
Pino Aprile, giornalista e scrittore, non si rassegna: “Ma addirittura la Lega? No! Che Taranto umili se stessa sino a questo punto non è possibile! Non possiamo accettare che la città si consegni alla Lega”. Che spavento, questa vigilia del secondo turno elettorale. Domenica e lunedì prossimi, Taranto rischia di finire in mano alla Lega di “affari e di governo”, per dirla con i miti esponenti della sinistra di un tempo che fu, e dello schieramento ambientalista e pacifista della “città dei due mari”.
Ci crede Matteo Salvini, che ha un conto in sospeso con i suoi alleati che lo hanno mortificato, sotto il profilo dei voti, nelle ultime tornate elettorali. Sembrava ormai destinato di nuovo a essere confinato nel Nord; ma poi il suo “civico” candidato a sindaco di Taranto, Checco Tacente, al primo turno ha preso il 26,14% dei voti, quasi sette punti in più del candidato di Fratelli d’Italia e Forza Italia, Luca Lazzaro. Ora, se a destra i “fratelli coltelli” hanno deciso di apparentarsi per far vincere il “civico” leghista, che ha sulla carta un consenso pari al 45% degli elettori, il centrosinistra teme di non farcela. Piero Bitetti, con il 37,39% è stato il più votato, mentre il candidato dei 5 Stelle, Annagrazia Angolano, ha preso quasi l’11%.
È vero che in politica la matematica conta poco, ma la somma dei voti dei centrosinistra e dei 5 Stelle sembrerebbe garantire la vittoria di Bitetti. Ma non è così. Perché i 5 Stelle hanno deciso di non chiedere l’apparentamento (“Bitetti non rappresenta la discontinuità con il passato; lo voteremo per scongiurare la vittoria del centrodestra”, ha dichiarato il senatore pentastellato Mario Turco). Il candidato progressista a marzo è stato assolto in primo grado per truffa ai danni del Comune. Senza aspettare neppure le motivazioni dei giudici, e il possibile ricorso della procura, il centrosinistra (senza i 5 Stelle) ha deciso di candidarlo a sindaco.
Che brutto clima, a sinistra. Continuità con il passato, cioè con il trasformismo centrista? Anche. I militanti della sinistra che fu, sottovoce, accusano diversi “renziani” per il passaggio di casacca. E mentre la città rischia di consegnarsi al partito degli affari, delle discariche e degli appalti portuali, nel “campo largo” si parlano lingue diverse. Insomma, il rischio è che domenica e lunedì il candidato civico e leghista riesca nel sorpasso. Come interpretare il fatto che, in controtendenza al primo turno, Taranto ha visto crescere di quasi il 5% il numero di elettori che sono andati a votare (il 56,6%) rispetto alla tornata elettorale precedente?
L’astro nascente tarantino si chiama Tonino Albanese, proprietario della gigantesca discarica di Massafra, editore della “Gazzetta del Mezzogiorno”, con molteplici interessi in diverse attività. Sintetizza un investigatore: “È un inarrestabile asso pigliatutto”. Albanese ha chiesto e ottenuto dal ministro Matteo Salvini la nomina di Giovanni Gugliotti, ex sindaco di Castellaneta, all’Autorità portuale. Sorridono i militanti disarmati del centrosinistra quando raccontano che nell’audizione alla commissione Lavori pubblici della Camera, alla domanda su quali competenze avesse per svolgere il compito di Autorità portuale, Gugliotti avrebbe risposto: “Ho la patente nautica”.
Intanto, il mostro che sputa lava incandescente sta lentamente ma inesorabilmente arrivando alla fine della sua esistenza. Sì, l’ex Ilva (oggi Acciaierie d’Italia) che un tempo era il più grande impianto siderurgico a ciclo integrale d’Europa, avrebbe bisogno solo di un miracolo per continuare a esistere. A inizio settimana, il segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini – a Taranto per un’iniziativa sui referendum di domenica e lunedì – non ha nascosto la sua preoccupazione: “Il rischio concreto è che il sistema industriale siderurgico salti”.
La sua presenza ormai è un fantasma.L’ex Ilva non è in grado di rivendicare neppure la sua centralità in questa campagna elettorale amministrativa, soprattutto oggi che ne è in gioco la stessa sopravvivenza, e che sono a rischio tra i quindicimila e ventimila salari dei lavoratori diretti e indiretti dell’indotto siderurgico. L’incapacità, o forse la volontà, di chi dal governo (anche cittadino), come dall’opposizione, dovrebbe imporre una seria politica industriale che faccia i conti con la transizione ambientale, sta condannando al declino la città industriale.
È terribile rileggere l’atto d’accusa contro le classi dirigenti di Taranto e di Roma da parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Una sua delegazione arrivò a Taranto (città scelta come unica realtà italiana da investigare). E nel suo rapporto conclusivo (12 gennaio 2022) inserì Taranto nell’elenco delle “zone di sacrificio”: “Le zone di sacrificio rappresentano la peggiore negligenza immaginabile dell’obbligo di uno Stato di rispettare, proteggere e realizzare il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile”. Insomma, a Taranto “sono danneggiati gli interessi delle generazioni presenti e future”.
