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Home » Opinioni » Pd, la finzione di un partito di massa

Pd, la finzione di un partito di massa

Gli organismi dirigenti locali, che pure ci sono, non si riuniscono quasi mai e non decidono niente: tutto si svolge nei giochi tra gruppi di potere, altra cosa dalle correnti del passato

19 Agosto 2022 Claudio Bazzocchi  2470

Da una parte dell’elettorato, il Pd continua a essere considerato un partito di sinistra, erede del partitone di massa vicino ai lavoratori e alle istanze sociali dei meno abbienti. Inoltre, nelle regioni ex rosse, mantiene una parvenza di organizzazione e presenza nei quartieri che fa credere che sia non solo ancora orientato a sinistra, ma abbia anche i caratteri del partito di massa tipicamente socialdemocratico. Parliamo di parvenza di organizzazione, perché dietro all’apparenza c’è il vuoto: politico e organizzativo. In una città come Bologna, per esempio, possiamo ancora trovare le sedi dei circoli che, sulla carta, hanno un/a segretario/a e un direttivo regolarmente eletti. Tali circoli, però, si riuniscono raramente e, quando lo fanno, organizzano dibattiti con deputati e senatori locali sui temi dell’attualità politica.

Questo fa credere agli attivisti di quel circolo di essere ancora nel mondo antico del partito di massa, con tanto di rapporto stretto tra deputati, dirigenti, militanti di base. In realtà, quei dibattiti sono solo una sorta di mini-talk show di tipo televisivo, in cui ognuno degli invitati espone il proprio punto di vista, gli intervenuti fanno qualche domanda e magari l’onorevole di turno abbozza una qualche conclusione, in omaggio alle pratiche d’antan. Alla fine, tutti tornano a casa, contenti di avere partecipato a un’iniziativa di partito, di avere visto il proprio deputato e persino di avergli chiesto: “Allora, a Roma che si dice?”. Ovviamente, da quell’incontro, non nascerà alcuna iniziativa politica nel quartiere, alcuna lotta sociale riguardante il territorio (scuola, lavoro, sanità ecc.), e nemmeno alcuna indicazione politica nei confronti della federazione del partito.

È bene dire, infatti, che esistono ancora le federazioni, ma solo sulla carta, dal momento che non riuniscono mai le assemblee e le direzioni federali. Dunque, il rapporto tra circoli e federazioni è inesistente perché non c’è più il momento di raccordo tipico di quelli che una volta si chiamavano comitati federali. E però ci sono ancora, sempre sulla carta, il segretario o la segretaria di federazione e i vari responsabili lavoro, organizzazione, enti locali, sanità, scuola, diritti ecc. Tutte figure regolarmente elette all’indomani del congresso territoriale, in occasione di quello nazionale. Si tratta dell’unico momento in cui si riuniscono gli organismi dirigenti, che poi per anni rimangono in sonno, mai convocati. Quel momento apparente di democrazia e di elezione dei vari responsabili è comunque molto importante perché contribuisce a creare l’idea che ancora esista un partito strutturato con figure di riferimento, dirigenti, funzionari…

Possiamo dire, quindi, che nelle città più grandi delle ex regioni rosse si contano ancora alcune centinaia di presunti attivisti, che si credono effettivamente tali perché inseriti all’interno di un mondo inesistente, che però sembra procedere effettivamente secondo le modalità dei tempi del partito di massa. In fondo, ci sono alcuni incontri nei circoli, ci sono le federazioni con i loro organismi dirigenti, e i vari segretari e direttivi dei circoli continuano a essere eletti. Quella rete di militanti-dirigenti-attivisti continua a dare all’elettorato l’idea che il partito esista e sia organizzato, strutturato nei quartieri, sul territorio provinciale.

Che sia tutto finto lo vediamo in periodi come questo, quando si devono costruire le liste per le elezioni. Non si riuniscono certo gli organismi federali per decidere, quegli organismi che, a loro volta, avranno recepito le indicazioni dei circoli a proposito dei compagni e delle compagne migliori da promuovere al parlamento, al consiglio regionale o comunale. Le decisioni vengono prese, infatti, nella relazione fra notabilato locale e notabilato nazionale, relazioni in cui si misurano i rapporti di forza tra le cosiddette correnti che, in realtà, non sono più le correnti dei partiti di una volta con tanto di orientamento culturale, riviste, centri di ricerca e rapporti privilegiati con pezzi di sindacato, mondo del lavoro e dell’università, ma semplici gruppi di potere cementati da interessi vari di tipo economico, familiare o amicale. Eppure, l’esistenza stessa delle correnti fa credere che vi sia ancora il partito di un tempo, in cui si affrontavano diverse prospettive e visioni per il bene della causa comune.

Ed è il notabilato locale a prendere le decisioni politiche, non solo al tempo delle elezioni, ma anche nella definizione delle politiche dei Comuni e delle Regioni. Si tratta di un ristretto club fatto da sindaci, presidenti di Regione, deputati e rappresentanti dell’impresa o della finanza. È un club che non va pensato come una sorta di centro massonico che si riunisce periodicamente per decidere tutto di una città o di un territorio. Si tratta piuttosto di gruppi di potere che contrattano volta per volta i propri interessi, in incontri separati che producono mediazioni fra le varie parti in causa senza una linea predefinita, senza che si possa appunto pensare a un centro unico di potere che possa decidere e controllare tutto. Anche questo può forse far pensare, a tanti attivisti e militanti, di essere ancora all’interno di quel “modello emiliano” – e comunque tipico delle regioni rosse – in cui il partito era in grado di tenere assieme istanze sociali e imprenditoriali. Più prosaicamente, la realtà è quella di deputati, senatori, sindaci e presidenti di Regione che contrattano continuamente la spartizione del potere all’interno di un territorio per conto di interessi vicini a chi li sostiene, dalla finanza fino al sindacato o all’associazionismo di vario tipo.

Andrà infine considerato che, rispetto ai tempi del partito di massa, le leggi elettorali per gli enti locali, in vigore da trent’anni a questa parte, hanno di fatto esautorato il ruolo dei partiti all’interno dei Consigli comunali e regionali. Non esiste più alcuna dialettica tra partito e giunta, dal momento che non è il partito a esprimere un’idea di territorio, di sviluppo e di rappresentanza dei propri ceti di riferimento, tramite i propri organismi dirigenti e il lavoro capillare di rapporto tra centro e periferia. Sono le giunte – e il più delle volte il solo sindaco e il solo presidente di Regione, che devono rispondere ai gruppi di cui abbiamo parlato sopra – a decidere tutto, rendendo inutile la presenza del partito e dei consiglieri comunali e regionali. Eppure, quei consiglieri ci sono e contribuiscono a dare l’idea che un partito esista ancora. Li troverete allora molto attivi sui social, con varie foto e discorsi generici sulla pace, la solidarietà, i diritti, la riforma della scuola per il bene dell’educazione dei ragazzi, che saranno il futuro del Paese… E anche questo fa credere che esista ancora un partito, con dei valori e dei bravi dirigenti-amministratori.

Difficile stabilire con precisione quanto questa parvenza di partito di sinistra possa mobilitare in termini di voti a ogni tornata elettorale. Certamente, nelle regioni rosse costituisce ancora una riserva di voti che mantiene in vita il Pd, e blocca qualsiasi possibilità di rinascita di un vero soggetto politico di sinistra nel nostro Paese, tale da potere aspirare a percentuali elettorali a due cifre.

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