
L’attentato contro il senatore del Centro democratico, Miguel Uribe Turbay, ha riportato la Colombia a uno dei periodi più drammatici degli anni Ottanta e Novanta, quando il Paese fu scosso da un’ondata di omicidi in gran parte organizzati dal narcotraffico. Oltre a colpire un pre-candidato alla massima carica istituzionale colombiana, il tentato omicidio di sabato 7 giugno accentua la polarizzazione politica a un anno dalle elezioni presidenziali.
Il tentativo di omicidio si è verificato in una settimana in cui la tensione era aumentata, dopo che il presidente, Gustavo Petro, aveva cercato di dare vita a una consultazione popolare per decreto. Un passaggio che servirebbe a forzare le riforme che vuole fare approvare. L’accelerazione impressa da Petro è contestata da un vasto schieramento politico, ed espone il Paese al rischio di una crisi costituzionale. Secondo i suoi critici, Petro avrebbe assunto un tono più aggressivo dopo che il Senato aveva respinto dapprima la sua riforma del lavoro, quindi la sua prima iniziativa di consultazione popolare, finalizzata a dare respiro a quel disegno di legge. In una situazione di crescente tensione, Petro ha dato al presidente del Senato dello “Hp”, cioè del “figlio di puttana”, e ha rincarato la dose affermando che qualsiasi legislatore che non sostenga la sua consultazione è un “Hp schiavo”, definendo “nazisti” anche diversi oppositori. Il primo maggio, ha cercato di promuovere la sua consultazione sguainando, davanti ai suoi sostenitori, la sciabola di Simón Bolívar e issando la bandiera con cui il Libertador, nel 1813, dichiarò una “guerra all’ultimo sangue”.
Il trentanovenne Uribe Turbay, intorno alle cinque del pomeriggio, stava parlando in un evento di inizio della lunga campagna presidenziale nel quartiere di Modelia, a Bogotà, quando è stato raggiunto davanti agli astanti da diversi colpi di pistola, cadendo al suolo. Attualmente è ricoverato in una clinica della capitale con una prognosi riservata, dopo essere stato sottoposto a una “procedura neurochirurgica vascolare periferica”. Di lui si parla come del candidato preferito dal fondatore del Centro democratico, Álvaro Uribe Vélez, presidente della Colombia fino al 2010, accusato dalla statunitense Dia di essere stato un alleato del Cartello di Medellín e di Pablo Escobar, che aiutò non solo nella fase in cui il capomafia si batté contro l’estradizione negli Stati Uniti, ma anche quando Escobar mosse i suoi primi passi nella politica e nel parlamento colombiano. Secondo le accuse, Uribe avrebbe preso parte al traffico di stupefacenti, e permesso la pratica della tortura, da parte dei paramilitari, al tempo in cui fu governatore di Antioquia. Mentre il suo governo, tra il 2002 e il 2008, si è macchiato dello scandalo dei “falsi positivi”, quando le forze armate colombiane prelevarono civili innocenti ed estranei al conflitto con la guerriglia, portandoli in zone remote e successivamente assassinandoli camuffandoli da guerriglieri. Nonostante il 4 agosto 2020 la Corte suprema colombiana abbia ordinato il suo arresto, con effetto immediato, per il reato di corruzione e manipolazione di testimoni, Uribe rimane il dominus della sua formazione, e di certo una delle personalità più importanti della vita politica colombiana.
La vittima dell’attentato è nipote dell’ex presidente Julio Turbay, in carica per dieci anni dal 1978 per il Partito liberale, e figlio di Diana Turbay, giornalista che fu sequestrata, nel 1990, dal gruppo Los Extraditables, al cui vertice c’era proprio Pablo Escobar, nel quadro di uno scontro tra il Cartello e il governo colombiano. La giornalista morì nel 1991, per un colpo d’arma da fuoco, nel corso – a quanto pare – di un tentativo di liberarla andato male.
