Il Patto dell’Unione europea su migrazioni e asilo, col suo lungo percorso e la massa dei suoi dieci testi legislativi (vedi qui), segna una tragica sconfitta dell’Europa stessa, quanto meno di quella dei diritti, della solidarietà, dell’inclusione. Va ricordato, infatti, che la politica europea nei confronti dell’asilo e delle migrazioni, non meno di quella italiana, viene da una visione distorta del fenomeno stesso (vedi qui) e da una narrazione che serve ad alimentare paure, contrapposizioni e offerte di “sicurezza” in funzione di una ricerca del consenso. Le migrazioni non sono l’unico ambito, ma nella deriva populista della politica si sono ritagliate un posto privilegiato, perché il loro uso favorisce la criminalizzazione “dell’altro”, del “nemico”, da sempre fattore aggregante attorno alla donna o all’uomo forte del momento. L’uso strumentale delle migrazioni è guidato anche da interessi più prosaici, come quelli economici: il lavoro a buon mercato, quando non del tutto in nero, la possibilità di ricattare, e quindi dividere, i lavoratori per spingere al ribasso retribuzioni, diritti e tutele.
Entrando nel merito delle singole norme, che avranno effetto solo a partire dai prossimi due anni, cominciamo dal diritto d’asilo, il più indiscusso tra i diritti sulla libertà di movimento: si vedano la Convenzione europea per i diritti umani (Cedu) del 1950 e la Convenzione internazionale di Ginevra del 1951, senza dimenticare l’art. 10 della Costituzione. La pratica italiana ed europea ci ha mostrato gli ostacoli al riconoscimento dello status di rifugiato: impossibilità di accedere a un Paese per vie legali per farvi domanda d’asilo, i respingimenti indiscriminati che non consentono neppure di fare domanda, i criteri selettivi attraverso norme diverse a cominciare dalla nozione di “Paese sicuro” in cui è comparso il fior fiore del campionario della violazione dei diritti fondamentali. Per non parlare, poi, dei centri di detenzione, anche per minori.
Le nuove misure “accelerate” – il mantenimento del “Paese sicuro” (al limite può esserlo per un uomo, ma non per una donna o una persona Lgbtq+), per cui non è più la situazione individuale a determinare lo status di rifugiato – lasciano spalancate le porte a vecchi e nuovi abusi. Si moltiplicheranno le procedure alle frontiere, in condizioni spesso di detenzione, anche per le famiglie. La finzione del “non ingresso”, zone di frontiera non considerate parte del territorio nazionale, presupposto per una serie di adempimenti di tutela, introduce un grave colpo alla tutela e alla dignità dei richiedenti asilo. Il tutto, naturalmente, all’insegna della razionalità e della rapidità, certo – ma dell’espulsione a prescindere dai diritti.
Il principio del “primo Paese di ingresso”, che tanto interessa l’Italia, non è stato rivisto. Per le persone salvate in mare non ci sarà alcun trasferimento obbligatorio, lasciando permanere una situazione senza soluzioni, come abbiamo visto in tutti questi anni. A parte la politica di alcuni Paesi “alleati” del governo attuale, queste misure sembrano trovare la loro logica nel volere perpetuare una situazione in cui la ricerca e il salvataggio diventano un problema e non un atto di umanità.
In tutte le misure adottate preoccupa la condizione cui saranno sottoposte le persone più fragili, a cominciare dai minori non accompagnati che potranno essere sottoposti alle stesse procedure degli adulti, e anche mantenuti in “trattenimento”, se le condizioni di sicurezza lo esigeranno. Si pensi, però, al di là delle norme, anche all’esperienza dei centri in cui le persone migranti sono trattenute, in una girandola di sigle di cui si è perso persino il conto. Sono centri di concentrazione della nostra disumanità, della nostra incapacità di salvaguardare la semplice dignità, prima ancora del dovere di accoglienza.
Non potevano mancare le nuove tecnologie di sorveglianza durante le fasi delle procedure. Un grande fratello in grado di discriminare le persone in base a criteri fuori da ogni controllo. Le operazioni di polizia si potranno così effettuare in funzione di discriminanti politiche, razziali, sociali, a seconda delle convenienze. Questo armamentario giuridico-amministrativo sarà messo a disposizione dei respingimenti, dei rimpatri, in barba a tutti i diritti.
L’Europa ha perso la grande occasione di una legislazione adeguata ai propri interessi e al contesto mondiale, il che non significa porte aperte a chiunque, ma libertà in primo luogo di circolazione – esattamente come noi europei ci aspettiamo dagli altri Paesi – con ingressi regolari, controllabili anche dal punto di vista della sicurezza, senza ricorrere all’arbitrarietà. Quanto alla permanenza per motivi di lavoro c’è un duplice interesse: dei Paesi di provenienza di formare persone, di quelli di accoglienza di rispondere ai bisogni di manodopera, di riequilibrare la composizione demografica di una popolazione sempre più invecchiata. Quanto al diritto d’asilo, non solo non va rimesso in discussione, ma va realizzata una politica europea di prevenzione dei conflitti, di relazioni che non incoraggino i regimi liberticidi.
Si parla anche in questa occasione di “fortezza Europa”. È un’illusione. Non solo perché le migrazioni continueranno comunque, come questi anni hanno dimostrato. Ma anche perché nessuno si può illudere di tenere fuori le persone dall’Europa senza che quel meccanismo escludente non agisca, in profondità, anche al suo interno. Nella nostra “fortezza” stiamo costruendo i meccanismi di politiche escludenti, discriminatorie nei confronti di cittadine e cittadini europei. Stiamo costruendo fortezze nella fortezza, dalle quali la maggioranza di noi sarà esclusa (basti vedere cosa sta accadendo nella sanità).