Ubaldo Pagano, parlamentare del Pd, è drastico: “L’ex Ilva sta collassando. Sono riusciti a portare le perdite da sessanta a cento milioni al mese, aumentando la produzione senza alcuna pianificazione. Con il risultato che non sono riusciti a garantire la manutenzione necessaria, dopo anni di gestione al risparmio targata ArcelorMittal. Lo Stato dovrebbe nazionalizzare l’acciaieria se ritiene la produzione siderurgica strategica e risanarla (ci vogliono quattro-cinque miliardi di euro), per poi cercare un partner privato di caratura internazionale per gestirla”.
Una lunga e complicata gara internazionale alla ricerca di acquirenti validi, dopo il fallimento della gestione del colosso industriale mondiale ArcelorMittal, ha portato più dubbi che certezze. La parola chiave, per qualsiasi politica industriale dell’acciaio, ormai è legata alla “transizione ecologica”. Che per Taranto significa “decarbonizzazione”, ovvero passaggio dagli altiforni alimentati a carbone e altri minerali ai forni elettrici.
La cordata che ha vinto la gara internazionale per l’acquisizione della ex Ilva è quella azera “Baku Steel”. Da tempo, i sindacati non riescono a capire lo stato dell’arte delle trattative in corso con gli azeri. Bloccato il piano della ripartenza degli impianti, per mancanza di risorse, la situazione è precipitata con l’incidente del 7 maggio scorso (un incendio) all’Altoforno 1. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, sull’orlo di una crisi di nervi, ha aperto il fuoco delle polemiche contro la procura della Repubblica di Taranto, accusata di false dichiarazioni a proposito dei ritardi per la mancata autorizzazione a intervenire tempestivamente sulla messa in sicurezza dell’Altoforno 1.
Sono ormai quasi quattromila i dipendenti ex Ilva in cassa integrazione. Gli azeri chiedono garanzie sull’autorizzazione all’esercizio della produzione. Il governo deve approvare la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che contemplerà nuove prescrizioni. Spiega Alessandro Marescotti, punto di riferimento dell’ambientalismo e del pacifismo pugliese, che “l’approvazione dell’Aia è in itinere”: “Secondo indiscrezioni, il parere istruttorio conclusivo sarebbe all’unanimità favorevole all’uso del carbone e degli altiforni.. E tra le oltre quattrocento prescrizioni solo una, la prescrizione numero 3, riguarderebbe il capitolo della decarbonizzazione e sarebbe generica. Non prevederebbe, cioè, tempi certi sulla fuoriuscita dal carbone, fissando in dodici mesi il tempo di presentazione, da parte del gestore, dello stesso piano di decarbonizzazione”.
E dunque, nel mondo dei sogni di una ex Ilva che riparte, l’alimentazione degli altiforni dovrebbe essere intanto a carbone e a gas. E la “Baku Steel” vorrebbe investire a Taranto garantendo la fornitura del gas, di cui sono grandi produttori. Trasportandolo a bordo delle navi gasiere. In questa corsa impari contro il tempo, il ministro Urso sta lavorando a un accordo di programma con la Regione Puglia e con i comuni di Taranto e Statte.
In questo clima incandescente, Taranto si consegnerebbe alla Lega, come maledice Pino Aprile? Negli ultimi anni, proprio lo schieramento del centrosinistra “di governo”, con le ultime due amministrazioni comunali, ha dato prova di un indicibile trasformismo e “mercato delle vacche”, con cambi di casacche e maggioranze ballerine.
Ed è vero che Taranto ci ha abituato a essere bastian contraria delle tendenze politiche e sociali del Paese. Quando esplose il fenomeno della Lega di Bossi e Maroni nel Nord, a Taranto, nel 1993, fu eletto sindaco il leader della Lega d’azione meridionale, Giancarlo Cito. Una militanza nella destra del Movimento sociale italiano degli anni Settanta (alla fine della sua carriera politica fu anche condannato per concorso in associazione mafiosa, corruzione e concussione). Cito propose un leghismo meridionalista contro il Nord, e sconfisse il sistema politico usando il microfono di una televisione locale come clava. Vinse portando dalla sua parte il sottoproletariato, così come il ceto medio della città, con parole d’ordine securitarie, contro l’immigrazione clandestina. I suoi anni nel Palazzo della città anticiparono Silvio Berlusconi e l’attuale destra di governo. E oggi? Solo due settimane fa, a Genova e a Ravenna, il centrosinistra ha sbaragliato la destra. Con la Lega inesistente e un ridimensionamento elettorale dei 5 Stelle. Chi sarà il nuovo sindaco di Taranto? Davvero la città si consegnerà alla Lega?