compromesso: tra capitale e lavoro, tra Stato e mercato. Questo è indubbiamente vero riguardo al passato. Ma già nel Novecento si sarebbe trattato di capire dove si sarebbe collocata la linea del compromesso: se in misura maggiore o minore a favore dell’uno o dell’altro polo. E proprio Mitterrand aveva parlato, pur senza poi realizzarla neppure in parte, di una “rottura con il capitalismo”. D’altronde, il concetto di socialismo – termine più ampio e generale di quello di socialdemocrazia –, ha conosciuto, nella seconda metà del secolo scorso, declinazioni differenti, senza che ciò sia mai sembrato uno scandalo. Basti pensare al socialdemocratico svedese Olof Palme, che sosteneva (addirittura) la necessità di coniugare l’utopia con il realismo.
Ora, il Partito socialista francese – che, negli ultimi anni, ha visto prima una fuga di elettori alla sua destra in direzione di Macron, e poi una fuga di elettori alla sua sinistra verso Mélenchon – ha sottoscritto un patto con quest’ultimo, nelle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento, insieme con i comunisti e gli ecologisti, per fare della gauche la principale forza di opposizione o, ancora meglio, per strappare la maggioranza al partito presidenziale. Tutto ciò, oltre a essere inscritto nella logica delle cose, è l’unica decisione che potrebbe rendere il Partito socialista francese, un domani, di nuovo competitivo nel confronto a sinistra, egemonizzato al momento dalla formazione di Mélenchon, ex socialista ed ex trotzkista, che, conducendo una campagna molto personale, è riuscito al primo turno delle presidenziali a catalizzare il 22% dei consensi surclassando gli altri candidati progressisti.