Otto ore di camera di consiglio. Tante. I cinque giudici della prima sezione penale della Cassazione evidentemente hanno discusso, e forse solo a maggioranza hanno deciso che il ricorso dei legali dell’anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito andava respinto, e il loro assistito doveva rimanere al 41/bis. Dunque è stata una decisione sofferta, che non allontana però la suggestione che la Cassazione, e più in generale la maggioranza della magistratura, sia tornata in sintonia con quell’“aria che respirava” fino ai “pretori d’assalto”, prima, e ai “giudici ragazzini” poi. Insomma, gli anni Settanta e Ottanta.
In un memorabile editoriale, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1972, Luigi Pintor, direttore del “manifesto”, scriveva a proposito dei magistrati: “Questi personaggi sono l’immagine stessa del privilegio e dell’arbitrio. Dispongono del più illecito dei poteri, quello sulla libertà altrui. Dispongono di armi micidiali, leggi inique e meccanismi incontrollabili. E le maneggiano come e contro chi vogliono”. È passato mezzo secolo e più da quel “clima che si respirava”. E oggi la destra che governa l’Italia assicura che il 41/bis non si può e non si deve “minimamente modificare”. E naturalmente che Alfredo Cospito va tenuto in carcere al 41/bis.
Tira proprio una brutta aria, oggi. Trent’anni e passa dopo, al 41/bis una messa a punto andrebbe fatta o no? Quando fu deciso che i mafiosi e terroristi dovevano finire al carcere “duro”, era in atto un tentativo di golpe cruento da parte dei corleonesi. Lo Stato decise senza tentennamenti di contrastare l’offensiva stragista. Da subito, fu chiaro che il carcere “duro”, pur se necessario, aveva portato alla sospensione dei diritti garantiti dalla Costituzione anche ai cittadini detenuti.
Trent’anni dopo, siamo ancora in emergenza? Non è venuto il tempo di discutere se vi siano nuovi strumenti, nuove opportunità che garantiscano che i detenuti non comunichino con l’esterno, con le organizzazioni di riferimento?
Nella vicenda Cospito non è in discussione la libertà di pensiero, e non si tratta neppure di accanimento giudiziario nei confronti di un innocente. Alfredo Cospito ha commesso reati, attentati dinamitardi: ha sparato, ferendolo, contro un dirigente di una grande impresa.
Essendo il 41/bis una misura “preventiva e non afflittiva”, il problema è semplice nella sua drammaticità: Cospito comunica con l’esterno? Con i suoi compagni anarchici? L’allora guardasigilli, Marta Cartabia, firmò il 41/bis per l’anarco-insurrezionalista, nel maggio del 2022, perché era ritenuto al vertice di un’associazione con finalità di terrorismo. Ma i suoi compagni coinvolti in questa associazione sono stati poi assolti dalla Corte d’assise di Roma. Davanti al Collegio della prima sezione penale, il sostituto procuratore generale della Cassazione aveva chiesto di annullare, con rinvio, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che imponeva a Cospito il regime del 41/bis. Il governo non ha voluto seguire la via d’uscita indicata dal procuratore nazionale antimafia, Gianni Melillo, confermando il 41/bis per l’anarco-insurrezionalista. Melillo aveva suggerito: “Cospito può restare al 41/bis, oppure tornare al regime di alta sicurezza, con tutte le cautele possibili”.
Ieri, 27 febbraio, Cospito è stato dimesso dall’ospedale San Paolo e riportato nel carcere di Opera. È dimagrito già di quarantacinque chili, le sue condizioni di salute sono molto precarie. Il problema è diventato ormai una questione d’onore. Il governo non può mostrarsi debole con i terroristi e con i mafiosi. Ma nel frattempo c’è il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che di fronte alle vittime del naufragio di Cutro, se la prende con i genitori “irresponsabili” che viaggiano con i loro bambini sulle imbarcazioni che affondano.
E intanto gli anarchici si stanno preparando per una manifestazione di “lotta e solidarietà” a Torino sabato prossimo.