Se c’è una rivelazione che i tragici eventi degli ultimi anni (prima la pandemia con i governi e i bilanci pubblici gestori esclusivi dell’emergenza, e con le banche centrali tornate in assetto di combattimento, poi il conflitto in Ucraina, con le sue non meno esplosive diramazioni economico-finanziarie) ci hanno portato in dono, questa è la sopravvivenza dei poteri pubblici, potenzialmente illimitati con la giustificazione dello stato di eccezione. Abbiamo scoperto di recente, per esempio, con quanta irrisoria facilità – indipendentemente dalla solidità delle basi giuridiche di tali azioni – si possono bloccare o limitare le transazioni finanziarie globali, aggredire ricchezze di Stati sovrani impegnati in avventure militari, individuare e confiscare patrimoni di dubbia origine ovunque rifugiati. E, di conseguenza, quanto fosse manipolata, sostanzialmente falsa, la narrazione che ci accompagna da qualche decennio sulla debolezza fiscale e giuridica degli Stati causata dal carattere inafferrabile dei capitali nell’era della globalizzazione. Ci eravamo spinti così ad auspicare che le autorità italiane ed europee ne traessero qualche conseguenza anche al di fuori della finanza di guerra diretta a colpire gli interessi russi. Ebbene, forzando con un po’ di ottimismo l’interpretazione degli eventi, si può ipotizzare che il nuovo decreto energia-Ucraina (“Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”) rappresenti un primo passo nella direzione giusta, grazie alla decisione, lungamente caldeggiata in parlamento soprattutto da Lega e 5 Stelle, di intervenire sui cosiddetti extraprofitti delle aziende del comparto.
Prezzi energetici, speculazioni o truffe?
Il segnale che stesse maturando una volontà di intervento del governo sulla questione dei prezzi energetici era arrivato con le dichiarazioni – insolitamente severe nei confronti degli operatori di mercato – del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che si era spinto a definire la “spirale speculativa” in atto “una colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini”. Una sorta di avviso ai naviganti, un modo per preparare il terreno al prelievo fiscale straordinario. Non a caso, dagli operatori del settore era venuto un assenso con riserva alle misure governative: per Federpetroli – una a caso – è accettabile l’una tantum purché non diventi una “Robin-Tax”, come quella voluta da Giulio Tremonti nel 2008, “insostenibile oggi, oltre che incostituzionale”.
Mettendo per un attimo da parte la convinzione espressa dal governo che qualcuno ci abbia marciato, quantomeno per la fulminea rapidità nel trasferire i rincari dal mercato ai consumatori (la benzina che compriamo oggi è stata prodotta con la trasformazione della materia prima acquistata mesi fa, ai prezzi di allora), la domanda da farsi è: come si formano i prezzi energetici, messi da parte oneri di sistema e tasse? In sintesi – come spiega Alessandro Volpi a proposito del mercato del gas sul sito di Altreconomia – “solo in parte dipende dal prezzo della domanda e dell’offerta reale di gas, in larga misura negoziato in alcuni hub fisici, tra cui il più importante è quello di Amsterdam, il cosiddetto Ttf”. Le speculazioni non sono facili da rilevare perché “i contratti sono ‘segreti’: è certo però che negli ultimi mesi si è trattato di differenze molto alte fra prezzi d’acquisto e prezzi di vendita”. In ogni caso, a pesare su quello che cittadini e imprese pagano in bolletta “incide, pesantemente, la speculazione finanziaria fatta da fondi hedge, banche e altri operatori che di fatto scommettono sul prezzo definito all’hub di Amsterdam o su altri listini. Per dare un numero chiaro di un simile fenomeno, a marzo 2022, sono esposti sul gas del Ttf ben 218 soggetti finanziari, di cui 164 sono fondi apertamente speculativi, mentre i soggetti commerciali, quelli realmente interessati al gas, sono 134” (qui il link per approfondire).
Cosa prevede il nuovo decreto
Seguendo una consuetudine, spesso deprecata a tempo perso dalle nostre più alte istituzioni, anche il decreto legge 21 marzo 2022, n. 21 sulle “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina” mescola tematiche alquanto eterogenee, dalla cybersicurezza ai prezzi energetici, dalla difesa degli assetti proprietari delle aziende nazionali all’accoglienza dei profughi. Sono previsti interventi a favore delle famiglie a basso reddito e di diversi comparti d’impresa. Ma il cuore dell’intervento legislativo, già in vigore ma ancora oggetto di possibili modifiche in parlamento, è l’articolo 37, quello che definisce chi paga. Nel quale, cioè, vengono identificati i soggetti (produttori, importatori e rivenditori di petrolio, gas naturale, metano, eccetera) ai quali è richiesto “un contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario”.
In sostanza, i soggetti che nel periodo ottobre 2021-marzo 2022 avranno messo a bilancio un saldo attivo di almeno cinque milioni superiore allo stesso periodo dell’anno precedente, pagheranno un contributo straordinario pari al 10% di tale differenza. L’incasso previsto dal governo per questo prelievo è superiore ai quattro miliardi. Sono previsti meccanismi piuttosto stringenti per evitare che la tassa si scarichi sui consumatori finali, e il decreto contiene espliciti riferimenti ai poteri di controllo sull’operato delle aziende interessate. Il fatto che venga citata anche la Guardia di Finanza (al comma 9 dell’articolo 37) dimostra che forse stavolta c’è stata poca comunicazione fra gli uffici governativi e le rappresentanze organizzate delle imprese, che in genere non apprezzano queste minacce “burocratiche”. Siamo lontani dai “prezzi amministrati” evocati di recente anche dal presidente di Nomisma energia, Davide Tabarelli, ma si intravede, nel testo del decreto, una schietta sfiducia nelle leggendarie virtù della “mano invisibile” del mercato.
Resta da dimostrare che un intervento tutto sommato limitato, anche se simbolicamente significativo per il suo carattere redistributivo, possa far fronte alla catastrofe economica che la guerra e le prevedibili conseguenze delle sanzioni contro la Russia sembrano prefigurare. Mario Draghi e il suo fedele ministro dell’Economia, Daniele Franco, finora hanno resistito ai ripetuti appelli di alcune forze politiche a un nuovo scostamento di bilancio per dare sollievo a una ripresa economica post-pandemia già col fiato corto. Il problema – ha spiegato in sostanza il presidente del Consiglio – è l’adeguatezza degli interventi, non lo strumento scelto per finanziarli. Ma è chiaro che tutto il castello teorico messo in piedi dal governo “dei migliori”, basato sulla ripresa economica che allevia l’onere del debito pubblico, con la guerra scricchiola; e si avverte nuovamente, nel dibattito pubblico continentale, la pressione dei partner/rivali del Nord Europa, custodi del rigorismo più stolido, e non di rado di una malcelata ostilità nei confronti delle nazioni mediterranee. Si naviga a vista, tra le nebbie.