La Conferenza contro l’apartheid ai danni del popolo palestinese si è conclusa domenica 12 maggio, a Johannesburg in Sudafrica, dopo tre giorni di lavori, con una dura condanna della politica israeliana. La prima Conferenza globale, com’è stata chiamata, è stata un momento di denuncia e di coordinamento di tutte le iniziative che, a livello internazionale, vengono portate avanti contro l’apartheid e la politica di occupazione israeliana. Annunciata nell’ottobre scorso dal Sudafrica, a seguito dell’attacco israeliano a Gaza in risposta al massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, il periodo della Conferenza non è stato scelto a caso: il 14 maggio è infatti l’anniversario della proclamazione dello Stato di Israele, mentre il popolo palestinese ricorda il 15 maggio come l’inizio della nakba, l’immane “catastrofe” che ha portato alla distruzione di centinaia di villaggi, alla fuga di centinaia di migliaia di persone, costringendolo all’esilio sulla sua propria terra.
La Conferenza ha visto la partecipazione della ministra degli Esteri sudafricana, Naledi Pandor, e di una ventina di esponenti politici di diversi Paesi. Il leader e attivista palestinese, Mustafa Barghuti, ha fortemente denunciato l’ipocrisia dei governi, e si è detto convinto che “non saremo in grado di avere la vera libertà e la vera pace senza il completo smantellamento del sistema coloniale in Palestina”. Questa prima Conferenza globale anti-apartheid ha voluto avviare “un processo volto a una mobilitazione diffusa in tutto il mondo per aumentare la solidarietà palestinese e costruire il movimento anti-apartheid”. Tra le misure che si intendono sostenere, c’è l’intensificazione dei boicottaggi dei consumatori – accademici, sportivi, artistici e culturali –, una campagna per le sanzioni economiche e finanziarie e per un embargo al sostegno, al finanziamento, alla fornitura di armi alle forze di occupazione israeliane, e per l’espulsione di Israele dagli organismi internazionali, sportivi, culturali, accademici.
La Dichiarazione di Johannesburg, che ha concluso i lavori, ha chiesto il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici palestinesi, dei detenuti e degli ostaggi, e la fine dell’arresto arbitrario, della detenzione amministrativa, dei rapimenti e della tortura dei prigionieri. Alla fine della Dichiarazione si legge: “Così come il movimento globale anti-apartheid non ha fatto concessioni allo Stato sudafricano dell’apartheid fino al completo smantellamento del sistema dell’apartheid, anche noi rifiutiamo di accordare concessioni fino allo smantellamento totale del progetto colonialista israeliano. A questo siamo impegnati, e non ci fermeremo finché il nostro scopo non sarà raggiunto”.
L’evento, ignorato dall’informazione internazionale, si inserisce nella politica sudafricana di contrasto al tentativo di genocidio in corso a Gaza da parte del governo israeliano, aperta da un appello alla Corte internazionale di giustizia (vedi qui) per prendere misure urgenti al fine di fermare l’esercito israeliano. Con la sua sentenza del 26 gennaio (vedi qui), la Corte ha dato solidi argomenti ai governi, rimasti però sordi e ipocriti, e soprattutto agli attivisti di tutto il mondo per chiedere ai propri governi e alle istituzioni internazionali misure contro il sostegno alla guerra israeliana. Va ricordato, infatti, che la Convenzione internazionale sulla prevenzione del genocidio, approvata dall’Onu nel 1948, impone agli Stati la sospensione di atti che possano configurarsi anche solo come implicanti un possibile genocidio, e di non sostenerli se compiuti da altri. In questa direzione, si è mosso a metà marzo il Nicaragua, che ha denunciato la Germania per complicità nel genocidio. Di fronte al rifiuto di Israele di prendere in considerazione le misure provvisorie urgenti dettate dalla Corte, e all’intenzione di Israele di condurre un’offensiva militare contro Rafah, il Sudafrica aveva nuovamente allertato il 12 febbraio la Corte (vedi qui), che aveva accolto, cinque giorni più tardi, l’invito a ordinare a Israele di mettere in pratica le misure ignorate.
Con l’offensiva su Rafah in corso, il Sudafrica ha deposto, il 10 maggio, una nuova richiesta urgente affinché la Corte ordini a Israele di fermare l’attacco. La richiesta sarà discussa in udienza pubblica all’Aia, giovedì 16 e venerdì 17. Intanto, altri Stati si vanno aggiungendo nel sostegno alla richiesta del Sudafrica di misure urgenti per Gaza e Rafah: l’ultimo è stato l’Egitto, qualche giorno fa, viste le implicazioni che i massacri a Rafah comportano per i palestinesi ma anche per la propria sicurezza.