
Intorno alle due di notte di venerdì 13 giugno, gli aerei israeliani hanno colpito duramente l’Iran, dando inizio a una guerra fortemente desiderata, soprattutto negli ultimi mesi, dal governo di Tel Aviv. C’erano state avvisaglie, nei giorni immediatamente precedenti, ma molti, compresa Teheran, avevano immaginato che le minacce di un attacco imminente potessero rientrare in una strategia di pressione dettata dagli Stati Uniti. Avrebbero dovuto tenersi, domenica 15 giugno, i nuovi colloqui sul nucleare iraniano. I precedenti round negoziali non avevano registrato grandi passi avanti, soprattutto perché il presidente statunitense aveva deciso di chiudere di fatto le trattative, provando a imporre all’Iran niente meno che la resa totale sul punto in questione. Ma la Repubblica islamica era ben disposta a continuare a discutere con Washington, la cui posizione al momento sembra però essere schizofrenica.
Dopo l’attacco, il segretario di Stato, Marco Rubio, si è affrettato a dichiarare che gli Stati Uniti non erano coinvolti e che si trattava di un’iniziativa di Tel Aviv. Iniziativa a cui Donald Trump, però, ha dato via libera, e che lo stesso presidente degli Stati Uniti ha dichiarato “un successo”. Se il tycoon pensava che le bombe di Israele avrebbero reso l’Iran disponibile a firmare la resa sul nucleare, si sbagliava. Il ministro degli Esteri, Abbas Araqchi, ha dichiarato all’Alta rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Kaya Kallas, quello che a tutti (forse meno che a Kallas) pareva evidente: proseguire i negoziati, mentre continuano gli attacchi israeliani, non è assolutamente possibile.
Israele non avrebbe attaccato senza l’avallo degli Stati Uniti – e Trump non solo ha dato il via libera all’alleato, ma è pronto a intervenire in sua difesa in qualsiasi momento. Trascinando con sé anche l’Europa, con Macron che ha già dichiarato che parteciperà alle “operazioni di difesa”. Ma Teheran è stata chiara: questa volta chiunque si intrometterà, diverrà un obiettivo. E le azioni della Repubblica islamica non si limiteranno a iniziative propriamente belliche, ma potranno arrivare ad assestare un duro colpo alle economie occidentali, con la chiusura dello stretto di Hormuz, attraverso cui passano ogni mese tremila navi e il 20% dei rifornimenti energetici mondiali. Perché una cosa è ormai chiara, non sarà una guerra breve. Andrà avanti per molto tempo, e le conseguenze al momento non sono del tutto prevedibili.
Quello che è stato presentato da Israele come un “attacco preventivo”, è in realtà il pezzo fondamentale dell’intera strategia politica di Tel Aviv nell’area. Il tassello forse più importante delle guerre utili alla creazione del “nuovo Medio Oriente” di cui il premier Benjamin Netanyahu ha più volte parlato, composto solo da governi amici, con i nemici tenuti a bada dalla forza dei bombardamenti che non fanno sconti ai civili. È questo lo scopo reale, il cambio del regime. La storia del nucleare rimane solamente una scusa. È la stessa cosa che Tel Aviv intende fare a Gaza, rovesciando Hamas e imponendo un governo per procura. La stessa che Netanyahu ha dichiarato di essere riuscito a ottenere in Siria, prendendosi tutto il merito per la caduta di Bashar al-Assad. E che ritiene di avere compiuto anche in Libano, con i colpi assestati agli hezbollah, al momento gravemente feriti, anche se non sconfitti, e la nomina di Joseph Aoun, un presidente vicino all’Occidente, favorevole al disarmo del gruppo sciita libanese.
Per giungere al suo obiettivo, Netanyahu si è rivolto ai cittadini iraniani, chiedendo loro di abbattere il regime, dichiarando che stava addirittura lavorando per la loro libertà (più di duecento persone sono state uccise mentre scriviamo, la maggior parte civili, decine di bambini). Ma Tel Aviv dovrebbe sapere che non sarà tanto semplice. Nonostante alcune dichiarazioni festose di dissidenti che vivono in Occidente, gli analisti che conoscono l’area parlano di una società ricompattata dall’attacco. Dissidenti e riformisti inviano messaggi di unità. Alla leadership è stato chiesto di liberare gli oppositori politici arrestati per unire le forze contro il nemico comune. Al contrario, gli attacchi di Israele mirano a isolare l’Iran, anche economicamente. Oltre a uccidere figure di spicco della leadership politica, militare (e alcuni tra gli esperti nucleari impegnati nei negoziati con gli Stati Uniti), le bombe di Tel Aviv hanno distrutto il Corridoio di trasporto internazionale, costruito con Cina e Russia, per aggirare le sanzioni occidentali e aprire nuove strade di commercio verso l’Oriente.
La risposta militare di Teheran è giunta presto e forte. Tel Aviv è stata colpita. Le immagini della città israeliana in fumo hanno fatto il giro del mondo. Centinaia di missili balistici sono stati lanciati su Israele che è riuscito a intercettarne molti ma non tutti. Da venerdì, gli attacchi non si sono mai fermati, né da una parte né dall’altra, così come le minacce di una escalation ancora più violenta. La forza di Israele non sta solo nell’aeronautica e negli armamenti di precisione forniti dagli alleati (le azioni delle industrie belliche statunitensi si sono impennate), ma anche nella fitta rete di informatori che gli consentono di conoscere la posizione dei suoi obiettivi e anche di effettuare azioni di sabotaggio sul campo. Così come abbiamo già visto con gli attentati dei cercapersone e in altre circostanze in Libano.
Israele continua a colpire gli impianti nucleari, diffondendo nell’area forte preoccupazione in merito alla diffusione delle radiazioni. Nei siti di Fordow e Natanz, la situazione dovrebbe essere sotto controllo, anche se in quest’ultimo è stata rilevata una contaminazione radioattiva che non si sarebbe diffusa all’esterno. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha dichiarato che gli impianti nucleari non devono mai essere attaccati, e che il rischio di contaminare le persone e l’ambiente è troppo alto.
Prima dell’alba di lunedì 16 giugno, nuovi attacchi iraniani hanno preso di mira Tel Aviv e Haifa, dove sarebbe stata colpita una centrale elettrica nei pressi del porto. L’ambasciata e il consolato degli Stati Uniti in Israele hanno subito lievi danni. Almeno otto persone sono state uccise nelle ultime ore, alcuni corpi restano ancora sotto le macerie. Dall’inizio della guerra, venerdì scorso, circa venti persone sono state uccise in Israele e centinaia sono rimaste ferite. Per gli attacchi di lunedì, Teheran ha dichiarato di avere utilizzato un “nuovo metodo” che ha permesso di confondere il sistema di difesa israeliano e colpire con più precisione un maggior numero di bersagli. In Iran, le vittime sono più di 220, di cui il 90% civili, secondo il ministero della Salute. Sabato scorso, Tel Aviv ha colpito un edificio civile in cui si trovava, secondo l’esercito, un leader militare. Nell’attacco sono morte sessanta persone, tra cui venti bambini.
Il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha dichiarato, lunedì, che l’Iran non stava cercando la guerra con Israele né l’ha cominciata. Che non intende sviluppare armi nucleari, ma persevererà nel suo diritto all’energia nucleare e alla ricerca.