
Con un sorprendente elogio dell’immigrazione, il capo del governo spagnolo, Pedro Sánchez, ha concluso la scorsa settimana la sua visita ufficiale in Mauritania. Sánchez si è premurato di precisare, davanti al presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani, che parlava di una migrazione “sicura, regolare, ordinata”, riconoscendo il suo contributo “al progresso e alla buona situazione economica della Spagna”. Accompagnato da sette ministri, Sánchez ha stipulato quattro accordi bilaterali col Paese africano sui temi dei trasporti e delle infrastrutture, dei parchi nazionali, della cybersicurezza e della sicurezza sociale, compresa quella dei lavoratori immigrati.
Le migrazioni sono state in effetti al centro dei colloqui politici, a un anno dalla visita che Sánchez aveva fatto in Mauritania nello scorso agosto, quando si era trattato di mettere a punto un sistema di gestione comune delle migrazioni, che prevede, fra le altre cose, la formazione di migranti mauritani in Spagna. In quella occasione, aveva visitato anche altri due Paesi atlantici, il Senegal e il Gambia, che con la Mauritania contribuiscono ad alimentare la rotta delle Canarie, il principale punto d’ingresso in Spagna dei migranti provenienti dall’Africa, e anche il simbolo di una tragedia di cui si ignorano le proporzioni.
Le diverse rotte verso la Spagna hanno provocato, nel 2024, 10.457 vittime, di cui 1.538 bambini/e, con un aumento del 58% rispetto al 2023; e la media è passata, così, da ventitré a trenta vittime al giorno, secondo la Ong spagnola Ca-Minando Fronteras. La rotta delle Canarie è di gran lunga la più frequentata e pericolosa con 9.757 vittime. Di queste, 6.829 (il 70%) provenivano dalla costa atlantica della Mauritania, facendo di questo Paese il punto di passaggio più importante della rotta delle Canarie. Le vittime, come denunciato dalla Ong, non sono tanto il frutto di inevitabili tragedie, ma dell’insufficienza del sistema di allerta e salvataggio nell’Atlantico.
In questo quadro, dunque, la Spagna ha promosso, col sostegno dell’Europa, una muscolare politica di controllo e di respingimento delle migrazioni. Nel febbraio 2024, l’Unione ha investito 210 milioni di euro per rafforzare la capacità della Mauritania nel gestire i flussi migratori, in coerenza con una politica che erige l’Europa a fortezza (cfr. qui) contro i migranti e i richiedenti asilo. Dai risultati, appare che questi soldi non siano stati investiti per migliorare il soccorso in mare, quanto piuttosto per gli arresti e i respingimenti. A partire soprattutto da quest’anno, la Mauritania ha accentuato, su pressione dell’Unione europea, la politica di controllo soprattutto ai confini con il Mali, dovuta alla situazione di instabilità e insicurezza che regna nel Paese. In marzo, le condizioni disumane di questi respingimenti avevano provocato l’attacco e l’incendio del posto di polizia mauritano di Gogui Zemal, alla frontiera con il Mali. Il governo di Nouakchott (capitale della Mauritania) si era difeso parlando di un lavoro di routine ai fini della sicurezza del Paese.
La Mauritania – che ha un vastissimo territorio desertico, poco popolato, con frontiere permeabili – si è trovata al centro dei flussi che attraversano l’Africa in direzione dell’Europa, e ha capito di poter giocare con l’Europa, con intelligenza e furbizia. Il suo ministro degli Esteri, Mohamed Salem Ould Merzoug, ha dichiarato, prima della visita di Sánchez, che la Mauritania non vuole essere il guardiano dei suoi confini per conto dell’Europa, ma solo per la propria sicurezza, questione diventata cruciale con la crisi che vive il Sahel delle dittature militari, e particolarmente il Mali, con cui la Mauritania condivide una frontiera sahariana di oltre 2.200 km. Nouakchott chiede “solo” una cooperazione “condivisa”, fatta di investimenti per il lavoro dei giovani e lo sviluppo locale, specialmente nelle zone di partenza per l’emigrazione.
Questi buoni propositi, arricchiti dalla ferma fede nella solidarietà panafricana, nascondono però la realtà sul terreno. Un’inchiesta del giornalismo investigativo internazionale (“Lighthouse Reports” e otto media internazionali), pubblicata nel maggio dello scorso anno, ha potuto raccogliere testimonianze di come i finanziamenti europei – e non solo nel caso della Mauritania, ma anche in quello del Marocco e della Tunisia – servano a sostenere le politiche dei rispettivi governi beneficiari per arrestare e respingere migranti verso il deserto. Episodi che restano senza testimoni, a parte qualche fortunato sopravissuto. Il Sahara, non meno del Mediterraneo e dell’Atlantico, è anch’esso un cimitero di cui è molto più difficile tenere il registro. Siccome questi episodi si svolgono al di fuori degli accordi con l’Unione e della sorveglianza europea, in un teatro desertico, l’Europa se ne lava le mani.
L’Unione finanzia però due centri di trattenimento in Mauritania, cui fornisce anche mezzi di trasporto e altro. Secondo la citata inchiesta internazionale, sono i fuoristrada regalati dai Paesi europei a trasportare piccoli gruppi di migranti nel deserto, per poi abbandonarli alla frontiera col Mali, verso cui sono spinti con la minaccia delle armi. In virtù di un accordo bilaterale di riammissione dei migranti del 2006, alcune decine di poliziotti spagnoli stazionano in Mauritania. Testimonianze raccolte confermano la loro presenza nei centri di trattenimento, e la partecipazione a operazioni di respingimento. I governi, sia quello di Nouakchott sia quelli europei, e con loro la Commissione dell’Unione, naturalmente smentiscono.
Si capisce dunque l’entusiasmo di Sánchez per la migrazione “sicura, regolare, ordinata”; di quella con gli euro sporchi di sangue è meglio non parlare. Come in tutti i Paesi europei, le migrazioni sono al centro del dibattito politico. In Spagna la disinformazione catalizza i discorsi xenofobi, come dimostrano le recenti violenze razziste di Torre Pacheco, nella comunità autonoma della Murcia. All’inizio di luglio, il partito di estrema destra Vox ha presentato un progetto di “remigrazione”, che toccherebbe dai sette agli otto milioni di persone: una risposta anche alla scelta di Sánchez di regolarizzare fino a cinquecentomila migranti, a partire dalla fine di maggio. All’orizzonte – Trump e altri insegnano – la battaglia elettorale, anticipata o meno che sia.