L’operazione esemplare su un gruppo di italiani, condannati per fatti degli anni Settanta, per l’autorità giudiziaria francese appare definitivamente chiusa. Riguardava solo alcune delle persone ancora ricercate, in Italia, e residenti da molti anni in Francia, coi nomi sul citofono. Quasi tutti erano stati di colpo arrestati, nel 2021, ma rimessi in libertà poco dopo. La decisione finale arriva adesso, dopo un primo provvedimento contrario all’estradizione, motivato dalla Corte d’appello di Parigi nel 2022 (commentato qui), seguito da un ricorso che, a questo punto, viene rigettato. La legge francese non prevede una nuova impugnazione.
L’estradizione, chiesta già in un lontano passato, stavolta era stata invocata sulla base non di nuovi fatti ma di nuova base legale: la Convenzione di Dublino del 1996 sull’estradizione nell’Unione europea, che integra e affina regole del 1957 e del 1977. La Francia è parte della Convenzione, ma ha fatto una riserva: niente estradizione se la persona condannata, in questo caso in Italia, non ha avuto un processo con tutte le garanzie fondamentali e con pienezza dei diritti della difesa. E proprio sulla difesa, la decisione della Corte d’appello francese ha escluso che potesse bastare la nomina di un avvocato d’ufficio.
Ancora sul diritto internazionale. Un protocollo di modifica della Convenzione del 1996 riguarda le condanne emesse in assenza, tipiche degli imputati ormai all’estero: ribadisce la necessità di assicurare comunque un minimo di difesa e permette l’estradizione se lo Stato che la chiede acconsente a svolgere un nuovo processo. Può sembrare un cavillo, ma è rilevante e non c’è davvero da stupirsi: se si permette la riapertura di questioni di estradizione perché ci sono nuove norme, sopravvenute dopo vecchie richieste di estradizione respinte, si deve anche tenere conto delle garanzie in più che le norme nuove hanno introdotto. Il diritto non può essere retroattivo a senso unico, e meno che mai in materia penale.
Ha avuto un peso, nei rilievi davanti alla Cassazione e nella decisione, la questione della proporzionalità della lesione che l’estradizione avrebbe recato al diritto al rispetto della vita privata e familiare. Questo principio non è una novità, per la giurisprudenza francese, e l’apprezzamento della proporzionalità spetta all’autorità giudiziaria locale: appunto alla Corte d’appello. In concreto, è stato determinante, tenendo conto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che le persone vivessero in Francia da venti, trenta o quarant’anni, e che avessero una famiglia e un lavoro (o a questo punto, si direbbe, una pensione).
Per chiedere l’estradizione, lo Stato italiano si è anche affidato a un noto studio legale francese, ma la procedura ha le sue regole e preclusioni. Come in Italia, la Cassazione non decide ogni aspetto, limita il suo esame a questioni di rito e motivazione; per questo, è stato messo in forse persino fino a che punto lo Stato italiano potesse interloquire. Il pubblico ministero, poi, si è pronunciato contro l’estradizione, ricordando anche un punto scottante della decisione in Corte d’appello: comunque, se l’Italia avesse deciso di riprocessare tutti, adesso, per rimediare all’assenza degli imputati nei dibattimenti di allora, considerando il tempo trascorso avrebbe violato l’obbligo di ragionevole durata del processo. Un argomento decisamente senza smentita. È evidente l’esigenza che l’applicazione di novità giuridiche sia presa in considerazione, sì, ma valutando tutti gli aspetti, e non scorporando quelli che fanno comodo. Il diritto non è una scatola degli attrezzi, dove si sceglie la chiave a misura.
Chi pensa che i giudici francesi siano stati iniqui con l’Italia, deve non solo tenere conto delle esigenze legali di sostanza e procedura, ma considerare che, nel passaggio dalla Corte d’appello alla Cassazione, con la fase della relazione del giudice e delle richieste del pubblico ministero, in realtà le critiche all’Italia si sono smussate o sono finite tra parentesi; e questo perché non più rilevanti, non perché considerate infondate. All’inizio, la Corte d’appello ha dato un conto severo delle spiegazioni incerte fornite dall’Italia su varie questioni legali; la decisione ha notato che fare, nel 2020, una richiesta di estradizione basata sulla Convenzione di Dublino, del 1996, significa più di vent’anni di ritardo, cioè scarsa diligenza italiana. La Corte d’appello non l’ha detto, ma vedendo tutto questo dall’Italia, si può notare che la tempistica delle richieste di Roma non è dipesa dalle novità giuridiche invocate, ma da scelte politiche contingenti. Eppure, le iniziative a orologeria si conciliano male con le funzioni della giustizia penale, specialmente quando riguardano fatti politicamente connotati e lontani nel tempo.
Dopo, le autorità francesi della fase di impugnazione hanno evitato polemiche e hanno visto tutto sub specie iuris; così, olimpicamente, hanno detto che il ricorso contro la decisione andava rigettato. Ma attenzione: la motivazione della Corte d’appello non è superata, sta lì, anche nelle parti che la Cassazione non ha ripercorso, perché si è mantenuta strettamente nei suoi limiti funzionali. La Corte non esamina, si dice in Italia, “il merito”, e il pubblico ministero francese ha ricordato la necessità di evitare “un apprezzamento fattuale estraneo al controllo della Cassazione”.
Nell’insieme si è visto un percorso inverso, rispetto a quello del Brasile, quando in una prima fase Cesare Battisti non fu estradato con motivazioni che, nel corso della procedura, cambiarono, si inasprirono ed estesero dure critiche dall’Italia di ieri a quella di oggi. Nell’operazione “Ombre rosse”, salendo di grado la procedura, la Francia si è abbottonata la toga sino al collo. Alla fine, i magistrati si sono limitati ad argomenti legali e motivazionali, senza superare le critiche all’Italia, piuttosto mettendole oltre i margini del discorso. Ma il risultato è lo stesso: niente estradizione.
La vicenda sembra risolversi parlando solo di diritto; è proprio così? Di là dalle Alpi la “dottrina Mitterrand” sfuma in fredde carte, di qua si continua con gli stati d’animo. Eppure, sotto traccia, la questione della proporzionalità, così presente negli atti delle autorità giudiziarie francesi, è in fondo un modo sottile per dare voce a tempi e contesti.