
Una domenica europea all’insegna degli appuntamenti elettorali, due in Paesi a rischio “putinismo” o “trumpismo” – Romania (vedi qui e qui) e Polonia – e un altro, in Portogallo (vedi qui ), dove è andato in scena un voto più tradizionale, esente dai rischi che abbiamo citato, e tuttavia anch’esso caratterizzato dalla presenza preoccupante di una estrema destra di marca neofascista, contraria ai diritti civili, quali l’aborto e le conquiste del mondo Lgbtq.
Andiamo anzitutto a Bucarest, dove Bruxelles temeva la vittoria del nazionalista, George Simion, leader dell’Alleanza per l’unità dei romeni (Aur), che si è battuto contro l’europeista, sindaco della capitale, Nicusor Dan. Questi era stato sconfitto nettamente al primo turno dal leader dell’estrema destra che aveva ottenuto il 40,5% delle preferenze contro il 20,9% del candidato dell’Unione “Salvate la Romania”, arrivato secondo con il 20,89% dei consensi. Al terzo posto – ricordiamolo – si era collocato l’esponente della coalizione di governo (che comprende i socialdemocratici), il liberale Crin Antonescu, che aveva raggiunto il 20,34%. Per Simion il successo era stato clamoroso, avendo raddoppiato il risultato del suo sodale, Calin Georgescu, la cui affermazione del 24 novembre scorso era stata annullata dalla Corte costituzionale. Nel ballottaggio, il risultato si è letteralmente ribaltato. Dan, che evidentemente ha fatto suoi i consensi di Antonescu, malgrado i conflitti tra i due europeisti – evidentemente ignorati dalla popolazione – si è affermato con il 54,2% dei voti, contro il 45,6% di Simion, a fronte di un’affluenza del 64,7%. In un primo momento, com’è ormai prassi in vari Paesi, da parte dell’estrema destra ma non solo, il successo di Dan non era stato riconosciuto dal leader dell’Aur (nell’Unione europea alleato di Fratelli d’Italia), salvo poi riconoscere la vittoria del suo avversario. Le settimane che hanno separato il primo turno dal ballottaggio sono state caratterizzate da una forte quanto inevitabile tensione, con nuove accuse da parte dei vincitori di ingerenze russe attraverso notizie false diffuse su Telegram e altre piattaforme.
Anche in Polonia si sono svolte domenica le presidenziali. Attualmente, il capo dello Stato è Andrzej Duda, conservatore di ferro, indipendente ma proveniente dal fascistoide partito Diritto e giustizia (PiS), cattolico e russofobo. Com’è noto, l’estrema destra polacca si differenzia dalle omologhe formazioni di altri Paesi europei per le note ragioni storiche legate alla ripulsa del lungo periodo della dominazione sovietica. Al suo posto, potrebbe andare adesso Rafal Trzaskowski, sindaco di Varsavia e candidato europeista del partito Coalizione civica,oppure Karol Nawrocki, storico di formazione, candidato dei nazional-conservatori del PiS. Con una affluenza alle urne del 66,8%, hanno ottenuto rispettivamente il 30,8 e il 29,1% dei consensi. Al terzo posto, Slawomir Mentzen, con il 15,4% del partito di destra ancora più estrema Nuova speranza, che verosimilmente al ballottaggio farà convergere i voti su Nawrocki. A ribadire, se ce ne fosse stato bisogno, che almeno la metà dei polacchi si rifà tranquillamente a valori che andavano di moda, in Europa, negli anni Trenta.
Lo dimostra anche il quarto arrivato nella poco entusiasmante classifica generale: il candidato della Confederazione della corona polacca, Grzegorz Braun, che ha conseguito a sorpresa il 6,2%. L’uomo – razzista, antisemita, omofobo, e chi più ne ha più ne metta – è sotto inchiesta a causa dell’uso improprio di un estintore per spegnere un candelabro di Hanukkah, nella “festa delle lampade” ebraica, che si tiene il 22 dicembre. Tutto questo all’interno del parlamento polacco. Che un tipo del genere abbia avuto la possibilità di candidarsi, la dice lunga sul clima che permane in Polonia, senza dimenticare, però, che gli altri partiti della destra non sono poi così diversi.
La Polonia gioca un ruolo geopolitico più importante della Romania, nell’ambito del conflitto russo-ucraino, vista anche l’ostilità nei confronti di Mosca che unisce tutte le forze politiche senza eccezione alcuna. Il governo è presieduto dall’europeista liberale Donald Tusk, che teme una vittoria della destra al ballottaggio che si terrà il prossimo primo giugno. Il premier, leader di Piattaforma civica e presidente del Partito dei popolari europei, rappresenta la metà più avanzata e democratica della Polonia, che si oppone alla destra in uno scontro che da decenni sta caratterizzando la storia della patria di Lech Walesa e Karol Wojtyla. Al centro della disputa, i diritti civili come l’aborto – e a riguardo il governo è accusato di procedere troppo lentamente alla sua decriminalizzazione –, i diritti delle minoranze, l’immigrazione e i rapporti con l’Unione europea, con la destra nazionalista più vicina al trumpismo. In Polonia, il ruolo del presidente è tutt’altro che decorativo. “La sfida presidenziale del 2025 – dice Lorenzo Avesana, ricercatore presso l’università di Trento e di Forlì, in un articolo pubblicato su “Geopolitica.info” – riveste un’importanza cruciale per l’attuale governo di coalizione guidato dal primo ministro Tusk. In Polonia, infatti, il presidente della Repubblica dispone di poteri significativi, tra cui il diritto di veto sulle leggi, la gestione della politica estera e la nomina dei giudici costituzionali”. Si tratta – aggiunge Avesana – “di leve fondamentali per l’agenda riformista di Tusk, che mira a consolidare il percorso di normalizzazione dei rapporti con l’Unione, a rafforzare lo Stato di diritto e a mantenere una linea ferma in politica estera in un momento storico in cui Varsavia cerca di posizionarsi come attore chiave nel contesto europeo”. Un’eventuale sconfitta di Trzaskowski potrebbe dunque costringere Tusk alle dimissioni, con conseguenti e rischiose elezioni anticipate. Va ricordato che, nel giugno 2024, la Coalizione civica dell’attuale premier aveva ottenuto il 37,1% contro il 36,2% dei nazionalisti di Diritto e giustizia: una vittoria di misura, che potrebbe ripetersi nel ballottaggio delle presidenziali.