L’attentato contro il pre-candidato alla presidenza ha scosso profondamente il Paese, perché il suo autore è un adolescente di quattordici anni. Dopo avere sparato, ha tentato la fuga ma è stato preso dalla sicurezza, che lo ha ferito a una gamba. Le autorità hanno rivelato che il ragazzo, in affidamento a una zia dalla morte della madre e con un padre in Polonia per arruolarsi nella guerra in Ucraina, faceva parte di un programma governativo per i giovani, avendo dimostrato una personalità “completamente conflittuale”. Al riguardo, si è saputo che era stato contattato, alla fine di maggio, dall’Istituto distrettuale per la protezione dell’infanzia e della gioventù (Idipron) al fine di una sua entrata nei programmi sociali dell’ufficio del sindaco di Bogotà.
Secondo gli inquirenti, il ragazzo – che ha usato una Glock, un tipo di pistola semiautomatica che permette di sparare più colpi in pochissimi istanti – sarebbe l’ultimo anello della catena dei responsabili dell’attacco. Nelle immagini del video dell’attentato, che hanno fatto il giro del mondo, lo si sente urlare: “Scusa, l’ho fatto per soldi, per la mia famiglia”, mentre si riferisce a el hombre de la olla dicendo di sapere chi è e di avere anche il suo numero di telefono. Un richiamo preciso a uno dei due punti di spaccio di droga, nel quartiere miserevole in cui vive, che sono al centro della rete del microtraffico degli stupefacenti. Qualora fosse dichiarato colpevole, non andrà in prigione: sarà ospitato in uno dei cosiddetti Centri di attenzione specializzata, dove sono detenuti i minori tra i 14 e i 17 anni che hanno commesso dei crimini.
Gli inquirenti hanno annunciato un’indagine per identificare i mandanti di un delitto commesso attraverso il reclutamento di minori da parte di gruppi armati criminali. Una pratica assai diffusa in Colombia, dove – fonte l’Ufficio del difensore civico colombiano – nel 2024 sono stati reclutati 409 bambini e adolescenti, rispetto ai 342 dell’anno precedente. Il ministro della Difesa, Pedro Sánchez, ha annunciato una ricompensa di mille milioni di pesos (circa 250mila dollari) a chiunque fornisca informazioni utili a localizzare i responsabili dell’attacco, indipendentemente dalla loro ideologia o partito. Il direttore della polizia nazionale, Carlos Triana, aveva già annunciato che si propone di rafforzare gli schemi di protezione delle diverse decine di pre-candidati presidenziali, dei leader dell’opposizione, e delle famiglie dei membri del gabinetto. Tutte misure che non sono state sufficienti a rasserenare l’atmosfera e a far calare la tensione, dal momento che sembra predominare la sensazione che il Paese stia ritornando ai tempi della violenza politica, che si pensava di essersi lasciati alle spalle. Tanto più che questo ritorno della violenza politica è avvenuto con l’uso di un minore come autore materiale.
Durante la Commissione nazionale per le garanzie ai processi elettorali, che si è svolta il 9 giugno nella Casa di Nariño, sede della presidenza, Gustavo Petro ha sorpreso i partecipanti facendo una serie di rivelazioni relative all’attacco subìto da Miguel Uribe Turbay, e ha sostenuto che la polizia è infiltrata. Non si spiegherebbero altrimenti, secondo lui, le gravi carenze nel protocollo di sicurezza assegnato al membro del Congresso. A proteggere Uribe Turbay, dovevano esserci sette agenti, ma al momento dell’attacco erano solo in tre. Petro ha ribadito il suo impegno a rafforzare la sicurezza di tutti i membri dell’opposizione, garantendo la loro protezione in vista delle elezioni del 2026. E ha assicurato che saranno prese misure aggiuntive affinché gli oppositori abbiano tutte le garanzie necessarie nel processo elettorale.
