Dicevamo che in Francia non c’è la stessa aria socialmente mefitica che si respira in Italia (vedi qui e qui). La vicenda della legge sulle pensioni, fatta passare con un colpo di mano parlamentare – grazie al “49.3”, ma sotto un’ondata di contestazione che non accenna a esaurirsi –, conferma la nostra analisi. C’è da considerare che l’articolo costituzionale in questione è tipico del bonapartismo insito nel disegno semipresidenzialista della Quinta Repubblica: qualcosa di diverso dalla “fiducia” al governo, caratteristica di un regime parlamentare. In Francia non si pone termine a un dibattito in parlamento con un voto – detto appunto “di fiducia” – che serva a compattare una maggioranza recalcitrante; no, si può evitare qualsiasi controversia facendo passare una legge senza neppure votarla. Così un governo di minoranza, privo “di fiducia”, come quello della premier Élisabeth Borne (scelta da un Macron che, in quanto presidente della Repubblica, è anche capo dell’esecutivo), si è auto-approvato una legge sulle pensioni, per la quale non era riuscito a trovare una maggioranza, pur tentando di negoziare a lungo con la destra neogollista (Les Républicains, il cui gruppo parlamentare conta una sessantina di deputati). È insomma la “monarchia repubblicana” francese che ha mostrato la sua protervia.
Le opposizioni sia di sinistra sia di destra, a quel punto, hanno intrapreso la strada della “mozione di censura”, che avrebbe implicato la caduta del governo e l’avvio, molto probabilmente, di una procedura di scioglimento da parte del presidente della Repubblica (si noti il doppio ruolo: il capo dell’esecutivo è anche colui che può sciogliere l’assemblea legislativa). Di fronte a un rischio di elezioni anticipate, il gruppo neogollista si è diviso: e con soltanto nove voti di scarto, la “censura” nei confronti del governo non è passata. Macron può considerarsi il vincitore.
Ma a quale prezzo? La rivolta del mondo del lavoro, degli anziani e dei giovani, dei sindacati come dei gruppi più radicali, dell’intera sinistra della Nuova unione popolare ecologica e sociale, così come dell’estrema destra lepenista, può bloccare il Paese ancora a lungo. E tutto questo per portare le pensioni da 62 a 64 anni di età? Una prova di forza che non ha giustificazioni se non strettamente politiche. La “monarchia repubblicana” deve ribadire la propria autorità. Di qui le cariche della polizia e gli arresti in massa.
Tuttavia questa Francia è più interessante di un’Italia in cui la bonaccia dura da decenni: un Paese, il nostro, in cui la destra – non contenta dei risultati raggiunti – vorrebbe introdurre un sistema simile a quello francese, con il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo. In Francia questo bonapartismo di infimo livello mostra ormai la corda. In Italia, nella calma più assoluta di soggetti sociali acquiescenti, lo si vorrebbe invece riproporre. E ci sono già stati alcuni candidati, se non proprio al presidenzialismo, almeno al “premierato forte”: in un recente passato per esempio Matteo Renzi, non a caso soprannominato Micron.