Dall’Est all’estremo Ovest europeo, arriviamo in Portogallo, dove si sono svolte le terze elezioni legislative in poco più di tre anni (vedi qui per quanto riguarda quelle del 2022), di cui quest’ultima in anticipo rispetto alla scadenza naturale prevista nel 2028, a causa della caduta del governo in carica dopo la mancata fiducia all’indomani di uno scandalo che aveva coinvolto, l’11 marzo scorso, il primo ministro, Luis Montenegro, in relazione a un conflitto di interessi riguardante una società di famiglia, la Spinumviva, che aveva tra i propri clienti alcune aziende che lavoravano col governo. Fino a quel momento, a garantire la sopravvivenza dell’esecutivo di minoranza, erano stati i socialisti. A questo scenario poco edificante, ha fatto seguito l’incapacità dei partiti di formare un nuovo esecutivo.
Per trovare una spiegazione al caos in cui è precipitata la politica portoghese, vanno tuttavia ricordate le dimissioni del premier socialista António Costa, il 7 novembre 2023, coinvolto, suo malgrado, in una vicenda di corruzione che lo spinse ad abbandonare l’incarico, sebbene l’imputato fosse poi un altro Costa, il suo ministro António Costa Silva. Fu insomma vittima di un caso di omonimia. Ormai però le dimissioni erano state rassegnate, e il Paese, da quel momento, è precipitato appunto nel caos politico tuttora in corso. Tornando all’oggi, Montenegro si è ricandidato, e la sua coalizione, Alleanza democratica, ha ottenuto il 32% dei consensi, cinque punti in più rispetto alle elezioni dello scorso anno, pur senza arrivare, anche in questo caso, a una maggioranza assoluta. Alleanza democratica è una coalizione elettorale di centrodestra, fondata il 21 dicembre 2023, di cui fanno parte il Partito socialdemocratico – storica formazione di destra moderata in Portogallo – con il Cds, parte a Strasburgo del gruppo dei popolari, e con i monarchici del Ppm. Clamorosa e preoccupante l’affermazione del partito di estrema destra Chega! (“Basta!”), che, fino all’ultimo, se l’è giocata con i socialisti per il secondo posto. Il partito – fondato nel 2019 dall’ex “socialdemocratico”, André Ventura – nelle europee di giugno aveva dimezzato i consensi, arrivati invece al 18% nelle legislative del 2024. Quindi la risalita di domenica scorsa, con il migliore risultato di sempre.
In termini di seggi, Alleanza democratica ne ha ottenuti 89 su 230, con il 32,7% (per la maggioranza assoluta ne servono 116), ai socialisti ne sono andati 63 (con il 23,4%, quasi il 5% in meno rispetto allo scorso anno) e 61 a Chega! (22,6%). Per quanto riguarda gli altri piccoli partiti, vanno segnalati Iniziativa liberale, con il 5,5% e 9 deputati, e il partito progressista Livre, fondato da un ex eurodeputato del Blocco di sinistra, Rui Tavares, che, con il 4,2%, elegge 6 deputati (ne aveva quattro). Va malissimo per gli altri piccoli partiti di sinistra, che pure in passato avevano sostenuto il governo di Costa: la Cdu (coalizione di comunisti e verdi) si ferma al 3%, eleggendo 3 deputati, mentre il Blocco di sinistra sfiora l’uscita dal parlamento, scendendo al 2% e ottenendo un solo rappresentante.
Per i socialisti un vero disastro. Il segretario, Pedro Nuno Santos, si è immediatamente dimesso in seguito al risultato peggiore conseguito dal 1987. Il partito, che fu di Mário Soares, ha probabilmente pagato il prezzo del sostegno a un leader compromesso da uno scandalo, ma questa è solo un’ipotesi, visto che Montenegro ha bissato la vittoria. Ora però non sarà facile per il premier formare un nuovo esecutivo. Da sempre Alleanza democratica ha escluso un’intesa con l’imbarazzante partito di Ventura, ma mai dire mai. Un nuovo sostegno socialista – a meno che da quelle parti non regni sovrano il masochismo – sembrerebbe da escludere.
Il tratto che unisce i tre ultimi appuntamenti elettorali è certamente la presenza minacciosa di una destra che, da Lisbona a Bucarest passando per Varsavia, ha non pochi aspetti in comune. Per quanto riguarda la sinistra, male appunto in Portogallo, in Polonia di fatto non esiste, mentre in Romania vince un europeista moderato, la cui affermazione è stata possibile anche grazie all’elettorato socialdemocratico, tradizionalmente legato a un partito che però di sinistra ha ben poco. Ci troviamo dunque all’interno di un quadro disarmante, in cui spesso c’è da augurarsi che siano le destre moderate a vincere, come in Germania, per evitare che al potere arrivino postfascisti o neonazisti che dir si voglia.