Il ministro dell’Interno, Armando Benedetti, ha avvertito che l’attentato contro Miguel Uribe Turbay potrebbe segnare l’inizio di una serie di attacchi e possibili tentativi di assassinio. Benedetti ha insistito sul fatto che la situazione attuale richiede un approccio istituzionale, e ha ribadito l’appello ai partiti politici affinché partecipino alla Commissione nazionale per il coordinamento e il monitoraggio dei processi elettorali, convocata dal governo. Il ministro ha indicato che questa istanza cerca di garantire la sicurezza e la trasparenza nel processo elettorale, oltre a offrire garanzie ai diversi partiti e movimenti politici. Benedetti ha anche rivelato che Petro ha accettato di moderare il tono dei suoi discorsi: “C’è un prima e un dopo l’attacco – ha detto –, e ciò ha motivato il presidente colombiano a impegnarsi ad ‘abbassare il tono’ ai suoi interventi pubblici”, che sono stati indicati come fonte di costante contrapposizione. Nonostante gli sforzi del governo, nove partiti politici, indipendenti e di opposizione, hanno però annunciato che non riconoscono il presidente Gustavo Petro o Benedetti come garanti del processo elettorale. Inoltre, hanno riferito che non parteciperanno alla commissione convocata dall’esecutivo, e chiederanno al procuratore generale, Gregorio Eljach, di convocare un’altra commissione di garanzia.
Il contesto politico in Colombia è segnato dall’incertezza e dalla preoccupazione, dopo l’attentato contro Uribe Turbay. Questo fatto, aggiunto alle tensioni tra il governo e i partiti di opposizione, pone sfide significative alla stabilità e alla sicurezza nel Paese, e prospetta una dimensione inquietante in cui gli attori più violenti strumentalizzano la vulnerabilità sociale per scopi criminali.
Marco Rubio, segretario di Stato di Donald Trump, ha detto che “questo è il risultato della retorica di sinistra che proviene dai più alti livelli del governo colombiano”. Mentre la senatrice María Fernanda Cabal, della stessa formazione di Uribe Turbay, ha ricordato che, poche ore prima dell’attacco, Petro ha chiesto ai suoi ministri di firmare un controverso decreto per convocare la consultazione popolare, mentre scriveva sul suo account X “non passeranno”. “Questa è una conseguenza dell’atmosfera di odio e stigmatizzazione promossa dal governo di Gustavo Petro contro coloro che la pensano diversamente” – ha insistito la pre-candidata Cabal, che del Centro democratico rappresenta l’estrema destra. Il ministro degli Esteri, Laura Sarabia, non ha negato la relazione tra retorica e violenza, e ha affermato che “questo attacco è un appello alle nostre responsabilità, ci impegna a lavorare instancabilmente per correggere i nostri errori, per ridimensionare il discorso che incita all’odio e alla rabbia, in pubblico e in privato. (…) Propongo, dal punto di vista personale, di sradicare l’odio dal linguaggio e dal trattamento quotidiano”.
Sta di fatto che il sentimento generale, in queste ore in Colombia, è dominato dalla preoccupazione per quanto riguarda la lunga corsa presidenziale. L’attentato ha avuto l’effetto di aumentare le tensioni tra il governo e i partiti di opposizione, accrescendo così i timori per la stabilità e la sicurezza minacciate dallo spettro del narco-terrorismo, che trent’anni fa aveva sconvolto il Paese a suon di bombe, rapimenti e omicidi. Quello che fa paura, soprattutto, è l’obiettivo scoperto che si propone, cioè di mettere fine al monopolio dell’uso della forza da parte dello Stato, con il ritorno a una condizione di guerra. Sembra allontanarsi, pertanto, quella condizione di pacifica convivenza che la Colombia era riuscita a conquistarsi, pagandola con il sangue di molti suoi concittadini, sacrificatisi per la pace, e sancita dalla Costituzione del 1991.